A Torino il nome Metzger è tornato a risuonare con forza. Dopo anni di silenzio, lo storico marchio nato nel 1848 è rinato con una nuova realtà produttiva che unisce memoria e innovazione, restituendo vita a un simbolo della tradizione birraria piemontese. Il progetto, che si distingue per la cura nella comunicazione e per una forte attenzione alla sostenibilità, porta la firma di un gruppo di professionisti di lungo corso del settore, tra cui Guido Palazzo, vecchia conoscenza di Cronache di Birra – abbiamo collaborato in passato all’IGA Beer Challenge – e oggi responsabile coordinamento, marketing e comunicazione del birrificio. Con lui abbiamo parlato del difficile equilibrio tra passato e presente, delle scelte tecniche e di immagine che hanno accompagnato la rinascita di Metzger, e del ruolo che un birrificio cittadino può giocare nel rapporto con il proprio territorio.
Ciao Guido, per rilanciare un marchio storico come Metzger avete sicuramente dovuto scegliere cosa mantenere del passato e cosa rinnovare. Quali sono stati gli elementi identitari su cui avete deciso di costruire il “nuovo” birrificio Metzger?
È una domanda davvero importante che richiederebbe una risposta molto articolata. Quando si parte su un progetto nuovo, da zero, spesso ci si trova davanti ad una pagina bianca tutta da scrivere, con molta libertà d’azione. Nel caso della nuova Metzger 1848, questa pagina bianca è più assimilabile a un nuovo capitolo di una storia in gran parte già scritta, che richiede forse maggiore attenzione, sicuramente meno leggerezza rispetto ad un progetto ex novo. Non si può ignorare il passato: è una grande responsabilità ma anche una grande sfida.
Dal punto di vista del marketing e della comunicazione abbiamo deciso di mantenere un canale aperto con la storia di Metzger andando a recuperare intuizioni, elementi (anche grafici) che per la loro bellezza potevano essere adattati alla contemporaneità. Ad esempio abbiamo lavorato sul brand, la “M” rossa distintiva di Metzger, dandole maggiore risalto, oltre a riprendere e valorizzare l’elefantino rosso disegnato nel 1931 per l’azienda: soggetto che ha in sé una modernità incredibile. Anche le etichette delle birre sono state riviste, pur mantenendo alcuni elementi di innovazione già in precedenza elaborati e che, per noi, in parte erano allineati al nostro concetto grafico di presentazione del prodotto. In generale abbiamo deciso di puntare sulla forza che il brand possiede, che sentiamo nostra e che siamo convinti di poter rappresentare.
Per contro, dal lato produttivo abbiamo pensato ad un rinnovamento complessivo, ripartendo dalla costruzione di una nuova gamma di referenze che, pur mantenendo sottotraccia un legame (più ideale che reale) con la storia di Metzger, sono molto contemporanee e frutto di una attenta lettura della situazione commerciale odierna. Infine abbiamo sviluppato anche i temi della sostenibilità e della relazione, in primis con la città di Torino.
La vostra impostazione punta a un equilibrio tra tradizione e innovazione. Come avete gestito questo binomio dal punto di vista tecnologico, tra fedeltà allo stile storico Metzger e strumenti produttivi di nuova generazione?
La nuova gamma di Metzger si concentra prevalentemente su birre a bassa fermentazione di ispirazione tedesca, con qualche eccezione che il mercato ti costringe a tenere in considerazione. Abbiamo un impianto produttivo da 20HL e una capacità di cantina da 240HL; se da un lato cerchiamo di dare una identità alle nostre birre – una firma Metzger per intenderci – dall’altro abbiamo necessità che il prodotto incontri il più possibile il palato della gente. In linea generale non siamo un birrificio che vuole stupire con fuochi di artificio o inseguire il trend delle referenze con più “hype”, vogliamo piuttosto essere percepiti come un marchio che produce bene e con un costante standard qualitativo. Ovviamente siamo artigianali e questo ci permette di dare “colore” alla nostra produzione. Ricerchiamo profumi e sapori ma non puntiamo a far diventare una birra un prodotto da circo. Dal punto di vista delle ricette cerchiamo di fare il meglio possibile con gli ingredienti base lasciando al tempo il lavoro di affinamento del prodotto.
