I birrifici artigianali italiani hanno creato basse fermentazioni sin dall’origine del nostro movimento, prendendo spesso ispirazione dalle cultura brassicola tedesca perché geograficamente a noi più vicina. Il mercato però si è ben presto orientato verso altre tipologie, per diversi motivi: l’ascesa di un modo diverso di intendere la birra artigianale, motivi pratici a livello produttivo e, non ultima, l’invasione di stili luppolati di stampo americano. Negli ultimi anni però si è sviluppato un rinnovato interesse per le basse fermentazioni e per le birre del patrimonio brassicolo tedesco e mitteleuropeo, interpretate dai birrifici italiani con un’inedita attenzione alle tradizioni continentali. Il riconoscimento internazionale delle Italian Pils ha spinto molti produttori a confrontarsi con la corrente inaugurata dalla Tipopils del Birrificio Italiano; poi il crescente interesse per le birre della Franconia ha esteso il fenomeno a tipologie come Keller, Landbier e Rauchbier. Successivamente i birrifici italiani hanno coperto il resto della cultura brassicola tedesca, proponendo Helles, Bock, Dunkel, Doppelbock e specialità regionali. Ora l’ultima fase di questa tendenza è nella riproposizione degli stili della Repubblica Ceca, fino a oggi praticamente ignorati dai birrai italiani.
A livello internazionale la cultura brassicola della Repubblica Ceca ha sempre vissuto all’ombra di quella tedesca. L’unico stile ceco ampiamente conosciuto è quello delle Bohemian Pils e non potrebbe essere altrimenti per il peso storico che ha avuto nell’evoluzione della nostra bevanda. Le altre tipologie locali sono però spesso considerate semplici variazioni delle cugine tedesche: ad esempio le birre ambrate sono associate alle Dunkel o alle Vienna e le birre scure alle Schwarz, nonostante esistano sottili differenze. Questa subordinazione dipende da motivi storici e dall’effettiva similitudine con le produzioni tradizionali tedesche, ma anche dalla mancanza di una classificazione semplice ed efficace. In Repubblica Ceca infatti le birre sono individuate non da denominazioni stilistiche, ma dalla combinazione tra il la densità del mosto e il colore: ad esempio le Lager chiare quotidiane si chiamano Svêtlè Vycepní, cioè birre chiare (svêtlè) di densità compresa tra 8 e 10 (výčepní).
Nonostante l’accostamento che spesso viene fatto con gli stili tedeschi, come accennato quelli cechi presentano alcune differenze. Come riportato dalle Style Guidelines del BJCP, in genere le birre della Repubblica Ceca sono meno attenuate rispetto alle cugine della Germania. La presenza di un residuo non fermentato all’interno del prodotto finito ha ripercussioni in termini organolettici, in particolare sulla percezione del corpo (più pieno) e sulla complessità del profilo aromatico. Parliamo pur sempre di sottigliezze, ma sono elementi da tenere a mente quando si parla di stili di origine ceca. Un’altra differenza riguarda la presenza di diacetile, un tratto immancabile in molte birre tradizionali della Repubblica Ceca, che talvolta però supera i limiti dell’accettabile. Secondo il BJCP la maggiore ricchezza delle birre ceche rispetto a quelle tedesche dipenderebbe anche dal ricorso alla doppia decozione, ma su questo passaggio è meglio mantenere il beneficio del dubbio.
Tutta questa premessa è indispensabile per capire l’interesse di alcuni birrifici italiani nei confronti della cultura brassicola ceca. L’obiettivo infatti è non solo proporre qualcosa di diverso da ciò che offre il mercato, ma anche restituire dignità alle birre della Repubblica Ceca sottolineando proprio le differenze con quelle tedesche. Se non andiamo errati la prima birra italiana esplicitamente ispirata dalle tipologie ceche è stata la Pavel (5,5%) del birrificio pugliese Lieviteria, non nuovo ad abbracciare stili di nicchia o comunque poco o per niente battuti in Italia. È una Tmavè, cioè una birra scura che ricorda solo vagamente le Schwarzbier tedesche: c’è il tocco torrefatto dei malti scuri, ma anche una piacevole componente caramellata e le note pepate ed erbacee del luppolo Saaz. Quando il birraio Angelo Ruggiero la propose sul mercato sembrò un azzardo destinato a fallire in breve tempo, soprattutto a causa della poca predisposizione dei consumatori italiani con le birre scure, figuriamoci se appartenenti a stili poco conosciuti. Oggi invece la Pavel è una delle birre di punta di Lieviteria.
