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Dall’Agenzia delle Dogane novità e semplificazioni per i micro italiani

logodoganeLe vicende degli ultimi giorni rischiano di fa passare alla storia questo 2013 come l’anno in cui la birra artigianale ha conquistato l’attenzione del legislatore italiano. Dopo la proposta di legge della Regione Piemonte, infatti, la birra artigianale torna oggetto della politica nazionale, grazie a una recente determinazione direttoriale dell’Agenzia delle Dogane. Il documento, firmato e diramato lo scorso 4 dicembre, riconosce finalmente la fattispecie del microbirrificio e stabilisce delle regole abbastanza chiare riguardo alla sua apertura e gestione. Possiamo definirlo un momento storico per il nostro movimento, perché il testo non solo disciplina un settore che per molti aspetti vive ancora alla mercé di una pesante anarchia burocratica, ma anche perché per la prima volta distingue i piccoli produttori (microbirrifici) da quelli di natura industriale.

Come si può leggere nel comunicato pubblicato oggi da Unionbirrai, le novità saranno diverse e avranno ripercussioni molto positive, per capire le quali occorre fare qualche passo indietro. In origine la legislazione italiana non prevedeva l’esistenza dei microbirrifici, ma solo delle industrie birrarie: quando iniziarono ad apparire i primi produttori artigianali, l’Agenzia delle Dogane attuò la postilla che demandava al singolo funzionario la responsabilità di dettare le regole per l’apertura del deposito fiscale o del brewpub. Questo buco normativo ha creato una disomogeneità di vedute tra funzionario e funzionario, fino a determinare situazioni molto disparate, in cui l’eccesso di zelo regnava sovrano ed era difficile per i microbirrifici operare sul mercato nazionale in modo uniforme.

La determinazione direttoriale, il cui testo integrale è consultabile in formato pdf sul sito dell’Agenzia delle Dogane, comporta alcuni vantaggi non indifferenti:

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  • Realizza una notevole semplificazione a livello impiantistico e burocratico, dettando regole precise ed eliminando la discrezionalità dei singoli funzionari.
  • Nello specifico limita il deposito fiscale alla sala cottura, mentre determina il pagamento dell’accisa sul mosto prodotto contabilizzato tramite contalitri o con un coefficiente di utilizzo di energia. Inoltre l’unico registro richiesto diventa quello delle lavorazioni indicanti la contabilità dell’accisa.
  • Stabilisce per la prima volta la fattispecie del microbirrificio, riconoscendogli delle esigenze e necessità diverse dai birrifici industriali.

Ci tengo molto a tornare sull’ultimo punto, perché secondo me è cruciale – diversamente probabilmente non avrei neanche dedicato un post alle novità dell’Agenzia delle Dogane. Questo presupposto permette di guardare al futuro con un discreto ottimismo, perché potrebbe facilitare l’adozione di ulteriori modifiche al fine di rendere la gestione di un birrificio artigianale più semplice e sensata. Ad esempio le prossime novità potrebbero riguardare un coefficiente di resa del mosto sulla determinazione delle accise (così da evitare di pagarle sulla birra andata persa durante la produzione) e l’eliminazione dell’obbligo di condizionamento esclusivo in loco (per il quale la birra infustata o imbottigliata può essere solo quella prodotta dal birrificio che possiede il macchinario).

In un senso più generale il documento rafforza una volta di più il concetto di birra artigianale nei confronti del legislatore, che a questo punto ha ben chiaro che esistono enormi differenze tra i prodotti commerciali delle multinazionali e quelli di qualità dei microbirrifici. Differenze non solo a livello organolettico, ma anche di produzione e gestione: pensare che ci sia una disciplina unica a regolamentare i due mondi – chiaramente disegnata sulle esigenze dell’industria – è un’assurdità priva di qualsiasi logica.

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Tutto bene dunque? Beh, in generale ha senso accogliere con soddisfazione queste notizie, che tra l’altro coronano un grande lavoro di pressione nei confronti dell’Agenzia delle Dogane. Probabilmente le novità introdotte dal documento non segneranno però una rivoluzione nel settore: la semplificazione forse faciliterà la nascita di nuovi birrifici, ma ormai il numero dei produttori in Italia è così alto che la sensazione è che avrebbe avuto più senso qualche anno fa. Purtroppo conosciamo bene i tempi di reazione della politica italiana, incapace ad adattarsi a cambiamenti epocali, figuriamoci a piccoli dettagli di nicchie produttive. Meglio tardi che mai, a ogni modo, quindi bene così.

