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Cercasi birrificio artigianale in Veneto

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Vendesi Sala Cotte da 5 hL e attrezzatura specialistica

Birrificio vende sala cotte da 5 hL e attrezzature....

Il Birrificio BIRA vende impianto completo con sala cottura da 2,5/2,7 hL

Il Birrificio BIRA vende, preferibilmente in blocco, impianto completo...
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Vendesi spillatore a colonna 3 vie

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Vendesi spillatore a colonna marca Celli, carrellato, modello GEO 50/CR, vasca di accumulo acqua 48 lt, colonna cobra a 3 vie, anno 2013, ottimo stato.

Prezzo 1.500€ +iva.

Per informazioni 333/3197185 solo pomeriggio
Indirizzo mail: [email protected]
Solo interessati, no perditempo

Nuove birre da PBC (+ Basqueland), Eastside, Pasturana, Via Priula e 61cento

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Negli ultimi tempi abbiano assistito a un crescente interesse nei confronti del Kveik, il tipico lievito delle antiche birre omonime prodotte nella fattorie della Norvegia. Curiosamente però la sua ascesa non è passata per una riscoperta di queste produzioni quasi ancestrali, ma per l’impiego in stili completamente diversi e dal gusto decisamente moderno, American IPA su tutti. Questa evoluzione può far storcere la bocca ai puristi – io ad esempio, che sono un vecchio brontolone, avrei preferito che rimanesse legato al suo contesto di origine – ma è indubbio che può apportare caratteristiche positive in determinate ricette. Così uno dei trend del momento si chiama Kveik IPA ed è ad esso che appartiene la Quick Hand (6%), l’ultima creazione del Piccolo Birrificio Clandestino (sito web) realizzata in collaborazione con gli spagnoli di Basqueland (sito web). La resa aromatica del lievito si fonde con il contributo dei luppoli, nello specifico varietà tedesche di nuova generazione (Huell Melon e Hallertau Blanc).

Südtirolerbier spuren, o di come vivere la birra dell’Alto Adige (anche in bici)

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L’Alto Adige è da sempre una meta gettonatissima per le ferie estive, oltre che per le vacanze invernali, luogo ideale per gli amanti del trekking, delle passeggiate in bicicletta e della buona tavola, vini e distillati inclusi. Ebbene, anche i birrifici artigianali da qualche anno si stanno ritagliando uno spazio importante, e qualcuno una notorietà da non sottovalutare, fondata in primo luogo sul forte legame con il territorio. Sul punto, i birrifici visitati sono accomunati dalle seguenti peculiarità: tutti – ad eccezione di Kostlan che ha una vera e propria taproom – posseggono la loro gasthaus o il proprio ristorante dove in media si mangia piuttosto bene, con cucina prettamente regionale. Le uniche variazioni sono state riscontrate da RienzBrau e Ah Brau, con particolare riferimento alla pizza: cereali, malto e acqua provengono esclusivamente dall’Alto Adige, non sono ammessi estratti di malto o di lievito, additivi alimentari e ovviamente nessuna pastorizzazione o filtrazione che non sia catalogabile come microfiltrazione.

Dal punto di vista logistico, quasi tutti i birrifici sono raggiungibili con l’ottima rete ferroviaria regionale, se non addirittura con la bicicletta. Proprio così: l’Alto Adige è all’avanguardia per quanto concerne la lunghezza e l’ottimo stato delle piste ciclabili, che permettono di arrivare da Bolzano fino al Brennero o oltre Brunico passando per la splendida Val Pusteria, o ancora fino al Passo del Rombo via Lana e Merano senza alcun problema. Personalmente, ho sfruttato molte volte la combinazione treno – bicicletta spostandomi da una valle all’altra senza alcun problema. Tutte le gasthaus-ristoranti dei birrifici visitati, a volte con i fermentatori in bella vista e funzionanti, sono molto accoglienti e curate, con ampio spazio all’aperto per sfruttare la bella stagione. A volte trattasi di veri e propri biergarten con più di cento coperti, in cui si respira un’atmosfera informale, gioviale e festosa. Invero, condividere un tavolo con persone sconosciute, anche di una certa età, è un’abitudine non scritta ma molto radicata da queste parti, non mancando un occhio di riguardo alle famiglie con bambini piccoli: tutte le gasthaus sono munite almeno di seggiolini per i più piccoli, se non di un vero e proprio kindermenu.

