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I caratteri della birra della Repubblica Ceca: stili, prezzi e filosofia produttiva

Tra tutte le culture birrarie d’Europa quella ceca è probabilmente la meno approfondita fuori dalla madrepatria, almeno relativamente alla ricchezza di contenuti che può garantire. Oscurata per lungo tempo dall’influenza della Germania brassicola, con la quale condivide diversi aspetti, la Repubblica Ceca in realtà custodisce un patrimonio birrario unico al mondo, contraddistinto peraltro da elementi molto peculiari. Il viaggio in Boemia organizzato a inizio settembre da Czech Tourism mi ha permesso di entrare in contatto con molte piccole realtà artigianali, che incarnano perfettamente l’anima della birra ceca. Ne ho tratto alcune suggestioni utili per ricostruire i caratteri della cultura birraria locale, che, come vedremo, non di rado implica una visione profondamente diversa della nostra bevanda.

Gli stili birrari tipici della Repubblica Ceca

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Il primo fattore da cui partire, anche per comprendere le successive considerazioni, è la nomenclatura degli stili birrari della Repubblica Ceca. Come spiegato in passato, in linea teorica la classificazione è ottenuta mediante la combinazioni di due parametri: il colore e la densità del mosto – quest’ultima è calcolata in gradi Balling e non Plato, sebbene le due scale siano praticamente sovrapponibili. Poiché i colori presi in considerazioni sono tre (chiaro, ambrato e scuro) e le fasce di densità generalmente quattro, ne consegue che le combinazioni possibili sono oltre una decina, tutte prive di un reale valore semantico. Per questa ragione le denominazioni effettivamente usate sono poche e indicano, seppure con un certo grado di discrezionalità del produttore, le tipologie brassicole più diffuse.

Durante il nostro viaggio abbiamo trovato alle spine della Pivovar Kytín (sito web) un buon compendio dei vari stili che si possono incrociare in Repubblica Ceca. Nel locale del produttore boemo erano infatti disponibili sei birre, denominate come di consueto con un numero (la densità del mosto) e il nome della tipologia:

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  • 12° Ležák – Il termine significa semplicemente “Lager”, ma in questo caso si riferisce alla Pils “premium” della casa, identificata in maniera più completa dall’espressione  Světlý Ležák. Sono birre in cui l’amaro è ben bilanciato dalla ricchezza dei malti e, come accennato, spesso indicano la produzione top della casa – cosa che effettivamente l’assaggio spesso conferma.
  • 10° Světlá – In questo caso il birrificio ha usato la parola che significa “chiara” per indicare la sua Výčepní, cioè una sorta di Pils leggera disponibile in tutti birrifici che abbiamo visitato. Sono le vere birre quotidiane della Repubblica Ceca, quelle buone per ogni occasione, dove la componente maltata è più esile. Questo aspetto talvolta rende più spigoloso l’amaro, dunque trovare una valida Výčepní non è sempre facile, almeno non quanto capita con le Světlý Ležák.
  • 11° Polotmavá – Il termine Polotmavé può essere tradotto con “semi-scura” e indica birre ambrate, poco amare, dove la resa dei malti vira più sul caramello, non compromettendo però la facilità di bevuta che rimane sempre a livelli altissimi.
  • 12° Ale – In quasi tutti i birrifici della Boemia abbiamo incontrato almeno una Ale, termine generico che solitamente indica una luppolata ad alta fermentazione – diciamo una IPA – prodotta a volte con luppoli cechi, altre con luppoli americani (se non con entrambi). Le interpretazioni che abbiamo assaggiato sono state altalenanti e spesso sono prodotte per andare incontro ai consumatori più giovani, che vogliono bere qualcosa di “moderno”.
  • 12° Pšeničné – Poco diffuse in Boemia, ma comunque presenti qui e lì, le Pšeničné sono le tipiche birre di frumento brassate per la stagione estiva. Sono molto simili (praticamente identiche) alle Weizen della Baviera.
  • 13° Vídeň – Curiosamente invece è facile imbattersi nelle Vídeň, termine usato in lingua ceca per indicare la capitale dell’Austria. Sono infatti birre espressamente ispirate alle Vienna Lager, che possono ricordare delle Polotmavy più ricche nei malti e con una corsa leggermente meno scorrevole.
  • Sebbene non ve ne fossero disponibili presso Kytín, molto diffuse sono infine le Tmavé, cioè le classiche birre nere (o comunque scure) della Repubblica Ceca. Sono poco amare e non molto secche e si contraddistinguono per note di cioccolato, caffè e caramello, accompagnate da sfumature di cola e zenzero.

Il prezzo della birra

Date un’occhiata al cambio corona ceca – euro e poi calcolate quanto costa mezzo litro di Premium Pils (neanche la birra più economica) al monastero di Ossegg

La Repubblica Ceca è probabilmente il migliore paese europeo nel rapporto qualità/prezzo della sua birra. In genere è un bene di consumo estremamente conveniente e anche nei brewpub più moderni di Praga vi capiterà di pagare una birra davvero poco. Ma è girando per la Boemia fuokri dai grandi centri abitati che troverete i casi più clamorosi: presso il birrificio Ossegg, ad esempio, si può bere un boccale (50 cl) dell’ottima Světlý Ležák della casa per meno di due euro – ma l’esempio è applicabile a tanti altri posti. In media parliamo di meno di cinque euro al litro al consumatore finale, quando in Italia siamo su valori almeno tre volte maggiori.