C’è un’altra birra italiana espressamente ispirata alle Tmavè, che il giovanissimo Shire Brewing ha lanciato sul mercato lo scorso febbraio. Si chiama Matka (5%) e conferma la predilezione del marchio laziale per gli antichi stili europei, spesso proposti senza badare troppo (almeno apparentemente) ai calcoli di mercato. La descrizione che ne è stata fatta sulla pagina Facebook di Shire, oltre a fornire molti dettagli, riassume perfettamente le differenze con la Schwarzbier tedesche:
Tradizionalmente prodotta in decozione e con l’acqua dolce tipica degli stili cechi per esaltare la componente maltata, questa birra è paragonabile ad una Schwarz tedesca, con maggior ricchezza di malto e luppolatura più spinta. Malto base Bohemian Pilsner con una ricca miscela di Munich, Carabohemian, Carafa Special III, Caramunich I. Luppolatura, ovviamente, affidata al tradizionale Saaz ceco. Lievito LG37 di Atecnos.
Malcantone è un altro birrificio italiano di recente nascita che produce molte birre di stampo mitteleuropeo. Nella sua gamma non poteva mancare una birra ispirata alla cultura brassicola ceca e infatti a ottobre del 2021 fu annunciata la Zamek (4,9%), una Czech Amber Lager. Il produttore emiliano ha preferito mantenere in etichetta le denominazione inglese, che corrisponde a quella locale Polotmavé che indica le Lager ambrate. Più in dettaglio la Zamek è una Polotmavy Lezak, poiché la densità si attesa sugli 11 °P. Più recentemente il birrificio Altavia ha presentato la sua 9 (3,5%) dichiaratamente realizzata sul modello delle Svêtlè Vycepní, ossia le Czech Light Lager. Come raccontammo all’epoca, la ricetta prevede un mix di malti Pils, un pizzico di malti caramello, luppolo Saaz e lievito propagato nel laboratorio del birrificio. Il risultato è una birra facilissima da bere, contraddistinta da note mielate e di cereale e dal tipico tocco speziato e delicatamente erbaceo del Saaz.
Chiaramente gli esempi sono ancora pochi per parlare di un vero fenomeno, ma prima di oggi nessun birrificio italiano era stato interessato a replicare espressamente gli stili della Repubblica Ceca. Come spiegato il cambio di paradigma è stato favorito dalla riscoperta delle basse fermentazioni delle tradizioni europee ed è difficile prevedere se sarà seguito da altri birrifici italiani. Se ciò accadrà sarà un ottimo modo per puntare i riflettori su una cultura brassicola troppo spesso trascurata, che invece rappresenta un patrimonio di assoluto valore per la nostra bevanda.
Non è propriamente un birrificio artigianale, si tratta di un brewpub; ma in quanto a birre ispirate a quelle ceche segnalo anche il Bire di Udine, che le produce dai primi anni 2000.
Grazie Chiara, non ne ero a conoscenza
[…] pubblicato poco meno di un mese fa, nel quale abbiamo raccontato il nuovo, seppur ancora timido, interesse dei birrifici italiani per gli stili della tradizione ceca. Come spiegato all’epoca, la cultura brassicola della Repubblica Ceca ha nei secoli generato […]
[…] Zlata Ulicka (5%), una birra espressamente ispirata alla cultura brassicola della Repubblica Ceca, sulla scia di quanto sempre più spesso sta accadendo in Italia. La ricetta infatti si ispira alle scure Tmavý Ležák e ricorre a malti Pils boemi, malti […]
[…] dei birrifici italiani a riscoprire gli stili quotidiani della tradizione europea si è spinta fino alle tipologie tipiche della Repubblica Ceca, un fenomeno impensabile fino a qualche mese fa. Nel frattempo il luppolo ha continuato a dominare […]