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Il fenomeno beer firm è più impressionante di quanto pensavamo

Beermug315Come saprete su Cronache di Birra ci occupiamo regolarmente di raccontare i nuovi produttori che si affacciano con costanza sul mercato. Da ormai alcuni anni in ogni panoramica del genere non manca qualche nuova beer firm, segno che questa soluzione imprenditoriale – di cui ci siamo occupati diverse volte in passato – è in fortissima ascesa. Sulla loro esplosione si sono espressi in tanti (non solo in Italia), ma al di là delle opinioni personali credo che la cosa più importante sia capire qual è l’effettivo impatto di questo fenomeno sulla scena nazionale. Per verificarne dunque le reali dimensioni ho deciso di affidarmi ai freddi numeri, analizzandoli grazie a quel fondamentale database online che risponde al nome di Microbirrifici.org. I risultati sono molto interessanti e probabilmente faranno cadere più di qualche idea al riguardo.

Nel momento in cui scrivo il sito Microbirrifici.org ha censito 841 birrifici (e beer firm), come è chiaramente riportato in homepage. Quel numero però considera anche le aziende che nel frattempo hanno chiuso, perciò va limato verso il basso. Il totale di birrifici attivi è dunque 696, un dato comunque di tutto rispetto. Di questi 696 le beer firm sono 165, cioè il 23,7% del totale. In altre parole un produttore italiano di birra artigianale ogni quattro non possiede un impianto di proprietà, ma si affida a quello di altri birrifici. Come ricordato in passato, esistono beer firm e beer firm: c’è chi incarica un birrificio di creare per lui una birra, senza avere magari la minima conoscenza brassicola, e chi “affitta” semplicemente l’impianto di altri, curando la formulazione della ricetta e l’intera cotta (oltre alle fasi successive). Poi esistono delle fattispecie di mezzo che si pongono tra questi due estremi. Al di là delle modalità di ogni singola beer firm, il dato vicino al 25% è secondo me clamoroso.

All’inizio di questa analisi ero molto interessato a capire la diffusione delle beer firm nelle varie regioni relativamente al numero di birrifici operanti. Come immaginavo, la regione palesemente in testa in questa speciale classifica è il Lazio, dove le beer firm rappresentano il 44% delle aziende brassicole attive. A seguire troviamo nell’ordine le Marche (36%), la Lombardia (31%) e l’Emilia-Romagna (31%). Inizialmente mi sarei aspettato una maggiore concentrazione relativa di beer firm nel sud Italia, data la difficoltà di fare impresa – le beer firm permettono di entrare sul mercato con investimenti decisamente ridotti. La verità però è diversa, perché le percentuali delle regioni più meridionali sono simili a quelle delle regioni più settentrionali. Direi invece che la formula beer firm è in rapporto più diffusa laddove esiste un mercato più maturo per la birra artigianale. È una mia congettura, sia chiaro, a cui comunque sento di affidarmi con cauta sicurezza.

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In tal modo si spiegherebbe anche l’altissima percentuale di beer firm nel Lazio. Sappiamo che Roma e dintorni rappresentano un bacino clamoroso per tutto il comparto artigianale e un ambiente decisamente evoluto. Il numero di locali e beershop è altissimo e questa ricchezza probabilmente permette di avere canali di vendita più sicuri. Di conseguenza l’idea di lanciare la propria beer firm deriverebbe da diversi elementi: un’attenzione diffusa per la birra artigianale e l’impressione di poter penetrare il mercato con una certa facilità. Una lettura più inquietante, invece, suggerirebbe che l’esaltazione che si vive in zona per la birra di qualità stia spingendo tanti appassionati (della prima o ultima ora) a tentare la fortuna in questo nuovo Eldorado. Lascio a voi l’interpretazione che preferite.

Un altro parametro interessante da analizzare è quello dell’anno di nascita delle varie beer firm. Se vogliamo qui le cifre sono ancora più clamorose, perché scopriamo che il fenomeno è esploso solo nell’ultimo triennio. Per anni infatti la presenza di beer firm in Italia è stata una rarità e la doppia cifra di nuove realtà fu raggiunta solo nel 2011, quando ne aprirono 13. Poi il boom: 30 nel 2012, 52 nel 2013 e 56 nel 2014. Considerando che l’anno in corso ancora non è concluso, non è da escludere che il corrente record sia da aggiornare ulteriormente nelle prossime settimane.