Questa differenza si spiega in molti modi, ma chiaramente i consumi giocano un ruolo fondamentale. I cechi sono i più grandi bevitori di birra al mondo (128 litri pro capite annui) e la bevanda viene bevuta praticamente in ogni momento della giornata. Questa predisposizione influenza anche la cultura birraria della nazione, tanto che le tipologie locali si attestano in genere sul 4-5% di volume alcolometrico. La Repubblica Ceca rappresenta insomma un’ode al consumo quotidiano della birra, in ogni suo aspetto.

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La qualità della birra

Prima di partire per la Repubblica Ceca avevo qualche dubbio circa la qualità della birra che avrei trovato in giro per la Boemia, in particolare a causa del temuto diacetile. Il diacetile è un sottoprodotto del metabolismo del lievito, che viene prodotto naturalmente e altrettanto naturalmente viene riassorbito. Il tasso di riassorbimento però può variare in base a diversi fattori e se non è efficiente, il diacetile in eccesso rimane nella birra, conferendo aromi burrosi non sempre piacevoli. In passato mi è capitato più volte di bere birre ceche penalizzate da tantissimo diacetile, che invece in patria spesso vengono apprezzate. Per questa ragione sono partito con qualche timore al riguardo.

Il diacetile invece non è quasi mai stato un problema nelle birre assaggiate in Boemia. In alcuni casi era totalmente assente, in altri presente ma in maniera positiva – può anche amplificare la sensazione di pienezza dei malti. Ho trovato solo poche birre penalizzate in maniera evidente dal diacetile e paradossalmente questo composto aromatico era presente in maniera più evidente nelle birra industriali che abbiamo assaggiato al museo della Pilsner Urquell e presso il birrificio Kozel. Evidentemente è un “sapore” che i colossi del settore ricercano per identificare i loro prodotti in termini di mercato a livello organolettico.

Quindi in generale abbiamo bevuto molto bene, ma con un’eccezione. A Žatec, in occasione della festa per il raccolto del Saaz, erano presenti gli stand di decine di birrifici cechi. Ebbene, molti degli assaggi in loco sono risultati deludenti, ben al di sotto del livello qualitativo delle bevute di quei giorni. Evidentemente le birre di molti birrifici artigianali soffrono i viaggi – tra l’altro erano giorni molto caldi in Boemia – e vanno bevute principalmente nel luogo di produzione. Una valutazione che sembra coerente con la prossima riflessione.

Il rapporto dei birrai cechi con la pastorizzazione

Nelle nazioni con una grande tradizione birraria i confini tra birra artigianale e industriale sono spesso sfumati, con un approccio “ideologico” molto limitato. Ovviamente i piccoli birrifici mostrano un’attitudine diversa rispetto ai colossi del settore, tuttavia guardano alle scelte di quest’ultimi in chiave “funzionale”, non “etica”. Così ad esempio la pastorizzazione non viene demonizzata come soluzione tecnologica, ma semplicemente scartata dai produttori indipendenti perché irrilevante rispetto alle loro esigenze. Tutti i piccoli birrifici che abbiamo visitato, infatti, esauriscono gran parte della loro produzione in loco: in parte grazie agli avventori del rispettivo locale di mescita, in parte perché acquistata in negozi, ristoranti o pub del territorio. I birrai ti dicono che non pastorizzano perché non hanno bisogno di farlo, non perché è una soluzione produttiva dannosa a prescindere.

Come detto, si tratta di una visione comune ad altre realtà con una grande tradizione birraria. Dove il consumo di birra è maggiore c’è meno spazio per prese di posizione ideologiche, che spesso finiscono per rappresentare più freni che vantaggi. Pur restando consapevoli di cosa significa adottare certe soluzioni produttive, c’è qualcosa da imparare da un simile approccio alla birra. Così come dalla possibilità, non rara, di trovare birre confezionate in bottiglie di plastica, accettate quasi sempre con normalità e senza particolari drammi (anche per il risultato finale).

Vasche di fermentazione aperte e coolship

Un numero non indifferente di birrifici visitati durante il viaggio in Boemia utilizzava vasche di fermentazione aperte. È una pratica antica che appartiene a un’altra epoca brassicola, eppure ancora in uso in alcuni birrifici tradizionali della Baviera e, appunto, della Repubblica Ceca. Come raccontato in un articolo del 2023, il loro impiego è molto più complesso rispetto ai moderni tini di fermentazione, ma continuano a essere impiegate perché si crede che abbiano effetti positivi sulla salute del lievito, sul profilo aromatico della birra e sulla sua intensità complessiva – in realtà questa tesi non è mai stata scientificamente provata. In alcuni antichi birrifici ristrutturati, come Černokostelecký Pivovar, sono persino presenti vasche di raffreddamento.

L’importanza dell’acqua per i birrai cechi

La Repubblica Ceca può vantare alcuni dei luppoli più pregiati del mondo – su tutti il leggendario Saaz – e orzo distico di prima qualità, tuttavia l’ingrediente su cui i birrai locali sembrano più concentrati è l’acqua. Se conoscete la storia delle Pils questo aspetto può non sembrarvi particolarmente sconvolgente, eppure fa un certo effetto verificare come l’acqua sia sempre centrale nei discorsi dei birrai cechi. L’impressione è che sia l’ingrediente da cui partire per costruire la ricetta, anche perché non è consuetudine modificarne le caratteristiche chimiche con impianti a osmosi inversa. Se l’acqua a disposizione del birrificio è buona viene esaltata anche a livello di marketing, se è poco adatta alla produzione di Lager viene comunque raccontata come un elemento di sfida per il birraio.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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