Dal punto di vista prettamente birrario, l’Alto Adige è da sempre legato alla tradizione tedesca. Tuttavia, dietro la spinta del pubblico under 30, non ho potuto fare a meno di notare come quasi tutti i birrifici abbiano messo in linea birre luppolate, cercando pertanto di diversificare un’offerta che presenta come tratto comune, anche per via della stagione estiva, Helles (o presunte tali, come vedremo), Weizen, Dunkel, pochissime Pils e ovviamente nessuna Bock. Limitatissima la presenza di Porter, totalmente assenti le Stout e tutte le birre di stampo belga. Scontato rimarcare quanto a mio avviso apparirebbe per lo meno improbabile trovare un’offerta diversa da quella descritta. Con le suddette premesse,  è difficile immaginare una folta affluenza di beer geeks, che infatti si è rivelata molto rara, mentre la parte del leone sul piano delle presenze è appannaggio di tedeschi, avventori locali – che conferma il forte radicamento di diversi fra questi birrifici con il territorio e la comunità – e ovviamente turisti di lingua italiana.

Ma veniamo ai birrifici visitati e alle relative bevute, cercando di ordinare i birrifici secondo un ipotetico itinerario in treno con bici al seguito.

Batzen Brau (Bolzano, sito web) si è confermato come il birrificio con la linea più solida fra gli altoatesini visitati. Tra le birre provate, note di merito vanno alla Pils, con la sua generosa luppolatura e un gradevole e abbastanza persistente amaro erbaceo, che comunque non risulta a mio parere eccessivo per lo stile, e alla Viennarillo, una Vienna Lager con luppoli Amarillo e Cascade. Quest’ultima si contraddistingue per una carbonazione un po’ bassa, una maltatura di biscotto e caramello piuttosto leggera che lascia il posto a un mix dove mi sembra di aver rinvenuto mango, melone e albicocca, e un finale è piuttosto asciutto, con un amaro è appena accennato. D’altronde siamo davanti a una Vienna Lager, sebbene sia una libera interpretazione dello stile. Abbastanza convincenti anche la Hell e la Dunkel, con buon corpo e persistenza, leggere note di caramello, cioccolato e frutta secca, sebbene caratterizzata da un finale dove avrei gradito più secco.

Gassl Brau (Chiusa, sito web) si è stagliato come il birrificio con la birra più sorprendente in positivo, nella specie la Hell che in realtà è una Keller, una birra molto pulita con note di cereale e crosta di pane ben presenti e un finale moderatamente amaro. Impressioni positive anche dalla Dunkel, con un corpo meno pronunciato e con un mouthfeel meno ricco di quella di Batzen, ma con un finale che regala maggior secchezza, aiutando la bevuta. La Weizen invece mi è sembrata un po’ monocorde.

Köstlan (Bressanone, sito web) ha anch’esso sorpreso con la Quattro, un’interessante Weiss con farro e segale, in cui i cereali conferiscono una gradevolissima nota rustica alla birra lasciando più sullo sfondo le sfumature di banana e chiodi di garofano. Gradevole la Helles, in realtà una Zwickl, non soddisfacente la Ambris (Amber Lager), eccessivamente luppolata e troppo carica sotto il profilo della maltatura, e tantomeno la Alto Ale, un’India Pale Ale, troppo caratterizzata dai malti caramellati. AH Brau (Fortezza, sito web), per quanto assaggiato, presenta delle birre abbastanza fedeli alla tradizione bavarese, sia la Helles che la Weizen sono apparse sufficientemente pulite e prive di netti off flavor, difetti e spigoli, salvo una punta di diacetile nella Helles, ma comunque entrambe un po’ didascaliche.

RienzBrau (Brunico, sito web), confrontando gli spazi interni ed esterni del relativo ristorante-brewpub con le altre gasthaus e biergarten, è forse il posto che più mi è piaciuto, situato al centro di Brunico, ben fatta la Helles, a metà strada tra la tradizione bavarese e la new wave italiana, lievemente mielosa, maltata, ma con evidenti note di cereale e con un finale secco e moderatamente amaro che aiuta molto a ripulire il palato. Al contrario Dunkel e Dunkel Weizen, non mi sono sembrate degne di nota. In generale, mi aspettavo qualcosa di più da un birrificio che nel 2012 ha vinto due medaglie d’oro a Birra dell’Anno con la Nera (Schwarz) e la Finitor (Bock).

