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La schiuma nella birra: come, quando e perché

Il detto “anche l’occhio vuole la sua parte” è valido in tantissimi aspetti della vita quotidiana e ha una sua preminenza anche nel mondo della birra. Prendete la valutazione di un giudice: chiaramente si concentrerà sulle caratteristiche olfattive e gustative, ma non potrà non dare il giusto peso anche alla parte estetica del prodotto. E se parliamo di analisi visiva, uno degli aspetti più importanti – se non il più importante in assoluto – è quello relativo alla schiuma, che deve rispettare dei criteri ben precisi. La schiuma è probabilmente uno dei caratteri più distintivi e affascinanti della birra, capace di distinguerla da tutte le altre bevande alcoliche, nonché uno dei più sottovalutati. Per questa ragione il post di oggi è dedicato a questo segno distintivo, un elemento in grado di ammaliare ed estasiare prima ancora della bevuta.

La schiuma è necessaria!

Spero tutti voi sappiate che la presenza della schiuma nella birra non solo è auspicabile, ma quasi sempre necessaria. Nell’opinione pubblica purtroppo non sempre gode di grande fama, a causa della credenza – direi piuttosto infondata – che i publican disonesti tendano ad “amplificarla” per rubare sulla quantità di birra nel bicchiere. In realtà la schiuma è una parte fondamentale del servizio, perché ha degli effetti importanti sulla qualità del risultato finale: contribuisce infatti a trattenere i profumi e le relative sfumature e ritarda l’ossidazione della bevanda. E poi ha un fascino visivo unico e irripetibile… a quanto pare un detto del Sud Tirolo recita così: “una birra senza schiuma è come una signora senza ornamenti”.

La quantità di schiuma attesa varia da stile a stile

Non tutti gli stili birrari prevedono una schiuma uguale, poiché esistono evidenti differenze da tipologia a tipologia, nonché da nazione a nazione. Se pensiamo a una schiuma maestosa e pannosa, probabilmente la mente ci porta in Belgio: i complessi stili d’abbazia (Tripel, Dubbel, Quadrupel), così come le diffusissime Belgian Strong Ale, si caratterizzano subito per una schiuma abbondante e persistente, segno distintivo di un’intera filosofia di fare birra. Non è un caso che con “merletti di Bruxelles” si indichino i segni di schiuma lasciati sulle pareti dei bicchieri di queste tipologie.

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Nel Regno Unito invece esiste una certa idiosincrasia nei confronti della schiuma, che in certe zone è accettata solo se non supera una o due dita d’altezza. Dai relativi stili quindi non ci aspetteremo schiume imponenti, sebbene una trama fine e compatta sia sempre auspicabile (e segno di qualità). Gli stili tedeschi invece sono molto più vicini al Belgio da questo punto di vista – una strana analogia per due nazioni birrariamente agli antipodi.

Se l’assenza totale di schiuma è un grave segno negativo per una birra, esistono degli stili che fanno eccezione. Ad esempio in un forte Barley Wine anglosassone la mancanza di schiuma è assolutamente preventivabile, anche perché l’alcool è un agente che non ne favorisce la formazione.

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Agenti a favore o contro la schiuma

Oltre all’alcool, esistono altri agenti che operano contro la formazione di schiuma. Uno di questi è esterno alla produzione brassicola e riguarda il modo in cui vengono lavati i bicchieri: i detergenti ad esempio possono essere brutte bestie in questo senso. I lipidi in generale compromettono la formazione di schiuma, così come alcuni enzimi prodotti da luppoli vecchi.

Gli elementi che giocano a favore della schiuma sono invece diversi. Gli agenti più importanti nella sua stabilizzazione sono innanzitutto i polipeptidi derivati dai grani, che reagiscono con gli iso-alfa-acidi del luppolo contribuendo alla stabilità e all’aderenza della schiuma ai bordi del bicchiere. Sempre il luppolo gioca a favore della schiuma quando si ricorre ad alcune tecniche produttive, come il dry hopping. Anche il momento della spillatura è fondamentale: il famoso “cappello” delle Guinness nasce dall’uso di impianti in carboazoto, mentre il ricorso allo sparkle nelle handpump inglesi bilancia l’assenza di anidride carbonica al momento del servizio nel bicchiere (e quindi della formazione della schiuma).

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Come si forma la schiuma?