C’è invece un aspetto della determinazione che personalmente piace poco e che purtroppo mi trovo a criticare tutte le volte che esce fuori. Mi riferisco a quei 10.000 hl annui come limite di discrezionalità tra ciò che è un microbirrificio e ciò che non lo è. Considerando che già oggi, in un settore che possiamo ancora considerare in forma embrionale, alcuni produttori artigianali hanno superato quella quota, un simile confine potrebbe rappresentare un grave freno allo sviluppo futuro del mercato. La solidità del movimento è raggiungibile solo con progetti di ampio respiro, che oggi pochissime realtà sembrano incarnare: se appena si aumenta la produzione si esce dalla definizione di microbirrificio, significa tutto il settore già da ora sta perdendo una grandissima occasione.

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Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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33 Commenti

  1. Un ringraziamento particolare ad Assobirra per l’ottimo lavoro svolto, sia in questa occasione che nel passato, con l’augurio che possa raggiungere tutti gli altri traguardi prefissati insieme, tra cui quelli citati da Andrea.

    • Se effettivamente il merito è di Assobirra, viene da chiedersi ma Unionbirrai, che ci sta a fare? E che c’è stata a fare tutti questi anni?

      Ciò rimetterebbe anche in discussione, tutto lo scandalizzarsi del settore o meglio di alcuni esponenti dello stesso, all’annuncio dell’ingresso di alcuni tra i principali attori del movimento, in quest’associazione.

      Molti ricorderanno lo sbrocco di Teo ed i commenti a seguire sulla totalità dei forum e dei blog. Forse alla luce di questo, i paladini dell’epoca, dovrebbero ritrattare?

          • Non so con chi si schiera Turbacci, vedendo un ringraziamento particolare, ho ingenuamente creduto all’esistenza della befana, anche se ho messo il mio bel se davanti alla frase. Evidentemente sono stato indotto a prendere un’abbaglio, maledetti mistificatori……….

          • In che senso? Che interessi avrei? Posso dirti solo che noi produciamo dal 1995 e sono solo circa 3/4 anni che possiamo distribuire,poco dopo il nostro ingresso in Assobirra.Ma con questo non voglio insinuare nulla, voglio solo renderti partecipe dei fatti. Quindi per me realtà significa 14 anni persi per le cause sopra citate. Se il merito è stato di UB tanto meglio, anche perché noi siamo stati tra i primissimi ad essere associati UB.Ritieni giusto giudicare le mie intenzioni per un ringraziamento e senza sapere cosa è successo in questi 18 anni?

  2. Vorrei invitare Assobirra ad una singolar tenzone:
    mettiamo sul piatto le mail scambiate con i funzionari delle Dogane e vediamo se il merito del lavoro è di Assobirra, che non aveva un gruppo di lavoro apposito ed è stata chiamata alle riunioni iniziali che di chiusura dell’accordo e che ben poco ha da proporre sul modo di determinare l’accisa in un microbirrificio o di Unionbirrai, che ha lavorato sodo, scrivendo e riscrivendo proposte fino al raggiungimento di un risultato. Io sono per dare a Cesare ciò che è di Cesare e quindi ringraziare Alessandra Brocca (Birrificio Lambrate), Vittorio Ferraris (BSA), Giulio Marini (Birrificio Italiano) Manuel Piccoli (Birrificio del Ducato), Alessio Selvaggio (Croce di Malto e consigliere Ub) e Simone Monetti (direttore operativo Ub) per il bel lavoro fatto ed i risultati raggiunti. Poi, se mi è permesso (e parlo come me stesso e non per altri ruoli) siamo 4 gatti, finiamola di inneggiare chi ai guelfi o chi ai ghibellini e facciamo le cose concrete che interessano tutti. Quindi nonstante la stima che provo per lui, Turbacci se la poteva anche risparmiare sta smargiassata a favore di Assobirra, ben sapendo come stavano le cose