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Per concludere un dato utile per completare questa panoramica e cioè le percentuali di nuove beer firm sul totale di nuovi birrifici divise per anno. Come abbiamo visto, il fenomeno è iniziato all’inizio degli anni ’10 del nuovo millennio. Nel 2010 aprirono 11 beer firm e 65 birrifici (17%), ma già l’anno successivo la percentuale salì al 24%: su quattro nuove aziende brassicole lanciate nel 2011, una era una beer firm. Di lì in poi la crescita fu inarrestabile: 30% nel 2012, 37% nel 2013, 44% nell’anno in corso. L’ultimo dato è davvero impressionante per due motivi. Il primo, evidente, è che quasi la metà dei produttori che hanno aperto i battenti nel 2014 in Italia sono beer firm. Il secondo è che nel 2014 sono state lanciate più nuove beer firm rispetto al 2013, mentre il saldo dei nuovi birrifici è in passivo (142 nel 2013, 128 nel 2014). Ovviamente prima della fine di dicembre il dato potrebbe cambiare, ma è la percezione generale che secondo me evidenzia un andamento eccezionale.

In definitiva i numeri rivelano che è corretto riferirsi alle beer firm come a un vero e proprio fenomeno di settore. Sinceramente i dati che vi ho sciorinato hanno sorpreso persino il sottoscritto, che quotidianamente ha la possibilità di tastare il polso dell’ambiente: mi aspettavo numeri importanti, ma non così evidenti. Se la tendenza sarà confermata, già nel 2015 potremmo ritrovarci con più nuove beer firm che nuovi birrifici.Il mercato è pronto a tutto questo? Sono fondati i timori di chi non ama questa modalità di fare impresa birraria? A voi la parola.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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40 Commenti

  1. Questo fenomeno per me indica che il mercato non è affatto stabile ed il consumatore va alla ricerca di birre nuove anziché affezionarsi ad un prodotto.
    Ma la mia riflessione ricade sul dimensionamento dei birrifici che, se hanno fatto investimenti appositi per fare birra conto terzi è un conto, ma in realtà molto spesso hanno spazi produttivi che riempono con richieste esterne, mi farei qualche domanda…

    • Mah Francesco è anche vero che magari tu parti con un impianto che punterai a portare a regime solo dopo una fase iniziale e nel frattempo puoi destinarlo in parte a produzioni conto terzi

  2. Forse è il segnale che numerose attività (con impianto) aperte negli ultimi anni non avevano assolutamente il polso della situazione e del mercato e trovano nelle beer firm uno sbocco commerciale più sicuro o quantomeno stabile?
    Inoltre mi sembra che tra queste realtà siano davvero poche quelle che stanno emergendo, ovvero quelle che seguono gli aspetti produttivi in prima persona e che ci mettono il sudore della fronte.

  3. Secondo me in questa analisi bisognerebbe anche inserire i dati di quelle realtà che, da beer firm, hanno comprato il loro impianto e hanno fatto il passaggio a microbirrificio.
    Quello sarebbe un altro parametro importante in quanto, spesso parlando con alcune realtà beer firm, si intuisce come non interessi ad alcuni fare il grande passo.

    • E infatti secondo me quelli che hanno acquistato un impianto sono il 10% se non meno. Pronto a essere smentito dai numeri, ma in questo caso non credo ci siano 🙂

      • Infatti credo che bisognerebbe spulciare anno su anno e vedere quanti si sono “convertiti”. Per esperienza diretta avendo un beer shop ed interloquendo spesso anche con queste piccole realtà, la percentuale di chi punta ad avere un proprio impianto secondo me si avvicina al 70%, chi poi realmente lo fa è penso il 5% quando va bene.
        Poi naturalmente il discorso qualità, da produttore a produttore cambia drasticamente e a gusto personale di tutti i nuovi competitor sul mercato pochi meritano davvero di essere ricordati.
        Sotto certi aspetti sono in linea con quello che spesso vanno dicendo i produttori storici di birra artigianale, ovvero che questo è il momento in cui avremo il massimo proliferare di microbirrifici e beer firm ma che nel giro di un paio d’anni il mercato farà la sua naturale scrematura portandoci ad avere meno produttori ma più qualità.