Negli scorsi giorni uno studio dell’Università Carlos III di Madrid ha svelato nuovi dettagli sul meccanismo di formazione della schiuma. Secondo uno degli autori, la cavitazione sarebbe il principale responsabile della formazione di bolle: durante l’impatto contro la bocca di una bottiglia, il movimento avanti e indietro di compressione e di espansione innesca la formazione di bolle che collassano rapidamente. Studiando l’interazione fra bottiglia e fluido, i ricercatori hanno dimostrato che, a causa della cavitazione le bolle più grandi, formano nubi di gas carbonico (bolle più piccole), che poi diventano grandi e si espandono con una velocità maggiore di quelle da cui si originano. E’ proprio questa rapida espansione delle bolle “figlie” che rende possibile la “galleggiabilità” della schiuma. Se non avete capito nulla della spiegazione, siete in buona compagnia: io mi limiterò a vederla formarsi prima di bere una buona birra 🙂 .

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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37 Commenti

      • comunque un’altra cosa che inibisce la formazione della schiuma è la presenza di alcuni olii essenzizali contenuti sopratutto nella frutta secca….motivo per cui se la si vuole aggiungere in DH bisogna preventivamente tostarla 😉

  1. Domanda ingenua: come mai le IRS invece hanno schiume abbondanti e generose, spesso cremose, nonostante la forte gradazione alcolica?

    • È una cosa che mi sono chiesto anche io mentre scrivevo e alla quale sinceramente non so dare risposta, ammesso che ce ne sia una sola.
      D’altra parte la schiuma nelle IRS è molto variabile, ad esempio in un modello classico come la Harvey’s è molto contenuta.

    • una buona parte del merito potrebbe derivare dall’uso di orzo crudo, non infrequente per lo stile ed abbastanza tradizionale, che oltre ad inspessire il mouthfeel contribuisce senz’altro alla tenuta di schiuma ed alla cremosità

  2. la schiuma ha indubbiamente un suo perchè, come anche la scelta del bicchiere, ma l’assaggio/bevuta e conseguente goduria sono altra storia..
    detto ciò, appena esco dal lavoro vado a farmi una birra, assolutamente!! 🙂

  3. Correggetemi se sbaglio, ma una delle responsabili della quantità e della persistenza della schiuma è la percentuale d’estratto secco presente nel mosto, che comporta anche la corposità della birra. In sostanza la presenza delle destrine.

    Zuccheri non fermentescibili, in quanto la loro molecola ha dimensioni maggiori, rispettivo a quella del lievito e di conseguenza questo non riesce a metabolizzarla, trasformandola in alcool.

    Un maggior contenuto di destrine è ottenibile in tre modi:

    impiegando una maggiore quantità di malto e di conseguenza brassando birre più forti, anche nel tenore alcolico e da qui la schiuma delle Belghe.

    utilizzando il metodo della decozione, cioè estrazioni più lunghe finalizzate all’aumento delle destrine, utilizzando le stesse quantità di malto, quindi birre moderatamente alcoliche, ma molto corpose e da qui la schiuma pannosa delle Pils Boeme.

    Aggiungendo destrine, che per il costo ed il metodo è una soluzione riservata alle produzioni casalinghe.

    I famosi anelli di schiuma, che restano nel bicchiere, citati da Andrea, sono indice di un’alta percentuale d’estratto secco oltre ad un’ottima spillatura in più tempi.

    Anticamente questo era un metodo per determinare la qualità della birra prodotta. Quando nel centro Europa i comuni mettevano a disposizione dei birrifici, per chi volesse produrre e rivendere della birra, previo l’ottenimento di una licenza, c’era un messo comunale incaricato di verificarne la qualità.

    Si versava un boccale di birra su uno sgabello in legno ed il messo, che indossava un paio di pantaloni in pelle, ci si sedeva sopra, se rialzandoli dopo poco, lo sgabello restava appiccicato alle braghe, significava che la birra era buona, cioè con un’alta percentuale d’estratto secco, che la rendeva corposa, collosa, appiccicosa.

    • la percentuale di (estratto secco??!!)destrine, per quanto ne so, è un fattore decisamente marginale se non del tutto irrilevante ai fini della costruzione della schiuma per un birraio

      • Quindi la corposità di una birra non avrebbe niente a che fare con il tipo di schiuma della stessa.

        Come se una Corona potesse avere la stessa schiuma di una triple Belga?

