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Estate orribile per la birra in Italia: vendite in calo del 26%

Filiera birra.jpgL’estate del 2014 è stata una delle più dure di sempre per il mercato della birra in Italia – attenzione però: mi riferisco al mercato globale, non a quello dei prodotti industriali. Secondo dati provenienti da Assobirra, tra luglio e settembre si è registrato un pesantissimo calo delle vendite, pari al -26%. I dati sono in linea con l’ipotesi di contrazione avanzata da REF Ricerche subito l’aumento dell’accisa voluto dal Governo Letta e che prevede per l’anno in corso una riduzione totale dei consumi del 5%. La situazione ha spinto l’associazione degli industriali a riunire i soggetti operanti nella filiera della birra, con l’obiettivo di spingere il Governo Renzi a scongiurare l’ulteriore aumento programmato per inizio 2015. Chiaramente non è stata solo l’accisa a influenzare la contrazione delle vendite estive, ma anche – direi forse soprattutto – le pessime condizioni meteorologiche che hanno caratterizzato i mesi appena passati.

Il comunicato di Assobirra è allarmante, ma fortunatamente la situazione, almeno per il momento, è meno critica di quanto sembri. Si citano ad esempio i consumi bloccati da circa 10 anni, ma si tratta di un dato positivo se pensiamo che contemporaneamente in altre nazioni europee sono crollati vistosamente (come in Germania). Inoltre il calo si riferisce al mercato della birra in generale e non a quello dei microbirrifici: sebbene l’aumento dell’accisa si sia fatta sentire pesantemente anche nel comparto artigianale, fino a prova contraria la birra di qualità continua a godere di buona salute. Sicuramente però la situazione generale è tutt’altro che rosea e gli aumenti sulle imposte di produzione potrebbero avere gravi ripercussioni a medio-lungo termine.

Molto interessante è l’analisi di Assobirra sull’impatto occupazionale dell’accisa. Secondo l’associazione, se la pressione fiscale fosse ridotta e in linea con quella di nazioni come Germania o Spagna, il settore sarebbe in grado di creare 7.000 nuovi posti di lavoro nel giro di un anno. Si stima infatti che 1 posto di lavoro nell’ambito produttivo abbia effetti a catena generandone altri 24,5 nell’ospitalità (bar, pub, ristoranti), 1 nell’agricoltura, 1,2 nella distribuzione e 1,3 in altri contesti occupazionali (imballaggio, marketing, logistica, ecc.). Addirittura viene preso come case study quello del Regno Unito, dove i tagli decisi dal governo in materia fiscale hanno attivato un circolo virtuoso: +12% di capitali investiti nel settore e 4.000 nuovi posti di lavoro. In pratica lo Stato ha perso qualcosa a causa della riduzione dell’accisa, ma l’ha ampiamente recuperato tramite il gettito fiscale derivante dall’occupazione in crescita.

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Sperare però che il governo italiano sia tanto illuminato da ridurre l’accisa sulla birra è piuttosto inutile, soprattutto nel momento storico che stiamo vivendo. Allora avrebbe molto più senso combattere la battaglia che sta portando avanti Unionbirrai – per la verità in maniera ancora piuttosto timida – affinché la disciplina delle accise non continui ad essere la stessa per realtà industriali e artigianali. L’Italia è infatti uno dei pochi paesi europei in cui le accise hanno lo stesso costo e lo stesso meccanismo di determinazione indipendentemente dagli ettolitri prodotti e dalle dimensioni aziendali. Una situazione che rappresenta un grave bastone tra le ruote per la stragrande maggioranza dei nostri microbirrifici.

E poi se in Italia un’imposta di produzione sugli alcolici deve esistere, allora è bene che sia applicata a tutti i prodotti alcolici. Se il governo italiano ha davvero bisogno di fondi provenienti da questo mondo, è forse arrivato il momento di volgere lo sguardo ai cuginetti del vino, che continuano a godere della splendida trovata dell’“accisa zero”. Può sembrare un discorso populista e basato sul pessimo adagio del “mal comune mezzo gaudio”, ma è assurdo solo alcune realtà tra le bevande alcoliche siano continuamente oppresse a livello fiscale perché costrette a pagare anche per quelli privilegiati.