  4. Prometto che come ho tempo mi leggo tutto l’articolo.
    Secondo me bisogna vedere pure quanti litri producono tutte queste beerfirm, potrebbero essere anche dei marchi one shot.
    Il rischio di impresa nelle beerfirm è molto basso, se consideriamo che negli ultimi anni il mercato della birra artigianale è andato sempre in positivo, per un’attività commerciale avviata che lavora nel settore alimentare (non necessarimente birra) può essere un’ottima opportunità di guadagno (non tantissimo probabilmente, ma aiuta a tenere in piedi la baracca). Pensiamo ad esempio al distributore di bevande, al pub, al beershop o l’azienda vitivinicola che produce la sua birra è ha già il suo canale di vendita.

  5. Ciao, sono Oliviero Giberti titolare del brewfirm Birra100Venti. Volevo solo raccontare brevemente la nostra storia e il perchè della scelta brewfirm. Dopo qualche anno da homebrewers avevamo voglia di fare qualcosa di serio, di farlo bene. Abbiamo fatto vari preventivi per impianti capannoni e tutto quel che poteva servire e, conoscendo qualche birraio ho chiesto lumi per quanto riguarda il dimensionamento dell’impianto.
    I preventivi ci hanno un po’ “spaventato”, più che altro perchè, con molta onestà, avevamo bisogno di esperienza per gestire un impianto e il birrificio in genere. Nessuno di noi è giovanissimo e quindi assumibile per fare pratica in un birrificio come apprendista. Così, vista la possibilità di un brewfirm per fare esperienza ci siamo mossi in tal senso. E’ l’unica via possibile che ho per fare esperienza in un birrificio e imparare anche a gestire tutto quel che c’è oltre alla cotta, che è tanta roba.
    Le ricette le faccio io e con il birraio si è instaurato un bellissimo rapporto di collaborazione, cosa che mi permette assolutamente di crescere. Siamo aperti da gennaio, abbiamo tre birre e la quarta sta fermentando ora. Io ho fatto assaggiare le nostre birre a destra e manca per avere opinioni autorevoli che potessero essere più imparziali della mia; le birre sono venute buone, certamente perfettibili ma sono una buonissima base di partenza. Durante i festival a cui abbiamo partecipato abbiamo avuto, dopo degli assaggi, tre richieste da parte di birrifici per fare la birra da loro, probabilmente perchè si combinavano un buon prodotto, quindi nessun rischio di fare pessime figure, una controparte (la nostra) che sa di cosa parla e che cosa vuole, e non ultima la possibilità di fare comunque fatturato.
    Due birrai mi hanno detto che, se partissero ora, probabilmente l’opzione brewfirm la prenderebbero seriamente in considerazione, del resto c’è, è una possibilità che si può sfruttare.
    Per chiudere, la nostra idea è stata, a fronte dei possibili investimenti, semplicemente quella di una partenza soft e il sogno e l’intenzione resta comunque quella del birrificio. Abbiamo sfruttato l’occasione che si presentava e credo siamo stati fortunati per il bel rapporto che si è creato con il birrificio dove produciamo.
    Io comprendo le polemiche, i brewfirm “inconsapevoli” sono molti, quello che chiedo è solo di valutare chi cerca di lavorare seriamente, chi cerca di costruire qualcosa per il futuro insomma, senza sparare a zero a prescindere da tutto.
    Se vorrete una verifica sul campo a febbraio saremo a Rimini al BeerAttraction, così potremmo scambiare due chiacchiere di persona.

    • Secondo me il problema risiede proprio per la troppe sottocategorie che vengono raggruppate nel termine beerfirm, gli esempi come il vostro sarebbero da tenere in considerazione separata da chi si fa fare le birre da un birrificio avviato per poi commercializzare a proprio nome, senza essere intervenuto direttamente nella produzione e probabilmente senza capirne proprio nulla.
      Purtroppo sia le realtà più oneste e volenterose che quelle più disoneste sono incluse in un unico termine, e la valutazione è lasciata alle singole persone e al rapporto che hanno con quel termine. Alcuni beerfirm validi sono penalizzati in questo, ma al contempo alcuni discutibili hanno anche troppa visibilità, e da questo impasse non si esce, almeno al momento.

  6. Secondo me va benissimo così ed è molto meglio, a livello economico, che aprano nuove beer firm piuttosto che nuovi birrifici.
    Con l’affitto dell’impianto i birrifici, come dice manvi, “trovano nelle beer firm uno sbocco commerciale più sicuro o quantomeno stabile”.
    I produttori senza impianto fanno un investimento minimo anzichè sobbarcarsi grandi spese per aprire “un’altro” birrificio.

