Articoli di questo tipo iniziano spesso con la frase “non voglio insegnare niente a nessuno”. Io vorrei invece insegnare qualcosa, o almeno provarci: dopo oltre un decennio di Brewingbad.com, una qualche idea su quali siano gli elementi chiave per far funzionare un blog di homebrewing credo di essermela fatta. In questi anni ho visti molti blog e video-blog sparire nel nulla, altri nascere e alcuni – pochi, a dire la verità – rimanere. Molti homebrewer si mettono a scrivere o a registrare video spinti dall’entusiasmo iniziale, senza avere un’idea precisa di quello che vogliono comunicare. È un peccato, perché se fossimo di più ci sarebbe più scambio e il movimento crescerebbe ancora. Troppo spesso mi trovo a condividere link in inglese perché di approfondimenti e riflessioni strutturate, sul tema homebrewing, in italiano ce ne sono davvero poche.
Tuttavia qualcosa forse si sta muovendo. Dopo l’articolo che abbiamo pubblicato su Cronache di Birra prima delle vacanze estive, diversi homebrewer mi hanno scritto dicendo che hanno iniziato a pensare seriamente di aprire un blog. Mi sono quindi deciso a raccogliere qualche riflessione su quali possano essere gli elementi in grado di fare la differenza quando si decide di mettere online un blog di homebrewing. Perché fare birra e comunicare sono due mondi differenti che a volte faticano a incontrarsi.
Avere qualcosa da dire
Può sembrare banale, ma molti dei blog di homebrewing in cui mi sono imbattuto in questi anni non avevano davvero nulla da dire. Con questo non intendo affermare che per aprire un blog sia necessario aver scoperto chissà quale nuovo ingrediente, tecnica di produzione o stile birrario, ma che parlare del nulla diventa presto noioso.
Ricordo benissimo i primi post del mio blog, nato con intenti piuttosto generici e senza alcuna particolare pretesa: un semplice diario di cotte. Non aveva una specifica ragione di esistere, se non come valvola di sfogo personale. In quel formato primordiale, non sarebbe durato a lungo. In qualche modo, però, già dal nome che scegliemmo per il blog (all’epoca eravamo in due) l’intento era chiaro: Brewing Bad significava andare oltre le convenzioni, criticare l’approccio tipico di molti homebrewer tradizionalisti del tipo “ho fatto così e farò sempre così”. L’inizio è stato senza dubbio in sordina, ma con il tempo l’intento si è rafforzato.
Ci sono stati momenti di delirio, come è normale che sia. Prese di posizione a volte pretestuose, battaglie di principio portate avanti senza grandi basi scientifiche. Diverse, specialmente all’inizio, si sono rivelate poi un flop. Ma hanno fatto discutere e sono state – per me – una preziosa lezione su come affrontare certi temi “scottanti” in futuro. È stato faticoso difendere alcune idee, come la scelta del BIAB rispetto ai sistemi a tre tini o l’idea che i travasi non servissero quasi a nulla, ma le provocazioni hanno generato interessanti discussioni e creato stimoli.
Non è facile, me ne rendo conto. Avere qualcosa da dire quando ancora si è alle prime armi con la produzione casalinga può sembrare impossibile. Ma secondo me non lo è. Si può avere qualcosa da dire anche parlando da neofiti, perché di neofiti ce ne sono sempre, in qualsiasi momento e in qualsiasi nicchia di appassionati. Inizialmente possiamo parlare a loro, che sono al nostro livello – o quasi. Piano piano alzeremo il tiro, ma fin dall’inizio è importante aggiungere valore alla comunità, qualsiasi essa sia.
Ripetere pedissequamente quello che hanno detto, scritto o raccontato in un video decine di homebrewer prima di noi non porta lontano. Eh, lo so: è faticoso. Ma se non è faticoso, probabilmente non vale nemmeno la pena farlo.
La cura dei dettagli
Non nasciamo tutti scrittori. Probabilmente nessuno lo nasce. Qualcuno percepisce fin da subito la vocazione, ma dietro un certo tipo di scrittura si nascondono sempre allenamento, studio e ricerca costante. Per mettere in piedi un blog di homebrewing non bisogna certo essere degli scrittori, non c’è dubbio. Però, ecco: nemmeno delle capre totali nella scrittura.