Nel bellissimo bierkeller di Pfefferlechner (Lana, sito web), dove veramente viene voglia di restare fino alla chiusura, ho bevuto Pfeffer Hell, Pfeffer Pale Ale e  Pfeffer Schwarz. In particolare quest’ultima, che sarebbe più corretto definire una Dunkel per il colore e per l’assenza di note torrefatte e dell’amaro che caratterizza la Schwarz, è apparsa la più centrata con una piacevole lieve nota di cioccolato che ammorbidisce il corpo e un finale lievemente secco.

In conclusione, la netta impressione è che la birra funga da accompagnamento ad un’atmosfera festosa, gioviale, conviviale, piena di ottimo cibo e adatta a tutte le età, con il plus di poter raggiungere quasi tutte le location facendo a meno dell’automobile. Un contesto all’insegna del relax e lontanissimo dagli isterismi o dalla ricerca spasmodica di quella o quell’altra referenza alla spina o in bottiglia. Dal punto di vista naturalistico, poi, l’Alto Adige non ha bisogno certo del vouching del sottoscritto. Ci sono stati alti e bassi nelle bevute, ma anche gradevoli sorprese e conferme, non potendo tuttavia esimermi dal ritenere la categoria delle birre luppolate quella dove ho riscontrato diverse referenze non all’altezza; categoria che è apparsa per ora lontana dagli standard qualitativi riscontrabili in altri birrifici. Altra nota qualche volta dolente è stato il servizio, con una spillatura non curata e frettolosa specie sulle basse fermentazioni, parzialmente giustificabile dal grande afflusso di persone nelle varie gasthaus e/o biergarten, specie tra le 18 e le 20, e con un uso molto diffuso di bicchieri inappropriati sia per le basse fermentazioni che per IPA e dintorni.

Da Netflix una serie tv sulla birra artigianale

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È ufficiale, Netflix produrrà una serie comedy incentrata sulla birra artigianale. Si chiamerà Brews Brothers e racconterà le vicende dei fratelli Wilhelm e Adam Rodman, entrambi birrai e beer geek ma con visioni diametralmente opposte, non solo in termini brassicoli. I protagonisti, interpretati da Alan Aisenberg (Orange is the new black) e Mike Castle (House Guest, Clipped), si ritroveranno giocoforza a gestire insieme un birrificio, nonostante il rapporto non propriamente idilliaco. La serie sarà diretta dai fratelli Schaffer, mentre nel cast appaiono anche Carmen Flood nei panni di Sarah e Marques Ray in quelli di Chuy.

Attualmente la pagina del sito di Netflix dedicata a Brews Brothers è ancora avara di contenuti e possiamo leggere solo la sinossi, che recita così:

Questi due fratelli molto distanti conoscono alla perfezione ogni dettaglio della produzione della birra, ma non sanno nulla di cosa significa essere una famiglia.

Ancora non ci sono informazioni ufficiali sulla data di uscita, ma presumibilmente sarà disponibile sulla piattaforma di video on demand nel corso del 2020. Non resta che attendere.

 

Prossimi eventi: Cheese, Birre d’Amare, Festa delle Birre di Eataly e 10 anni di Open

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Cominciamo a spron battuto la consueta panoramica degli appuntamenti birrari del venerdì con due manifestazioni che prendono il via proprio oggi. La prima risponde al nome di Cheese ed è la famosa kermesse di Slow Food dedicata al formaggio, sebbene da sempre sia presente un’ampia selezione di birrifici artigianali ad arricchire la proposta dell’evento, anche in termini di seminari e laboratori. Il secondo festival in partenza in giornata è Birre d’Amare a Castiglione della Pescaia, giunto alla sua sesta edizione. Spingendoci all’ultimo fine settimana di settembre, invece, i riflettori saranno puntati sulla città di Roma, dove andrà in scena non solo il consueto appuntamento con la Festa delle Birre Artigianali di Eataly, ma anche il party per il decennale di Open Baladin, un locale che ha scritto la storia della scena capitolina – ammesso che questa espressione si possa usare. Buon weekend e buone bevute!

Hop Skin vende sala cottura da 3 hl

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Il birrificio Hop Skin vende la sala cottura da 3 hl, composta da 3 tini per doppia cotta, alimentazione di tipo elettrico, già di seconda mano.

Mulino e resistenze elettriche di ricambio incluse.

Attivo fino all’anno corrente.

Possibilità di visione presso il birrificio.

Prezzo: 15.000 euro

Per info: [email protected].