    Ovviamente queste considerazioni valgono se si pensa che il mercato non può sempre e solo crescere e che qualche evento destabilizzante per tutto il settore sia sempre dietro l’angolo.

    Penso che “il mercato” riesca a tollerare meglio nuove beer firm (che come aprono possono chiudere senza colpo ferire) che nuovi birrifici.

    Ciao

    Carlo

  7. Sarò prevenuto, ma i prodotti delle beer firm, quando mi capita di incontrarli, li snobbo quasi sempre. Nei soggetti che optano per questa formula, vedo soprattutto la volontà di realizzare dei profitti. Nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di progetti senz’anima, senza passione e senza competenza. Non è un caso che il passaggio ad un impianto di proprietà avvenga soltanto in casi sporadici. E poi mi sfiora anche un sospetto: siamo sicuri che il birraio che brassa una birra su commissione, dedichi lo stesso impegno e la stessa cura che riserva alle sue birre? Poniamo il caso che gli serva un fermentatore-maturatore da destinare ad una sua creazione, ma sono tutti occupati, due dei quali da produzioni “ospiti” a cui manca ancora una settimana per completare in modo ottimale la maturazione. Come credete si comporterà?

    • Quindi penalizzi il beerfirm perchè il birraio è disonesto e disorganizzato? La birra viene prodotta quando ha il suo giro giusto nella rotazione dei fermentatori. E, senza offesa, si sei prevenuto e generalizzi. Ripeto, senza offesa.

    • Senza volontà di offesa per alcuno, io credo che chi sostiene che chi apre una beer firm lo faccia per i profitti non sappia fare bene i conti o non conosca le cifre in gioco.

      Senza voler ne generalizzare ne semplificare torppo cerco di spiegarmi.
      Una beer firm compra la birra ad un prezzo per cui il birrificio ci guadagna, quindi sta pagando oltre la birra finita e cofezionata, le spese del produttore e il suo guadagno. Quindi non solo relativamente alla singola cotta sta pagando le spese di ammortamante mutuo e tasse, ma anche gli stipendi dei lavoratori e il guadagno dell’imprenditore. La sua birra al litro sarà però venduta ad un prezzo di mercato… ergo il suo margine sarà ben inferiore a quello di un produttore normale.
      In italia causa legislazione vigente fare le beerfirm può essere solo un attività post amatoriale o pre imprenditoriale, non certo un vero business.
      Contestare le beer firm per il fatto che commercializzano prodotti fatti da altri e equivalente a contestare i distributori. Infatti o riconosciamo ad una beerfirm (quindi analizando caso per caso) la dignità di produttore che usa l’impianto altrui o lo consideriamo solo un distributore che compra la birra fatta e la rivende (unica possibilità ammessa dalla legge).

      Non sono pro o contro le beer firm, dico solo che se bisogna criticarle facciamo per motivi veri e seri.

  8. Io non ho pregiudizi nei confronti delle beerfirm, anzi sono piuttosto favorevole perché penso che sia tutto molto piu’ sostenibile economicamente ed ecologicamente.
    Il problema come consumatore è che tendenzialmente i prodotti delle beer firm vengono vendute a prezzi piu’ alti rispetto ai prodotti dei birrifici perché a quel punto c’e’ un attore aggiuntivo nella catena di quelli che debbono guadagnarci sopra.
    Aspirando ad un mercato in cui si possano bere finalmente birra di qualità ai prezzi della birra di qualità in USA, UK, germania, belgio, Rep Ceca… direi che una beer firm difficilmente possa posizionarsi in quella fascia.

  9. Ciò che non sopporto delle beerfirm è che gran parte di loro agli occhi del consumatore è un birrificio, questo perchè spesso i gestori di queste imprese non lo dicono di non fare la birra anzi vanno “stanati”.
    Alcuni barriccano le birre o le sottopongono a determinati processi senza alcun permesso ASL.
    Personalmente sono molto contrario.
    Anche perchè questi birrifici itineranti spesso scelgono il birrificio in base al minor costo che gli fa e ciò va contro ogni logica di qualità.
    Poi esistono birre di alcuni beerfirm molto buone ma chi ci garantisce la continuità nel tempo???
    Per me alla fine gran parte di loro sono degli etichettifici o a essere buoni dei distributori

    • Capita anche di andare per fiere e trovare molti beerfirm con ragione sociale e grafiche riportanti…”birrificio”. Non si discute la scelta imprenditoriale, per carità, ma un minimo di chiarezza non sarebbe cosa sgradita.