Scrivere non è semplice. Occorre elaborare i pensieri, ordinarli, strutturarli e tradurli in parole. È necessario conoscere un minimo la punteggiatura, l’ortografia, le modalità di composizione di un discorso scritto. Me ne sto rendendo conto – di brutto – in questi giorni, durante la stesura del mio libretto di ricette che ho deciso di scrivere in inglese. Lingua che studio da anni e che conosco abbastanza bene, ma non così tanto da essere fluido e naturale nella scrittura. Sto facendo una gran fatica ad articolare le mie idee, sebbene si tratti di un manuale piuttosto semplice. Non uscirà sicuramente fuori un capolavoro di scrittura, ma sto facendo il possibile perché risulti leggibile, chiaro e per quanto possibile privo di errori.
Fortunatamente, oggi abbiamo tantissimi strumenti automatici che possono aiutarci in questo. Dai banali correttori ortografici ai software di intelligenza artificiale che sono in grado di sistemare anche le frasi più complesse. Ovviamente non va tutto in automatico, bisogna sempre metterci testa e fatica. L’impegno è imprescindibile quando si ha l’obiettivo di ottenere un lavoro ben fatto, anche se si sfrutta il supporto di strumenti automatici.
Quando un blog mi costringe a saltare in continuazione tra ortografia sbagliata, doppie consonanti mancanti e apostrofi al posto di accenti, sono costretto a mollare dopo poche righe di lettura. Anche se quello che sto leggendo potrebbe alla fine risultare interessante. L’impressione è che la persona che sta scrivendo non abbia particolare interesse per il lettore, che stia parlando a sé stessa piuttosto che comunicare qualcosa a qualcun altro.
Intendiamoci, qualche refuso ci può stare. Probabilmente ne troverete anche in questo post, nonostante lo abbia riletto diverse volte e passato con il correttore ortografico. Capita che nella parolina sostituita all’ultimo minuto ti scappi il refuso. Ma, nel complesso, spero si noti l’intenzione. L’aver passato diverse ore rileggendo e chiedendomi: sono riuscito a comunicare quello che volevo dire? Ho scritto troppo? Sto parlando da solo? Se leggessi questo articolo scritto da un altro, mi interesserebbe? A volte la risposta a quest’ultima domanda è negativa, mi è capitato di buttare interi articoli nel secchio dopo averli finiti.
La cura dei dettagli e l’aver qualcosa da dire, a mio avviso, corrono l’una nella mano dell’altro. Se la scrittura è perfetta, fluida e senza nemmeno mezzo refuso, collocata in una cornice grafica esaltante ma allo stesso tempo comunica il vuoto pneumatico, scrivere non serve a nulla. Specularmente, anche l’idea più esaltante si perderebbe in una cornice rozza, confusa, in un testo pieno di errori dall’articolazione erratica e spasmodica.
Un approccio intelligente è anche quello di scegliere il mezzo opportuno per comunicare le proprie idee. Non ci sentiamo all’altezza nella scrittura? Ci sta. Apriamo un video-log invece di un blog. È una strada anche quella.
Costanza nell’aggiornamento
Non c’è niente di peggio che seguire un blog aggiornato in modalità random. Un articolo al giorno per una settimana, poi niente per mesi. Poi due articoli in due giorni, poi di nuovo nulla. Peggio ancora se si sparisce e si torna senza alcuna comunicazione. Come se niente fosse. Posso dire che mi dà ai nervi? Lo dico: mi dà ai nervi. E questo a prescindere da ciò che viene raccontato.
La scusa più comune per giustificare aggiornamenti erratici è che un blog di homebrewing è un hobby. Non si può pretendere costanza da un hobby, lo faccio gratis, nessuno mi paga, non mi rompete, scrivo quando mi va. Va bene, eh, per carità: ognuno è libero di fare ciò che preferisce. Ma poi non si può pretendere che la gente segua il blog con interesse. Per il successo di un blog, la costanza di aggiornamento è fondamentale.
È impegnativo, su questo non c’è dubbio. Qualcuno obietta anche che così facendo si finisca per scrivere del nulla, contravvenendo ai consigli di cui sopra. Non si può avere sempre qualcosa da dire, a un certo punto gli argomenti finiscono. Può succedere. Anche a me ogni tanto capita di trovarmi seduto davanti alla pagina bianca del computer e domandarmi: e la prossima settimana di cosa scrivo? Gli argomenti sembrano terminati, non è successo nulla di interessante in settimana e non ho nulla di cui parlare. Ma la sensazione di vuoto dura poco, perché il tema è così vasto che è praticamente impossibile non avere nulla di cui parlare. Allora mi metto a rileggere le mie fonti, riprendo gli ultimi podcast che ho ascoltato, ripercorro la lista delle birre che ho prodotto negli ultimi tempi o che ho in mente di produrre nell’immediato futuro, e i temi di cui parlare piano piano vengono fuori.
