Sabato scorso si è spento all’età di 86 anni Pierre Celis, uno dei personaggi che hanno scritto la storia del movimento internazionale. Anche se arrivo sulla notizia con un po’ di ritardo, mi sembra comunque giusto dedicare un post alla memoria di una delle più importanti figure della rinascita della birra artigianale. Guidato dalla sua immensa passione, Celis ha salvato dall’oblio lo stile Blanche, regalandogli una nuova vita e un successo praticamente planetario. Ieri ho avuto modo di ricordarlo durante la lezione del corso ADB che ho condotto a Napoli, accennando alle tante specialità birrarie locali che hanno rischiato l’estinzione. La sua vittoria nel riscoprire uno stile storico lo ha ascritto nel gotha delle personalità birrarie, la sua dipartita eleverà il suo mito a leggenda. Com’è giusto che sia.
Le Blanche (o, in fiammingo, Witbier) sono le classiche birre di grano belghe, brassate dunque con una percentuale di frumento e aromatizzate con coriandolo e scorze di arancia Curaçao. Sono birre decisamente estive, caratterizzate da una capacità dissetante invidiabile, che invoglia a berle a grandi sorsi. Non sono amate da tutti, personalmente le considero una delle più straordinarie creazioni dell’arte brassicola internazionale. Sono spesso servite in grandi bicchieri tozzi, che assecondano il desiderio di sorsate generose.
Le Blanche erano diffuse nel XVIII secolo nella zona dei dintorni di Hoegarden, cittadina situata nell’area orientale del Brabante. Al tempo erano operanti una trentina di birrifici che producevano questa specialità, ma con le trasformazioni socioeconomiche che seguirono, il loro numero si assottigliò a velocità impressionante. L’ultimo produttore di Blanche chiuse i battenti nel 1954, ufficializzando quindi quella che a tutti gli effetti sarebbe stata l’estinzione delle Blanche. Cosa che sarebbe sicuramente accaduta se non fosse entrato in gioco un grande appassionato – Pierre Celis per l’appunto – che decise di recuperare una tipologia birraria così particolare.
Celis non partiva da zero: aveva lavorato diverso tempo come garzone per Louis Tomsin, l’ultimo birraio di Hoegarden. Così nel 1966, a più di 10 anni dalla produzione dell’ultima Blanche, Pierre Celis realizzò il suo sogno: aprire un microbirrificio (Celis Brouwerij) e iniziare a produrre la “sua” Blanche. Il nome fu quello della città e rappresenta oggi la Blanche più conosciuta in assoluto, almeno in Europa. Lo stile tornò in vita, ma non si limitò a sopravvivere: la birra brassata da Celis ottenne da subito l’apprezzamento di tanti consumatori (soprattutto giovani) al punto da affermarsi rapidamente in tutto il paese, prima di superare persino i confini nazionali. Ovviamente iniziarono a fiorire le imitazioni e di conseguenza le Blanche tornarono a prosperare. Oggi sono una tipologia estremamente diffusa, che troviamo nella gamma di quasi ogni birrificio.
La storia di Celis non si fermò qui, ma continuò, costellata da alti e bassi e soprattutto dalla continua invasione delle multinazionali nel suo lavoro – invasione per la verità “favorita” dallo stesso Celis per motivi economici. Non mi dilungherò su quest’ulteriore evoluzione della sua carriera da birrario, che altri recentemente hanno affrontato (vi consiglio l’ottimo articolo di Alberto Laschi su In Birrerya). Vi consiglio solo di stare alla larga dalla famosa Hoegarden, che dopo l’acquisto da parte di Inbev, non è che una blanda imitazione della splendida birra di un tempo.
Il caldo di questi giorni sembra fatto apposta per assaporare il gusto rinfrescante di una Blanche. In Italia è uno stile che va tantissimo, di esempi ne abbiamo a bizzeffe: dalla storica Isaac di Baladin (forse al momento la migliore “standard” di Teo Musso) alla Friska (“double wit” di Barley), dall’aromatica Panada di Troll all’intrigante Seta di Rurale, dalla Blanche du Valerie di Almond ’22 alla Bianca di Maltus Faber. Se invece volete buttarvi sulle produzioni straniere, potete fiondarvi sulla St. Bernardus Wit, sulla Blanche de Namur, sulla muscolare Jan De Lichte di Glazen Toren, sull’originale Blanche des Honnelles.
Insomma se cercate una Blanche avete solo l’imbarazzo della scelta. Magari in questi giorni acquistatene una, sarà il modo migliore per brindare alla memoria di Pierre Celis.
Non credo ci siano molte persone a poter vantare il merito diretto della (ri)nascita di uno stile di grande successo. Insomma stiamo parlando di chi alla birra ha dato tantissimo.
Non sarei così severo con la Hoegarden attuale; birra che secondo me rimane “onesta” nonostante tutto.
Personalmente, oltre alle birre citate, apprezzo molto le interpretazioni dello stile che arrivano dagli USA (cosa che vale per tanti stili “classici”). E proprio l’articolo di in birrerya ci ricorda di come celis abbia lasciato traccia anche nella rinascita della birra di qualità in USA
Ecco il tuo commento mi ha ricordato una cosa che volevo scrivere, ma che mi è passata di mente. Oggi salvare uno stile è forse “più facile”: esiste internet, esiste un movimento in grande crescita, esiste una marea di associazioni. Ai tempi di Celis era diverso: praticamente ha deciso di compiere tutto da solo, ha dedicato tutti i suoi investimenti alla riscoperta di uno stile ormai scomparso. Questo suggerisce la grandezza di questo piccolo uomo.
Concordo con Indastria: la Hoegarden attuale rimane “onesta” nonostante il produttore sia “non artigianale”.
Tra l’altro Jef van de Steen mi ha detto che, nella linea produttiva di Inbev, è forse l’unica (o una delle poche) che ha mantenuto un processo produttivo simile all’originale per precisa scelta aziendale.
Riguardo a Pierre Celis sempre Jef, nelle serate tenute recentemente al blind pig ed al kosttokost, durante la doverosa commemorazione ci ha svelato (almeno per me è stata una novità) che Pierre iniziò a fare la birra nella lavatrice di casa….chissà come venivano i panni!!!!
Sull’argomento blanche segnalo anche quest’articolo di Kuaska, che pur scritto qualche anno fa (credo fosse il 2007) rimane sempre una bellissima lettura: http://editore.slowfood.it/editore/riviste/slowfood/IT/05/slow5_45.pdf
Grazie, un articolo di Lorenzo è sempre molto interessante.
il giudizio sulla Hoegarden mi sembra un tantinello esagerato :-)… però onore a lui che ha fatto rinascere un grande stile!
nel leggere questo articolo e nel leggere le blanche belghe,ho notato che non si ricorda al Pubblico che legge che la produzione della St.Bernerdus Witbier era di Pierre Celis,infatti nella bottiglia c’e scritto Pierre Celis signature series..nonché definita l’originale ricetta Hoegarden.Oltre i bicchieri bassi e tozzi sono stati creati apposta per essere immersi nel ghiaccio perché questa birra va bevuta con il bicchiere ghiacciato,così si apprezza al massimo.
Buona giornata.
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