  10. vorrei fare i complimenti per questo e per molti altri articoli di cronache di birra, dopo questa premessa io vorrei fare un altra considerazione. perche in italia e’ cosi difficile aprire un birrificio o un brew pub? perche e’ tutto cosi costoso? recentemente sono stato in lituania e ho visto decine e decine di brew pub gestiti anche da 2 o massimo tre persone che producevano in continuazione. se non ricordo male l italia e tra gli ultimi posti nel consumo di birra (tradizionalmente beviamo/bevono vino) i produttori di materie prime cosi come i produttori di macchinari sono carissimi mi auguro che l aumento delle brewfirm aumentino anche la loro concorrenza in modo da abbassare i prezzi nel contempo mi auguro un cambiamento di rotta nella burocrazia specialmente “doganale” che rende improponibile la gestione di un birrificio cordiali saluti

  11. Ma perche’ chi ha un impianto lo affitta? Forse per il profumo dei soldi? Basta dire di no e il problema si risolve. Il resto e’ una conseguenza.

  12. Partiamo dal presupposto guidato da un buonismo che chi fa Beer firm lo fa come me per amore smisurato verso le b.a. all’inizio si puo anche optare per ricette scopiazzate e gia’ pronte ma la direzione a cui si punta e’ fare birre di eccellenza, perche’ gli italiani saranno anche un popolo polemico e strano ma gli artigiani li sappiamo fare e pure bene, nel mio caso dopo qualche cotta sto imaugurando il mio laboratorio da 90 litri per fare rocette mie, a.mio avviso mancano o consorzi che ci possano rendere competitivi, io pago una bottiglia vuota quanto una piena del supermercato.

    • Premetto che non so quale sia la tua B.F.. Quello che faccio è un discorso generale e non è rivolto a te, ma affermare che “gli artigiani li sappiamo fare e anche bene” è davvero troppo forte: in giro ho bevuto certe schifezze (ultima fiera di Rimini docet) che andrebbe proibito per legge di rifare certe cotte. Per quella che è la mia esperienza con le b.f. (ovvio non le ho provate tutte) direi che il livello medio è tendente sul 6. Nel senso che i prodotti (pochi) di buon livello potranno anche compensare le porcherie ma nella maggior parte dei casi ho bevuto prodotti senza infamia ma (purtroppo per me che le ho bevute) senza lode. Francamente ormai ho maturato una diffidenza totale verso il fenomeno delle b.f.: anche perché i prezzi sono pure alti (ma è un problema “italiano” e non solo delle b.f.) e questo è un freno per l’assaggio occasionale (chi me lo fa fare di rischiare su una belgian strong di una b.f. italiana quando a metà del prezzo vado tranquillo su una duvel che si attesta su livelli che una b.f. se li sogna ?)

  13. Non capisco alcuni accanimenti verso le beer firm,soprattutto se si parla dell’odore dei soldi. Salvo pochi sporadici casi direi che quest’attività è destinata al massimo a pareggiare costi e ricavi. Questo puó essere dunque un modo di farsi conoscere o di iniziare a fare esperienza. Diversamente qualcuno sta sbagliando i conti: beer firm e oppositori.

  14. Andrea, la tua analisi è davvero interessante.
    Dietro i numeri ci sono poche ma ben delineate considerazioni:
    * aprire un birrificio con un dimensionamento ragionevole è qualcosa che SPAVENTA;
    * il mercato della birra artigianale in Italia si avvierà entro breve tempo ad una fase di saturazione/maturazione e li la competizione dovrà per forza essere fatta ANCHE sui prezzi, al ribasso ovviamente;
    * la formula beer firm consente a parecchi homebrewers di fare il SALTO senza lasciarci le penne

    Detto questo al di la della crescita importante di questi due ultimi anni, sarà interessante verificare la mortalità di queste soluzioni imprenditoriali, la vita media si ogni singolo prodotto e come questa sia legata alla qualità di quanto proposto.

    Ti posso dire per esperienza diretta che parecchie beer firm “tastate” fanno robaccia, parecchie ottime cose. Le ottime cose però vengono più spesso dalle beer firm per le quali è noto il partner, specie se il partner propone già di suo buone cose… A buon intenditor…

    Un saluto.
    Alfio.