  3. Ci tengo a sottolineare che io sono Marco il figlio di Giovanni Turbacci. In virtù di questo potrei aver perso qualche passaggio.In ogni caso ho piacere di ringraziare tutti quelli che si sono scomodati per la causa e credo che soprattutto in queste circostanze l’unione faccia la forza, non c’era malizia nei miei ringraziamenti, ero semplicemente entusiasta per l’evento.Quindi alla luce dei fatti ringrazio anche UB e mi unisco ai ringraziamenti di Claudio.A testimonianza di ciò, come potrai verificare Claudio, è il mio primo post sul tema e non inneggiava alla divisione ma ai ringraziamenti per l’operato.Sarò ben felice di brindare con te per il bel risultato raggiunto.Buon Lavoro

  4. Mi sa tanto che i 10.000 hl siano la soglia che tenderebbe ad escludere due dei più grandi micro italiani, che però stanno da quell’altra parte.
    Al di là delle sciocche fazioni e dell’orgoglio per il quale continuano a vivere, condivido le osservazioni di Andrea. Troppo tardi, i birrifici che continueranno a spuntare potrebbero avere paradossalmente qualche valida ragione nel non puntare a grandi numeri.

  5. si pagherà sul mosto che viene prodotto anzichè sul prodotto finito venduto.Significa che ci sarà da anticipare il pagamento dell’accisa e si pagherà anche sulle perdite di lavorazione, beh un bel traguardo, non c’è male, veramente geniale.Meno male che abbiamo due anni per adeguarci.

      • In pratica se ho ben interpretato il documento, ci si limiterà all’imposizione di un unico contatore, invece dei diversi imposti sino ad ora. Un contatore dell’energia impiegata nella fase di cottura, con calcolo degli scarti o in alternativa un conta mosto posto dopo lo scambiatore.

        Che però dovrebbe misurare a 20°C, cosa impraticabile per chi fa basse. La prima soluzione è di gran lunga la più praticabile ed ampiamente la più economica.

        Si eviterebbero pertanto conta pezzi e conta litri sulle linee di confezionamento e relative linee fisse piombate, che fanno notevolmente lievitare i costi.

        Per contro non si avrebbe la sospensione d’accisa prima della messa i vendita, ma si pagherebbe nel momento della produzione del mosto.

        Il limite dei 10.000 hl/anno cambia poco, nel senso che non è giusto includere chi produce oltre questo volume come industriale, ma è anche vero che difficilmente s’inizia con quella capacità, pertanto chi inizia o i piccoli dovrebbero essere facilitati e per i grandi non sarà certo un problema e penso che non lo sia nemmeno per chi grande lo diventerà, a quel punto potrà avere anche le risorse necessarie all’adeguamento.

        Diverso il discorso per quei piccoli e medi che già si sono adeguati, spendendo fior di quattrini per niente, trovandosi invece a dover anticipare il versamento dell’accisa, senza nessun vantaggio.

        Questo è ciò che ci ho capito io, ma le leggi vanno interpretate.

        • Apro una parentesi. Chiaramente il discorso dei 10.000 hl è irrilevante (almeno credo) per l’oggetto del post, ma è un limite che vedo ricorrere spesso. Al di là del caso specifico, se comincia a girare l’idea che la vera birra artigianale è quella sotto i 10.000 hl annui secondo me diventa un bel problema, perché quel confine viene preso come paradigma per qualsiasi cosa. E sarebbe un bel problema…

          • Be non penso che hai consumatori non sia data a sapere la capacità produttiva dell’impianto del loro produrre preferito. Leggono artigianale, ergo buona, salvo poi non essere sempre vero.

            Ciò non toglie che fissare dei volumi tra artigianale ed industriale, non abbia senso. Le differenze, non tanto tra artigianale ed industriale, ma tra birra buona e birra cattiva, sta nei metodi, nella scelta degli ingredienti, nei tempi di produzione e nelle capacità di chi la produce. Volumi e/o automazioni c’entrano poco.

          • La prima parte non l’ho capita, mentre per la seconda il punto non è se sia giusto o no stabilire dei limiti. Ma se si decide di stabilirli, che non siano quelli per dio.

        • Siccome parlavi di un bel problema dicendo che si potrebbe diffondere l’errata credenza, che esista una vera ed una falsa birra artigianale, pensavo tu ti riferissi ai consumatori finali. Diversamente sono io che non ho capito.