Io la vedo al contrario: la necessità di scrivere stimola la mia curiosità. Se non avessi il blog tante cose nemmeno proverei a farle, tanti stili nemmeno li avrei mai bevuti, per dire. Una delle ragioni per cui sono passato alla contropressione, che oggi ritengo fondamentale nel mio arsenale casalingo di processi e attrezzatura, è stata proprio la necessità di costruirmi sul tema un’opinione da raccontare sul blog. L’impegno nell’aggiornamento regolare dei contenuti stimola continuamente la mia curiosità. Senza curiosità arriva la noia, ed è un attimo poi lasciare i pentoloni in sgabuzzino a prendere polvere.
Focalizzazione
Uno dei primi progetti web di un certo rilievo con cui ebbi a che fare come appassionato di birra era un sito che si chiamava Antidoto. Lo mettemmo online insieme ad alcuni amici intorno agli anni 2000. Nacque come un portale dove recensivamo i pub della capitale. In breve divenne piuttosto conosciuto a Roma, in parte per le ragioni di cui ho parlato fino a qui: costanza nell’aggiornamento, recensioni sincere e senza filtri, tanta cura nei dettagli. Il sito non è più online da anni, ma grazie alla Wayback Machine posso ancora tornare indietro nel tempo e ricordarmi come era fatto (link). Man mano che aumentava il numero dei pub recensiti, il portale cresceva. Iniziammo a ricevere attenzione, tanto che quando usciva una recensione negativa di qualche locale arrivava spesso anche la chiamata o la email incazzata del publican. Non sono mancate nemmeno le chiamate da sedicenti avvocati.
Ci lasciammo prendere dalle manie di grandezza. Alla rubrica “Mondopub”, che raccoglieva le recensioni dei pub, si aggiunse a un certo punto la rubrica “Mondocinema”, dove postavamo recensioni di film e la programmazione di tutte le sale della capitale. Ovviamente senza avere grandi competenze di cinema, ma soprattutto inserendo gli orari delle sale – ogni venerdì – completamente a mano, copiandoli riga per riga dal giornale. Si aggiunse poi la rubrica “Mondovado”. L’idea era quella di rispondere alla domanda del romano “e mo ‘ndo vado?” quando cinema e pub chiudevano. E via recensioni di chioschi di panini, gelaterie e via discorrendo. La redazione si era leggermente estesa, ma eravamo sempre una decina di universitari senza un lavoro che si divertivano ad andare in giro a bere e fare casino.
Disperdere le energie non fu una buona idea. Troppi argomenti da coprire, poche competenze. Poco tempo per gestire tutti gli aggiornamenti. Il sito piano piano divenne ingestibile. Dopo qualche tempo, cercammo di ritornare agli inizi parlando solo di pub, ma ormai il danno era fatto e il sito cadde nell’oblio.
Anche nel mondo dell’homebrewing mi è capitato di leggere blog partiti dalla birra che poi iniziano improvvisamente a parlare di distillati, di gin fatto in casa, di panificazione, di barbecue o addirittura “ho scritto un romanzo che non c’entra niente con la birra, eccolo qui”. Di nuovo, tutto assolutamente legittimo. Ma quanto pensate che possa durare? Interessa davvero ai vostri lettori? Può essere un modo intelligente e pratico di allargare il pubblico del blog? Secondo me, no.
Voler attirare l’attenzione a tutti i costi
Fare pubblicità al proprio blog è legittimo. A volte, anche utile. Ma va pensata e fatta bene, altrimenti è uno spreco di tempo e spesso anche di risorse economiche. E può essere controproducente. Per quanto mi riguarda, non c’è nulla di più irritante e fastidioso di chi condivide ogni post che scrive in tutti i forum di homebrewing esistenti sul web. Per la serie: guardate cosa ho scritto! Leggetemi! Mettete like! Non ne abbiamo bisogno.
Condividere una volta il link al proprio blog, con l’intento di farlo conoscere, ci sta. Magari con due parole di accompagnamento per spiegare il progetto, chiedendo prima il permesso agli amministratori del forum o del gruppo. Può essere utile e interessante anche per chi legge. Oppure, ogni tanto, rispondere a qualche commento con un link a un articolo del proprio blog dove il tema della domanda è stato trattato in dettaglio. Ma pensare che il mondo intero dell’homebrewing debba essere necessariamente interessato a ogni articolo pubblicato sul proprio blog è indice di megalomania. Se i contenuti ci sono, se il blog è fatto bene, se aggiunge valore al mondo dell’homebrewing prima o poi verrà notato. Non nell’immediato, ma succederà. Se non succede, dobbiamo farci delle domande su quello che stiamo facendo e su come lo stiamo facendo.