Confezioniamo prevalentemente in fusti di acciaio ed in bottiglie di vetro da 33cl (tutte le referenze) e 75cl (solo alcune) per essere il più possibile coerenti con il nostro obiettivo di sostenibilità. Nel 2026 lanceremo anche alcune referenze in lattina, che a livello di marketing crediamo più indicate per quel contenitore. Non vogliamo però andare a sovraffollare la nostra gamma che deve coprire giustamente una pluralità di gusti ma non deve diventare confusiva per il consumatore finale. Birre orientate all’alta bevibilità: dritte al punto, diciamo noi.
A proposito di confezionamento, oggi questo aspetto gioca un ruolo strategico, sia in termini di efficienza produttiva sia di qualità del prodotto finito. Come avete impostato questa parte del processo e cosa vi ha guidato nella scelta della vostra macchina di confezionamento?
Nel processo di acquisizione del sito produttivo abbiamo trovato dei macchinari molto efficienti e di primissima qualità. Abbiamo ovviamente dovuto investire in aggiornamenti e
manutenzioni ma sono macchine che ci permettono molta flessibilità e standard di qualità alti. In particolare, per quanto riguarda il confezionamento abbiamo trovato grande collaborazione con lo staff di Cime Careddu per la revisione delle macchine presenti, sulle quali abbiamo dovuto intervenire lo stretto necessario per le nostre nuove esigenze. È importante avere macchine affidabili ma anche un rapporto dinamico con l’azienda che le produce affinché si possa lavorare al meglio. Ci siamo imbattuti in qualità e abbiamo deciso di investire in questo standard.
Nella fase di start up, le decisioni strategiche non riguardano solo l’impianto ma anche la costruzione dell’immagine e del racconto aziendale. Quanto è importante, per voi, che la parte visiva e comunicativa sia coerente con la filosofia produttiva?
Per noi Metzger è il brand dietro al quale si muove tutto lo staff di lavoro: non ci sono uomini immagine o comunicazione “punk” ad effetto. Per noi l’obiettivo è riportare in alto il marchio e rinnovare un legame forte con il territorio, come detto, in diversi modi: sia a livello di prodotto, affermandoci nel circuito Ho.Re.Ca, che di relazione con i clienti sia sul piano aggregativo che di proposta culturale. Lavoriamo con un team allargato di collaboratori che comprende anche un ufficio stampa ed una agenzia di comunicazione: con loro cerchiamo il più possibile di valorizzare l’eredità storica calata nel contesto odierno. Sito e social, ovviamente, non possono mancare: la comunicazione è coerente per forma e sostanza con la filosofia produttiva.
Cerchiamo essenzialità ma non per questo vogliamo risultare elementari. Anche a livello estetico: moderni, con attenzione alla storia. Detto questo ci interessa però molto la relazione umana ed è anche per questo che a inizio ottobre abbiamo deciso di organizzare il nostro Metzgerfest, di aprirci alla città offrendo (letteralmente) la possibilità al pubblico di venirci a conoscere e assaggiare le nostre birre: visti gli oltre 1.700 passaggi possiamo ritenerci soddisfatti per questo primo appuntamento.
Guardando al futuro, quali altri aspetti tecnici pensate di evolvere per consolidare la vostra idea di birrificio sostenibile e orientato alla qualità?
Siamo partiti solo da qualche mese, siamo una realtà “giovane” nonostante i professionisti coinvolti nel progetto siano da anni nel settore delle birre artigianali. Al momento l’obiettivo principale e fare conoscere la nuova Metzger 1848 al pubblico, cercando di consolidare nel minor tempo possibile la relazione con il territorio e fidelizzare con Torino, in particolare. Il percorso è quello di migliorare costantemente sulla qualità delle birre in gamma.
Oggi siamo ai blocchi di partenza, ci riteniamo soddisfatti ma sappiamo di aver appena intrapreso la via. Tra un anno avremo un quadro più reale delle certezze che stiamo cercando. Punteremo sicuramente ad incentivare il flusso dei fusti in acciaio ed il reso delle bottiglie di vetro. Abbiamo puntato su etichette realizzate con carta di qualità riciclata, Wash off, che possono essere facilmente eliminate nel processo di lavaggio e riutilizzo delle bottiglie. Punteremo a dare maggiore efficienza al processo produttivo e a diminuire gli sprechi che in questo settore sono un elemento a cui dedicare particolari attenzioni.