  15. Faccio una domanda:
    Quanto il risultato di una birra è fatto dalla “ricetta” su carta, ovvero miscele di malti luppoli, lievito, ecc… e quanto invece è dato dalla scelta degli impianti, dall’impostazione del processo di lavorazione, dall’attenzione che si dedica giornalmente alla cantina?
    Beh, il primo è un BF, che oggi si appoggia qui e domani là, in base a dove trova un buco, il secondo è un Birrificio che cura i propri prodotti e affina delle metodologie di lavoro atte, se ci sono delle capacità di birrario & co., al continuo miglioramento e sviluppo delle birre.

  16. Secondo me c’è a monte un problema sulle diverse realtà che vengono racchiuse nel termine beerfirm.
    Dal birraio o aspirante tale che vorrebbe inserirsi nel mercato ma non può (o non vuole) iniziare affrontando le spese di un proprio impianto, quindi affitta l’impianto altrui per produrre in autonomia (o con l’appoggio del birrario locale) proprie ricette, al tizio che chiede ad un birrificio “fammi 4 birre, più o meno così o colì, che poi vendo a mio nome”, non conoscendo e disinteressandosi dei processi di produzione, pensando solo a come vendere il prodotto finito.
    Il risultato finale è confusionario direi, tanta gente ha un accezione positiva o negativa del termine beerfirm a secondo delle esperienze avute o di come ne ha sentito parlare.
    Non tutte le beerfirm sono da condannare, come da un vostro articolo precedente ne esistono alcune di qualità che hanno ad oggi anche una ottima posizione del mercato, gestiti da birrai esperti, con ottime ricette che semplicemente ancora non hanno fatto il passo definitivo dell’acquisto di un impianto proprio.
    E di contro esistono invece birrifici con proprio impianto che dovrebbero sparire dalla faccia della terra per le schifezze che producono.

  17. ho solo una considerazione da fare su questo argomento. Come si può pensare che il mondo birra sia diverso da altri mondi. In tutti i campi (tutti) esistono produttori e aziende che si fanno produrre a loro nome. Ne potrei citare centinaia e molti di questi casi sono eclatanti, anzi in alcuni settori (come ad esempio per le bibite gassate,le fette biscottate,le gallette di riso) i produttori italiani si contano sulle dita di una mano, ma i marchi che producono sono decine e decine. Immaginare che per la birra possano esistere dinamiche di mercato diverse e più “pure” sarebbe molto bello, ma contrario ad ogni logica di mercato.

  18. Ciao Andrea,
    scusate la franchezza, ma è solo questione di denaro (da parted elle BF intendo). Ho iniziato nel 2010 con pochi soldi e tanta voglia. Ma erano momenti in cui forse tutto costava un po’ di meno, le associazioni di settore ti rilasciavano qualche garanzia, le banche erogavano (badate che ho iniziato con 10.000 euro in tasca e 25.000 in banca con Venetogaranzie … non con 200.000 euro!!) … oggi sarebbe impossibile!
    Buona Fortuna a tutti.

  19. Penso che non bisogna generalizzare e analizzare caso per caso. Personalmente al momento non abbiamo (birrificio castelli romani) i soldi per un investimento ( almeno 300.000 Euro credo) e anche come finanziamenti non ne abbiamo finora trovati . Cerchiamo di gestire insieme al birraio ( oggi 2 e/o forse 3 birrifici che ci ospitano) tutte le fasi del processo anzi in genere decidiamo noi e ci confrontiamo con i 2 birrai, decidiamo tutte le modifiche di volta in volta in base ai risultati dei prodotti che fra eventi e degustazioni personali proviamo diverse volte nei diversi stadi evolutivi, quindi non vedo enormi differenze fra avere un impianto e non averlo..c’è il quotidiano, gli inconvenienti, le sanificazioni.. ma sono aspetti che spesso si affrontano. Certo i margini sono più risicati…vedremo in futuro..ma se dovessi indicare una priorità senz’altro vedo un pub in appoggio ad un brand più importante di un birrificio ( che comunque è importante), la vendita nel mercato odierno è enormemente complessa. Nel frattempo siamo a 350 hl. prodotti quest’anno e ciò non ci da i margini per investire, quindi chi parla di profitti facili spesso non sa di cosa parla..se nel 2015 riusciremo come spero a crescere ancora ci faremo qualche pensiero in più per un impianto.
    Nel frattempo però abbiamo verificato ricette, capacità di vendere, affrontato e gestito difficoltà di prodotto e di mercato..comunque iniziare così e con pochi soldi è per noi indispensabile