        • quindi seguendo il tuo ragionamento i BW dovrebbero essere tutti matasse di schiuma…

          secondo me non bisognerebbe addentrarsi in labirinti tecnici della produzione quando questa si conosce per sommi capi….il primo modo di dare destrine ad un mosto ad esempio, quello che impara subito il neofita, è attraverso una saccarificazione ad alte T° combinata all’uso di malti destrinici, al contrario di ciò che scrivi….

          • A parte che si sta ragionando e non sto cercando d’insegnare niente a nessuno. Non sto dicendo che la corposità di una birra è l’unico fattore, ma uno di questi.

            Bisogna anche vedere come poi la birra viene prodotta, il tuo esempio dei BW calza a pennello, questi subiscono lunghe lavorazioni, che comportiamo esposizioni alle ossidazioni e questo non favorisce la schiuma, oltre all’elevato tenore alcolico, come giustamente precisato da Andrea.

            E’ giusto ciò che affermi, alte temperature e malti destrinici, ma non è il contrario di ciò che ho scritto, visto che parlavo di decozione, cioè 100°C e Pils Boeme, dove penso s’impieghi il più destrinico tra i malti.

            Anche secondo me non bisognerebbe addentrasi nei tecnicismi della produzione, quando questa la si conosce sommariamente, ma non so ne a cosa, ne a chi tu ti riferisca, visto che non mi dici, niente di nuovo.

            Poi secondo questo ragionamento non dovrebbero esiste i forum birrai, dove per altro scrivi e dove non mi risulta che ci siano tutti questi espertoni, ma anzi semplici HB, che si scambiano pareri ed esperienze, come peraltro stiamo facendo noi qui.

          • forum, blog o mondo reale che sia, se si dicono castronerie o inesattezze con velleità da cicerone, lo si fa notare…
            “[..]Un maggior contenuto di destrine è ottenibile in tre modi: [..]”
            mi pare un tono un pochino da insegnamento…ma hai smentito quindi ok…chiudiamo.

            per tornare alla faccenda destrine(che non vengono prodotte a 100°C ma a T enzimatiche) probabilmente danno anch’esse un contributo, ma non è una questione cosi’ centrale…altrimenti molte birre povere in struttura non avrebbero la notevole schiuma che hanno…in questo senso la chiave del gioco sono le proteine…

            occhio ai semplici hb…molti sono preparati quanto birrai…mentre altri sono piuttosto permalosi 😉

          • Ha ragione su tutto, ma solo una precisazione, le destrine non vengono prodotte, ma estratte e non c’è miglior metodo della decozione.

            Sulla preparazione di certi birrai, meglio sorvolare. (metterei una faccina sorridente se solo sapesse come cavolo si fa)

          • destrine e maltosio sono prodotti dagli amilasi scomponendo gli amidi nell’ammostamento(decozione o infusione che sia)
            poi successivamente estratti

            perdono per l’OT ^^

          • Non discuto, però andando a logica, essendoci dei malti più destrinici di altri, mi fa pensare che il carico di destrine, debba prima essere contenuto nel malto e poi successivamente estratto. Più che di produzione parlerei di conversione, ma sono finezze linguistiche.

            Tieni presente che il nome corretto dell’ammostamento è fase d’estrazione e ciò che se ne ricava è estratto di malto. Che non c’entra niente con i kit. Mi scuso con Andrea ormai siamo ampiamente OT, ma spero comunque d’interesse. (faccina ridens)

          • da quanto si deduce dalle info dei produttori, gli unici malti a contenere destrine sono i caramelli, che rappresentano solamente una piccola % nel normale grist di un mosto, ammesso che siano presenti(0-10/15%)
            questo proprio perchè sono stati sottoposti dallo stesso produttore ad una sorta di mini-mash…
            rimangono cmq una goccia nel mare in quanto il grosso(malti base) è amidaceo e va convertito…

          • Mi devo ripetere, se si parla di malti più o meno destrinici, significa che i malti, in base alle diverse tipologie, hanno un potere destrinico differente, l’uno dall’altro. Poi è chiaro che per ottenere le destrine, dai chicchi, sia necessaria una estrazione, conversione, trasformazione.

            Quindi per malti più o meno destrinici, s’intende la possibilità d’estrazione, conversione, trasformazione, dagli stessi. Fin qui penso si possa essere d’accordo.

            http://www.hobbybirra.info/view_megafaq.asp?id_menu_megafaq=58

            Si però non leggere solo la prima riga dei miei messaggi, perché nella seconda e terza riga c’è scritto che per ottenerle, bisogna prima estrarle. Non so se ti rendi conto ma sono svariati post che diciamo le stesse cose, prima mi scrivi che la schiuma di una birra, non ha niente a che fare con la sua corposità, salvo poi convenire che, magari non è il fattore principale, ma un di questi.