Quando è giusto parlare di “scena birraria”? Ecco le 7 regole d’oro

Quando si parla del settore brassicolo nazionale non è raro imbattersi nell’espressione “movimento italiano della birra artigianale”. È un concetto che spesso uso anch’io e che sottintende l’esistenza di un fenomeno profondamente strutturato nella società, con importanti ripercussioni a livello economico e culturale. Tuttavia non sono pochi coloro che rifiutano il ricorso a questa terminologia, poiché ritengono che il mercato della birra craft in Italia sia ancora troppo acerbo per acquisire le dimensioni di un vero e proprio movimento, soprattutto se confrontato con l’influenza culturale della nostra bevanda in nazioni dall’antica tradizione, come Germania, Belgio e Inghilterra. Allo stesso modo spesso si utilizza l’espressione “scena birraria”, che ha molti punti in comune con la precedente ma che suggerisce un’estensione geografica più circoscritta: ad esempio si può parlare di “scena birraria romana” all’interno del “movimento italiano della birra artigianale”. Ma tornando all’obiezione di cui sopra, ha senso usare simili vocaboli? È giusto riferirsi alla realtà italiana con termini come “scena” e “movimento”? La questione è molto più profonda di quanto possa apparire, tanto che non siamo i soli a porci simili problemi.

Nuove birre (molte celebrative) da Pasturana, Valcavallina, Mastino, Manerba e Otus

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Per tutti gli appassionati di vecchia data il piccolo comune di Pasturana, in provincia di Alessandria, rappresenta qualcosa di speciale. È lì infatti che ogni anno si tiene Artebirra: una manifestazione nata in tempi non sospetti (il debutto dovrebbe risalire al 2003), che ha rappresentato il primo vero festival italiano sulla birra artigianale e un punto d’incontro fondamentale per l’intero movimento nella sua fase pionieristica. Anche da quella esperienza nacque successivamente Birra Pasturana, birrificio molto apprezzato che quest’anno taglia il traguardo del suo decimo anniversario. Una ricorrenza che l’azienda ha voluto festeggiare con alcune novità, prima fra tutte una birra celebrativa battezzata 9-19 (4,6%). Si tratta di un’American Pale Ale leggermente ambrata, dalle evidenti sfumature agrumate e dal finale secco e pulito, dove emerge un amaro deciso ma non eccessivo. Prodotta con lievito e luppoli americani, è disponibile solo in fusto. Il nome è un evidente omaggio al decennio di attività.

Per gli utenti di Whatabeer la WV 12 è il migliore grande classico del Belgio

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Se vi chiedessi di indicare tre grandi birrifici indipendenti del Belgio con un’importante storia alle spalle e conosciuti per l’alto livello qualitativo delle loro birre, probabilmente molti di voi indicherebbero tre nomi: Sint-Sixtus (cioè Westvleteren), De Dolle e Cantillon. Non è dunque un caso che siano state le creazioni di questi tre produttori a piazzarsi sul podio del contest di Whatabeer denominato Great Belgian Classics e terminato recentemente. Una sfida avvincente, che ha messo di fronte 63 tra le birre più celebri di 24 diversi birrifici del Belgio e i cui risultati sono stati calcolati sulla base di quasi 35.000 preferenze espresse attraverso la nuovissima app di Cronache di Birra. Avete letto bene, 35.000 preferenze. Cioè un numero impressionante di interazioni, che ovviamente rende gli esiti del contest assolutamente autorevoli.

Quattro motivi per cui la birra artigianale fatica a entrare nei ristoranti italiani

Qualche giorno fa sulle pagine del magazine Imbide è apparso un interessante articolo a firma Jacopo Mazzeo, degustatore (anche) di birra che da alcuni anni vive in Inghilterra e che, tra le altre cose, in passato ha collaborato con Cronache di Birra. Il suo pezzo – una via di mezzo tra il reportage e l’intervista – affronta il tema dell’ingresso della birra artigianale nei ristoranti, sottolineando le difficoltà che vive il Regno Unito da questo punto di vista. Una situazione paradossale considerato il potenziale a disposizione e lontana anni luce da quella di altre realtà, tra cui Belgio e Stati Uniti, dove negli ultimi anni i prodotti craft hanno sfondato anche nella ristorazione. Chi ha viaggiato in questi ultimi paesi si sarà infatti accorto di come la birra di qualità sia ormai una costante, capace spesso di arrivare sulle tavole dei grandi ristoranti. In Gran Bretagna, invece, la stessa tendenza incontra ancora innumerevoli resistenze. Se tutto questo vi suona familiare è perché anche l’Italia si trova in una condizione molto simile, con l’aggravante di rappresentare uno dei punti saldi a livello mondiale per tutto ciò che riguarda la gastronomia.

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