Se c’è una verità assoluta nel mondo della birra è che a stare dietro alle evoluzioni di IPA si rischia di impazzire. Il loro successo in questi anni è stato tale che inevitabilmente si sono create reinterpretazioni, correnti produttive, versioni regionali e variazioni sul tema. Le IPA moderne, nate dalla riesumazione di un antico stile britannico, si sono a loro volta reinventate di continuo, assecondando il gusto dei consumatori e – soprattutto – le mode del momento. L’esplosione della birra craft negli Stati Uniti è avvenuta intorno al concetto di American IPA, una definizione che oggi suona vaga al cospetto delle tante trasformazioni della tipologia, ma che per molto tempo ha avuto un significato abbastanza preciso. Oggi quell’espressione è usata raramente, perché quando ci si riferisce a una luppolata di stampo americano occorre specificarne le caratteristiche. È una West Coast IPA? Una New England IPA? Una Cold IPA? O una Midwest IPA? Ecco, parliamo delle Midwest IPA.
Un paio di mesi fa è stato pubblicato su Craft Beer & Brewing un articolo dedicato proprio alle Midwest IPA, cioè le luppolate tipiche degli Stati Uniti medio-occidentali. Per capirci è quella zona subito a est del centro del paese, composta da stati come l’Illinois, il Michigan, l’Ohio e l’Indiana. Le Midwest IPA quindi sembrerebbero l’ennesima varazione regionale delle luppolate americane, codificate magari più per scopi di marketing che per reali esigenze stilistiche. A differenza però di quanto accaduto di recente con le Northern IPA – espressione coniata e promossa dal produttore di lieviti Lallemand – in questo caso c’è una giustificazione più che lecita per la loro esistenza. Giustificazione che, a ben vedere, affonda le proprie radici nella storia della birra craft statunitense, benché l’espressione Midwest IPA non sia presente nei libri di storia birraria, né nelle linea guida dei concorsi birrari.
Cosa sono le Midwest IPA?
Le Midwest IPA possono essere descritte come IPA di colore ambrato, con una componente maltata relativamente robusta e una luppolatura orientata ad aromi agrumati, resinosi e tropicali. Vi ricordano qualcosa? Se trovate analogie con le IPA americane di un paio di decenni fa siete sulla strada giusta. Le Midwest IPA possono essere considerate le eredi dirette – con i dovuti adattamenti – delle luppolate caramellose e graffianti di inizio anni 2000. Quelle cioè che contribuirono a creare il mito del movimento craft della costa occidentale degli Stati Uniti, come l’influente West Coast IPA di Green Flash, lanciata nel 2005.
Nel frattempo però le West Coast IPA hanno cambiato radicalmente pelle e oggi sono birre chiare, secche e molto bevibili, in cui il supporto dei malti è ridotto al minimo. A ben vedere sono produzioni estremamente lontane da quelle del passato, per certi versi agli antipodi: colore chiaro invece che ambrato, secchezza e bevibilità al posto di struttura e corpo. Anche il profilo aromatico dei luppoli è cambiato, orientandosi (o comunque includendo) note tropicali tipiche delle varietà più moderne. Il precedente approccio allo stile però non è mai davvero scomparso, tanto che per riferirsi a quel modo di intendere le IPA si utilizzano spesso espressioni ambigue, come la vaga American IPA o la disorientante old-style (old-school) West Coast IPA.
Il ruolo dei consumatori
Se seguire il filo delle evoluzioni delle IPA è complicato per gli esperti del settore, figuriamoci per la massa dei consumatori di birra, non certo interessata a simili elucubrazioni. E in qualche modo la diffusione delle Midwest IPA risiede proprio nel gusto dei bevitori meno smaliziati, cresciuti con quella vecchia idea di American IPA: ambrata, carica, amara ma anche parecchio maltata. Bevitori che quando ordinano una IPA si aspettano quell’interpretazione lì, un po’ caramellosa e un po’ resinosa, con un amaro deciso sostenuto da malti Cara o Crystal. Una IPA vecchio stampo, ovviamente, ma anche confortevole e rassicurante per i palati meno esigenti.
Rispetto a quel modello, tuttavia, le odierne Midwest IPA prevedono qualche aggiustamento: anche le interpretazioni old-school devono adattarsi ai cambiamenti nel gusto dei consumatori. La ricetta della Head Hunter, ad esempio, l’IPA di punta del birrificio Fat Head di Cleveland (Ohio), è cambiata nel tempo: all’inizio degli anni ’10 era decisamente spostata sulla componente maltata, per la quale veniva spesso usato malto Pale, compreso il Maris Otter. Le unità di amaro sfioravano i 90 IBU, richiedendo una trama maltata robusta a supporto. Il birraio Matt Cole oggi definisce quella versione di Head Hunter una “IPA e mezzo”, proprio per sottolinearne la ricchezza (la densità finale era 1.013). La versione 2025 di quella birra è diversa: più snella, con un mix differente di malti (Caramalt, Carared o Crystal 15) per fornire corpo senza apportare dolcezza. Le Midwest IPA odierne spesso ricorrono a luppoli moderni, che forniscono aromi fruttati (specialmente tropicali), in aggiunta alle classiche varietà della famiglia “C” (Cascade, Chinook, Centennial, Columbus).
Nonostante le diverse sfumature, le Midwest IPA ancora oggi incarnano quel concetto di American IPA, che evidentemente è rimasto caro a tanti consumatori di birra, ma non a tutti. In passato pFriem, uno dei birrifici più celebri del Pacific Northwest, ha lanciato una sua Midwest IPA, che però non ha incontrato il successo sperato. I consumatori della costa occidentale sono rimasti tiepidi nei confronti di quell’interpretazione di IPA e la birra non è stata più prodotta. Esisterebbe quindi un gusto nei confronti della birra che cambia da regione a regione: ciò che piace ai bevitori della West Coast non piace a quelli del Midwest o della East Coast, e viceversa. Una probabile ovvietà, che però scardina molte dinamiche del marketing birrario.
Il paradosso delle Midwest IPA
Le Midwest IPA, insomma, rappresentano un curioso paradosso nel panorama brassicolo americano: birre che guardano indietro per restare attuali. In un contesto dominato da sperimentazioni sempre più estreme, queste interpretazioni del Midwest riportano al centro il gusto della birra che ha costruito la prima ondata della rivoluzione craft statunitense. Non c’è nostalgia fine a sé stessa, ma la consapevolezza che certe formule, se aggiornate con sensibilità moderna, possono ancora funzionare. L’amaro deciso, il colore ramato, il profumo resinoso e la base maltata: elementi che per molti consumatori rappresentano ancora “la vera IPA”.
In un’epoca in cui la comunicazione birraria vive di mode lampo e hashtag, le Midwest IPA dimostrano che la coerenza può essere una forma di innovazione. Non inseguono il gusto del momento, ma reinterpretano con misura ciò che ha reso iconico lo stile americano per eccellenza. Forse non saranno le protagoniste dei festival o delle tap list più “instagrammabili”, ma continuano a parlare una lingua familiare e genuina — quella di chi nella birra cerca prima di tutto sostanza, identità e continuità. E in fondo, anche questo è un trend.