            Poi mi dici che non dovrei addentrarmi in cose che non conosco, che non si capisce da dove tu lo deduca. Anche perché mi sembra di tenere botta.

            Poi mi scrivi che le destrine si ricavano ad alte temperature, al contrario di ciò che affermo e ti faccio notare che parlavo di decozione e quindi diciamo la stessa identica cosa.

            Poi mi contesti il tono, salvo poi scrivere che mi smentisco, quindi una tua sensazione, diciamo errata.

            Poi scrivi: destrine e maltosio sono prodotti dagli amilasi scomponendo gli amidi nell’ammostamento (decozione o infusione che sia)
            poi successivamente estratti

            Salvo poi dire che si producono e non si estraggono

            In ultimo dici che i malti non contengono destrine, se non i caramelli, però sin dal primo post si concordava sul fatto che ci fossero malti più o meno destrinici.

            La domanda sorge spontanea, ma tu da me che vuoi? Va bene fare gli sceriffi, ma così, manco le cozze!! E te lo dico con affetto.

          • Roberto, evidentemente mi spiego male..ma che è sto potere destrinico?!:)
            mai parlato di malti piu o meno destrinici..ho soltanto specificato che nell’ammostamento per la quasi totalità dei malti(amidacei)c’è conversione amido->maltosio e destrine
            i soli malti ad avere già destrine sono i cara, che rimangono una piccola percentuale, ammesso che vengano usati, stop…almeno che ne sappia io
            sono concetti piuttosto basilari ma non so se tu abbia mai fatto un ammostamento…

            sorvolo sulla mania di persecuzione e la chiudo qui 🙂

          • Anch’io la chiudo qui, ma permettimi solo due precisazioni, premesso che non faccio la birra di mestiere, anche perché come già detto, mi affido a professionisti del settore, di ammostamenti ho cominciato a farne nel 1986, poi nel 98 ho smesso di farne in casa e cominciato a farli su impianti, in mezza Europa. In ogni caso non mi ritengo abbastanza esperto per lanciarmi in produzioni commerciali da solo.

            Anche il potere destrinico dei malti è comunque un concetto basilare.

            Parli di mania di persecuzione, perché ho riassunto i tuoi commenti? Io direi di no, semmai un leggero accanimento, nel voler trovare l’errore a tutti i costi, quello si. Man se la discussione rimane civile ed anzi può servire ad uno scambio pacato d’opinioni, che può interessare chi ci legge, ben venga.

            Diversamente non penso che Andrea avrebbe permesso l’ampio OT.

    • “Zuccheri non fermentescibili, in quanto la loro molecola ha dimensioni maggiori, rispettivo a quella del lievito e di conseguenza questo non riesce a metabolizzarla, trasformandola in alcool.”

      Eh?? Gli zuccheri non sono fermentabili o non fermentabili a seconda che siano “più grossi rispetto al lievito”.

          • Quindi se una birra è dolce significa che è venuta male? Facci capire…

            No fammi capire tu da dove hai dedotto sta cosa?

        • @roberto: Io contestavo solo la tua affermazione inesatta secondo cui gli zuccheri sarebbero “non fermentescibili” quando, CITO: “la loro molecola ha dimensioni maggiori rispettivo a quella del lievito e di conseguenza questo non riesce a metabolizzarla, trasformandola in alcool”.
          Puntualizzavo solo che non è così, ma non volevo dilungarmi perché è off topic. Comunque in due parole,.. al massimo l’uptake può essere determinato dalle dimensioni (anche se in misura maggiore sono la forma e la composizione a stabilire l’affinità per il trasporto), ma in cellula la capacità di “metabolizzare” un particolare carboidrato dipende dai complessi enzimatici di cui il ceppo (o in altri casi la specie) dispone.

          Poi che sia il luppolo a dare l’amaro alla birra grazie tante… ma si parlava d’altro.

          • Semplificavo per evitare l’OT, comunque non avrei potuto spiegarlo meglio di come hai fatto tu.

            La precisazione del luppolo, non è per dire che dava l’amaro, questo lo sanno anche i sassi, ma per dire che senza questo, la birra sarebbe dolce, proprio per la presenza di zuccheri residui.