          Che poi che oltre al volume di 10.000 hl/anno, si escludano alcuni birrifici è sbagliatissimo, ma sarebbe sbagliato comunque escludere che, trattasi di birra artigianale, con qualsiasi volume. Mentre legislativamente parlando, visto che si tratta di benefit, un volume va fissato, certo non quello indicato. Parere mio naturalmente.

          • No il problema è a livello puramente legislativo, non parlavo dei consumatori. Paradigma legislativo, quello intendevo. Quindi la pensiamo allo stesso modo…

        • il contatore energetico, moltiplicato per un coefficiente FISSO PER OGNI TIPO DI BIRRA da accertarsi con visita delle Dogane, dovrebbe generare il totale dei litri prodotti? Per un birrificio che ha in lista 10 birre, significherebbe 10 visite delle Dogane… e guai ad allungare un ammostamento perchè il malto non converte o una bollitura perchè i plato sono bassi, perchè fa sballare il contatore energetico dichiarato!! Non so, ma a me questo contatore unico energetico sembra una complicazione terrificante, chi ha capito meglio mi spieghi cosa si voleva fare…

          • Penso possa essere presa a riferimento la produzione più impegnativa, a livello energetico e su quella base, determinare, il totale della produzione.

            Quindi tot kW consumati, corrisponderebbero ad un volume di mosto prodotto, predeterminato. Ciò andrebbe a favore del birrificio, costituendo, di fatto, una sorta di forfè.

            Nella mia città, diversi birrifici, adottano questo sistema.

  6. Ci sono luci e ombre sul document, rispetto a quanto facciamo oggi (e autorizzato su base locale dalle Dogane provinciali)
    – il contamosto deve essere collegato allo scambiatore con tubature inamovili (oggi non lo è, bel casino sanitizzare in controflusso)
    – la tolleranza sui plato è di 0,5 (meglio rispetto allo 0,2 attuale) rispetto alla RICETTA e non al dichiarato in fase previsionale (quindi se cambio il mix di malti per un esigenza contingente, devo re-inviare la ricetta in raccomandata, anche solo per una volta?).
    – nella ricetta va indicata la quantità d’acqua usata: solo in mash o in tutte le fasi? E perchè, visto che tanto non è conteggiata fiscalmente?
    – la birra detenuta è in accisa assolta, quindi addio export ( a meno di procedure di rimborso accise e doppio pagamento in loco e in destino).

    Scusate il post tecnico ma si chiude una porta e si apre un portone…

    • Penso che per l’export sia sufficiente eleggere un deposito fiscale in separata sede, mica faranno pagare l’accisa doppia. Oppure sia previsto un rimborso, con documenti d’esportazione alla mano.

      Per lo scambiatore si dovrebbe evitare il conta litri, con un conta energia. La pulizia di uno scambiatore andrebbe sempre e comunque eseguita in controcorrente.

      La faccenda delle ricette è invece una bella menata.

      • il problema è che l’accisa è sul mosto, quindi far pagare a destinazione (ad esempio intra UE) significa pagare subito, far pagare a destinazione e poi chiedere il rimborso. Vabbè.
        Per la sanitizzazione, il controflusso è legge, ma con il contalitri saldato gira pure lui…. e pure parecchio!

    • il nostro contamosto ,in base alle disposizioni delle Dogane è già collegato con tubature inamovibili allo scambiatore. Nei registri siamo obbligati ad indicare ,oltre alla quantità di materia prima utilizzata in ogni produzione (immagino che per le dogane per “ricetta” si intenda quello),la quantità di acqua (mash+sparge) e l’energia consumata compreso un calcolo dei consumi specifici KWh/litro. inoltre siamo costretti anche a calcolare lo scarto tra il mosto trasferito e il prodotto confezionato.Per noi quindi non cambia granchè da quel punto di vista. La cosa che mi lascia perplesso è appunto la questione dell’accisa. Mi lascia anche perplesso il fatto che questa norma da quello che si dice in questo forum è stata proposta da Assobirra (rappresenta l’industria o sbaglio?)oppure da Unionbirrai in collaborazione con birrifici che “immagino” producano un pochino di più rispetto al limite fissato dei 10.000 Hl.Quindi in teoria i cambiamenti non riguardano quei birrifici ma quasi tutti gli altri.

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