  20. Ancora..non è detto che come beer firm debba adattarti ai buchi che trovi, dipende da quanto produci e se è una quota rilevante per il birrificio che ti ospita, da dove produci ( se non sei da un importante birrificio il tuo peso contrattuale aumenta) da come sai sviluppare partnership e quindi da quanto la tua attività può essere utile al birrificio che ti ospita in aggiunta a quanto paghi, devi essere attento a quanto paghi per non essere fuori mercato e disponibile ad assumerti e condividere responsabilità, affrontando insieme i problemi..insomma generalizzare non sempre è facile.
    E poi produrre su diversi impianti ti fa vedere un sacco di cose e quest’esperienza è spesso impagabile.

  21. Secondo me la scrematura non la farà il mercato, che cmq tende ad umentare l’avvicinamento e la ricerca del consumatore verso le artigianali, ma i locali che non pagano più e la tassazione sempre più alta, quasi insopportabile!!!

  22. Lo ripeto, gli impianti è molto difficile affittarli.
    Sia per le leggi sul lavoro, chi si fida a far lavorare sul proprio impianto persone terze? Come sarebbero assicurate in caso di infortuni sul lavoro????
    Al massimo il “beerfirmaio” assiste alla cotta che è fatta dal birraio. E poi una volta finita la cotta chi la segue la parte di cantina? Il birraio o il “beerfirmaio”?
    Senza contare che il passaggio dal pentolino a un impianto magari da 1000 litri cambia tutto.
    Non ci prendiamo in giro 9/10 la birra è su commissione, lo dico per esperienza personale. Se poi qualche felice realtà di collaborazione ed interazione esiste non posso che esserne felice.
    Ripeto che la non chiarezza è la cosa più brutta di tutta la storia.
    Tra le altre cose la nuova legge sull’etichettatura europea in vigore dal prossimo dicembre elimina l’obbligo di scrivere chi produce la birra il che favorirà ancora la confusione

  23. Alessandro comprendo le tue osservazioni ma quello che succede in cantina è regolato da quello che hai fatto prima, nel mash, in bollitura e nel resto, dalla salute del lievito e dalla sua eventuale propagazione, dalle temperature, dall’ossigeno che hai messo dentro, dallo storico che hai di attenuazione e da un’eventuale prova di attenuazione limite che potresti fare, dalle sanificazioni e dalle condizioni impiantistiche ..quindi cosa c’è di tanto strano che una beerfirm non sa ?
    Mica i birrai sono presenti a tutte le cotte..stabiliti parametri di processo e controllati i risultati mica si devono incatenare all’impianto! Con questo non voglio dire che le tue osservazioni sono sbagliate e che la presenza non è importante, ma smitizzerei un pò (non tanto però) il lavoro del birraio e abbasserei il limite di demarcazione fra una beerfirm e un birrificio

  24. Paolo,
    non si può fare di tutt’erba un fascio è chiaro.
    Condivido in pieno chi o per scelta o per motivi economici decide di testare il mercato aprendo un beerfirm o che ne fa una professione stabile.
    Non ritengo giusta la non chiarezza che avvolge questo movimento…. qui a Firenze si trovano birre a Km 0 e poi se vai a leggere l’etichetta (ma pochi la sanno leggere) vedi codice accisa IT00TN…….. (dove TN sta per Trento)….

  25. Mi aggiungo, con estremo ritardo ma ad acque calme. Parlo per deformazione professionale: l’imprenditore che ci crede, investe, se ha i soldi; se non li ha, non improvvisa. Parlo di imprenditore. Pur conoscendo nel mondo brassicolo ragazzi seri, titolari di beer firm, rimango dell’idea che la stragrandissima maggioranza che ha scelto questa soluzione, cerca il “botto” attraverso la realizzazione di un sogno o, molto peggio, attraverso un colpo di fortuna. In entrambi i casi, non hanno le capacità di gestione né della buone né della cattiva sorte. Non sono imprenditori, infatti. Con tutto quello che ne consegue. Fare birra per gli amici, NON è fare birra per il mercato, grande o piccolo che sia.
    Cinismo di Commercialista. Sorry.

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