            Non dovrò mica specificare ogni cosa che scrivo, per filo e per segno, per evitare il fraintendimento, non mi sembra che qui manchi una certa dose di comprendonio, dai.

  4. La schiuma, fonte delle principali qualità della birra, di equilibrio e fragranza, se appena degustata lascia un baffo bianco, gustoso e persistente, possiamo ben definire il prodotto genuino…!

    • Beh solitamente una schiuma eccessiva, soprattutto se poco ordinata ed evanescente, indica una carbonazione fuori controllo (se non infezioni)

  5. Mi aggrego alle diverse affermazioni riguardo la valutazione della schiuma come indice di equilibrio del prodotto.

    E aggiungo che: Avendo fatto diverse degustazioni, sono arrivato alla conclusione che in alcuni casi, la schiuma inibisce lo sprigionarsi di alcune note direttamente dal liquido, mentre ne “vaporizza” altre.

    Sicuramente protegge il prodotto una volta nel bicchiere, ma al suo abbassarsi porta nel liquido una sorta di “ossidazione”.

    In definitiva, credo che la schiuma sia un elemento che, se bilanciato con tutto il carattere della birra, possa apportare delle note sensoriali di rilievo, in altri casi, è quasi di intralcio.

    • In verità, stando ad alcuni testi di riferimento ma anche alla semplice analisi empirica, la schiuma ESALTA alcuni aromi della birra proprio perché la scompone.

  6. ho trovato questo interessante articolo, Andrea Turco non delude mai! Ho letto quasi tutti i commenti e condivido la tesi che gli zuccheri non influiscono significativamente sulla formazione della schiuma, almeno allo stadio attuale degli studi.

    Il discorso è tutto quì:
    “Gli elementi che giocano a favore della schiuma sono invece diversi. Gli agenti più importanti nella sua stabilizzazione sono innanzitutto i polipeptidi derivati dai grani, che reagiscono con gli iso-alfa-acidi del luppolo contribuendo alla stabilità e all’aderenza della schiuma ai bordi del bicchiere.”

    in effetti i residui polipeptidici nel mosto vanno a reagire con gli iso-alfa-acidi.
    (La reazione di isomerizzazione si ha in fase di bollitura, meno del 50% degli alfa-acidi iniziali si trasforma in iso-alfa-acidi. Tutti favoriscono la schiuma ma di questi meno del 25% danno gusto “amaro”.)
    Questa azione del luppolo sui residui dei grani favorisce la reticolazione, cioè legami tra quelle che sono le catene laterali idrofobiche degli amminoacidi che compongono i sopra-citati polipeptidi (se masticate un pò di biochimica dovreste aver capito altrimenti colpa mia che non mi sono espresso bene e spiego meglio). Reticolazione significa schiuma più persistente, bollicine più fini, aderenza maggiore.

    Purtroppo sono ancora diversi i punti oscuri di queste reazioni… chi ha interesse a studiarle non ha i soldi e chi ha i soldi non ha interesse… tanto la birra si vende lo stesso…

    per quanto riguarda il discorso zuccheri, questo è molto semplice da capire grosse linee.
    Le destrine presentano legami alfa(1-4) e talvolta legami alfa(1-6) (sono composte da 3 a 9 molecole di glucosio e derivano dall’amido). I lieviti che generalmente utilizziamo non sono in grado di scindere il legame alfa(1-6) quindi non utilizzano le destrine che lo presentano, inoltre prediligono gli zuccheri a catena più corta. Tali oligosaccaridi vanno quindi ad aumentare il corpo della birra. Tuttavia il potere dolcificante di questi zuccheri è più scarso di altri saccaridi.
    Giocando sulle temperature potremo avere più mono e di-saccaridi e quindi meno destrine favorendo una birra più alcolica e meno corposa oppure, favorire la formazione di destrine a scapito degli zuccheri maggiormente fermentescibili andando a dare al prodotto finito più corpo e meno alcool.
    Ho ovviamente ho semplificato il discorso per renderlo meno pesante! ^^

  7. Ottimo articolo a favore di un elemento spesso bistrattato! Volendo aggiungere qualcosa, e prescindendo da discorsi “molecolari”, il vecchio trucco da homebrewer per migliorare la tenuta della schiuma è di aggiungere una piccola quantità di fiocchi di frumento nella ricetta… 😉

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