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Se l’aumento delle accise previsto per inizio gennaio sarà confermato, le ripercussioni saranno molto pesanti sia sul prezzo di vendita che sui consumi. Sempre secondo Assobirra, i prezzi aumenteranno circa del 2%, con punte del 7% in canali come la GDO. I consumi invece caleranno di un ulteriore 5% e il risultato finale sarà che lo Stato otterrà da questo aumento solo le briciole: appena 68 milioni di euro sui 177 previsti (-62%). Sarebbe il risultato di una politica economica cieca e controproducente, ma non sarebbe una novità per il nostro povero paese.

Al momento mancano pochi giorni al nuovo incremento delle accise e, nonostante la campagna Salva la tua birra di Assobirra abbia raccolto più di 110.000 firme, non arrivano segnali positivi dal mondo della politica: non solo non si parla della cancellazione dell’aumento, ma neanche di congelamento come già avvenuto a marzo 2014. Se l’Italia continuerà a ignorare i problemi del settore, le ripercussioni a tendere saranno pesanti per tutti. Anche per il segmento della birra artigianale.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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8 Commenti

  1. Condivido i ragionamenti caro Andrea, ma temo che sarà difficile imporre diverse accise tra artigianale e industriale. Innanzitutto perchè le accise sono imposte indirette, cioè applicate su un “fatto” oggettivo (alcol) e non su parametri soggettivi/variabili (un po’ come l’iva, che si applica indifferentemente su una penna stilografica come su un bullone). Senza contare la disquisizione filosofica sui parametri entro i quali si potrebbe essere definiti artigianali.
    Ritengo invece più fattibile (ed eticamente corretto, come dici tu) estendere l’applicazione delle accise in modo uniforme a tutti i produttori di alcol. Se si deve tassare un bene, che lo si faccia a chiunque lo produce. E’ come dire che io pago l’imu e il mio vicino no…

    • Andrea in realtà la disciplina scalabile delle accise è possibile, tanto da essere in vigore in diversi paesi (Francia ad esempio). Si calcola sempre sul grado plato, ma il costo è semplicemente diverso se produci annualmente milioni di ettolitri o solo centinaia.

    • Si potrebbe anche, un po’ come l’IVA su alcuni prodotti (tipo libri, alimentari e altri che è tipo al 10% o 4%), avere un’accisa graduale in funzione della produzione annuale, come si diceva.
      Per quanto riguardo il vino, anche se è giusto almeno in principio, c’è da dire che questo non è considerato un prodotto alcolico ma agricolo, come di fatto è, venendo da una produzione agricola diretta di frutta. la birra italiana è, per la maggior parte dei casi, una sorta di manufatto comprando le materie prime un po’ ovunque nel mondo e assemblandole..

      • Storia che non regge, almeno non più: col decreto ministeriale 212/2010 anche la birra è diventato un prodotto agricolo.

        • beh ma di per sè o quando è un prodotto dei cosiddetti birr agricoli, che in effetti producono da sé (almeno una parte) delle materie prime? Poi certo è evidente la disparità ma direi gli interessi vinicoli sono ordini di grandezza maggiori a quelli birrai..

          • Solo quando è prodotta da un birrificio agricolo. Se la ratio è quella, allora quei birrifici non dovrebbero pagare l’accisa – ma spero che non succeda, altrimenti si dilaterebbero le differenze tra gli agricoli e i non agricoli. Stesso discorso per la grappa agricola, anch’essa inserita nel suddetto decreto. Il problema, come tu dici, sono gli interessi vinicoli, ben più grandi di qualsiasi logica di tassazione attualmente vigenti.

  2. Ciao,
    dico la mia:
    fin quando ogni categoria protesterà perchè viene toccato il suo orticello, questi incapaci (i politici) avranno modo di continuare a sprofondare questo paese.
    Non si tratta dell’accisa sulla birra; il problema è generale, si parla addirittura di aumento dell’iva al 25% dal 2016, dico 25% !!!!
    Per cui la petizione, la raccolta firme, questo articolo, sono tutte cose che lasciano il tempo che trovano.

    Con amarezza…

    Carlo

  3. Ritengo che dire che il calo della vendita sia dovuto solamente all’aumento accisa (almeno nella sua totalità) non abbia nessuna evidenza, se non strumentale. Ha più evidenza il fatto che ci sia stata una estate fredda e piovosa e che inevitabilmente i consumi di alimenti e bevande puramente estive (la birra industriale penso lo sia) ne abbiano risentito.
    http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2014-08-17/in-calo-anche-consumi-gelato–153846.shtml

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