Se seguite costantemente questo blog vi sarete accorti che con una certa frequenza dedico articoli ai nuovi birrifici italiani. Talvolta poi capita che alcuni di questi decidano di farmi assaggiare le loro produzioni per un parere, così da capire se la strada intrapresa è giusta e che tipo di futuro aspetta loro. Non credo di essere in grado di prevedere realmente l’evoluzione di un birrificio sulla base di assaggi estemporanei, però mi ci dedico sempre con grande passione e spero che questo lavoro sia utile. Su invito del birraio Claudio Caffi, negli scorsi mesi ho avuto l’opportunità di provare le birre del Birrificio Pavese, di cui scrissi a ottobre del 2012. Avevo già programmato un post al riguardo, poi la cosa mi era completamente passata di mente. Con il pezzo di oggi corro ai ripari e vi racconto qualcosa dei miei assaggi.
Per i più smemorati – ma dopo tanto tempo è perfettamente comprensibile – ricordo che il Birrificio Pavese si trova nel capoluogo lombardo e rappresentava fino a qualche mese fa l’unico produttore della città. Claudio ha alle spalle una carriera di birraio casalingo, costellata anche da alcuni importanti riconoscimenti. Il passo successivo è stata l’apertura del birrificio, che si pone l’obiettivo di perseguire un costante miglioramento delle ricette e di valorizzare i prodotti del territorio, meglio se a km 0. La gamma non è molto ampia, sebbene – come avremo modo di vedere – gli esperimenti non manchino.
La prima birra che ho bevuto è stata la Bliss (4,8% alc.), una Golden Ale color arancio chiaro, piuttosto opalescente, con una schiuma bianca abbondante e abbastanza persistente, anche se di scarsa aderenza alle pareti del bicchiere. Al naso si distinguono nettamente profumi agrumati e di frutta a polpa gialla, con il lievito molto in evidenza. Più lontano si avverte un leggero sentore di erba tagliata. Al palato l’ingresso è dolce, poi si nota una carbonazione un po’ troppo esuberante. Purtroppo la chiusura non è delle migliori: un retrogusto di leggera gomma bruciata compromette anche il finale amaro, non propriamente armonico.
Il risultato è una Golden Ale che risulta meno bevibile del previsto, non solo per gli off flavour che emergono alla fine, ma anche per il lievito troppo in primo piano, che ne limita la scorrevolezza tattile e gustativa. Peccato perché a livello olfattivo è ottima, grazie al bel lavoro effettuato per valorizzare i luppoli tedeschi.
La seconda birra è stata la Zeta (5,9% alc.), che appartiene alla curiosa tipologia delle Pumpkin Ale, realizzate con l’impiego di zucca. Alla vista si presenta di colore ambrato opalescente, con una schiuma beige discretamente abbondante, ma di persistenza non molto prolungata. L’olfatto è caratterizzato da profumi dolci e speziati: troviamo note di agrumi, zenzero, crosta di pane e un tocco pepato e aromatico. In bocca parte dolce, ma in modo delicato. Il corpo è medio e accompagnato da una buona carbonazione, mentre il finale leggermente amaro contribuisce a un ottimo equilibrio generale. Al retrogusto di avverte il ritorno della parte speziata.
Rispetto a tante interpretazioni di stampo americano, nella Zeta la zucca caratterizza le sensazioni organolettiche, ma in modo elegante e gradevole. La dolcezza ad esempio è netta, ma non invadente e ben bilanciata dall’amaro finale. In definitiva è una Pumpkin Ale delicata, valorizzata anche da uno speziato costante che accompagna la bevuta e che tende a emergere in modo più deciso quando la birra si scalda. In generale veramente un prodotto originale e divertente.
La Onissa è invece una Saison muscolare (8.9% alc.) di colore arancio e schiuma ricca e abbondante che tende a rimanere a lungo nel bicchiere. Al naso si distinguono profumi di lievito e frutta rossa e una punta di acidità che è assolutamente in stile. C’è anche una nota speziata di radice, che arricchisce un profilo olfattivo complesso, ma anche privo di una certa armonia. L’ingresso in bocca è dolce, con netti aromi floreali, quindi subentra la stessa acidità avvertita al naso, che rimane nei confini della gradevolezza. L’amaro è evidente sin da metà corsa, poi nel finale si accompagna a un’astringenza un po’ troppo decisa. Anche qui la percezione generale è di una mancanza di completa armonia tra tutte le componenti.
L’Onissa è dunque una Saison con buoni spunti, ma che rimane distante dalle migliori interpretazioni dello stile – non che siano facili da replicare, sia chiaro. In particolare manca di eleganza e armonia, pur offrendo elementi di una certa piacevolezza. Con un buon labor limae può diventare un ottimo prodotto.
Successivamente sono passato alla Bliss Riesling (5,8% alc.), che come il nome suggerisce è una versione speciale della Bliss brassata con mosto d’uva omonima. Si presenta di colore giallo luminoso, abbastanza cristallina, con un perlage evidente ma anche leggero ed elegante. La schiuma è abbondante, ma anche poco aderente e persistente. Le note di frutta e fiori dominano l’olfatto: troviamo pesca, albicocca e fiori di campo. Su un piano secondario si avverte una sfumatura di mou, mentre curiosamente l’uva sembra non caratterizzare il profilo olfattivo. Al palato mostra tutta la sua complessità. L’ingresso è dolce ma anche “lievitoso”, mentre la carbonazione gioca un ruolo importante: è evidente ma anche fine, e contribuisce ad alleggerire la bevuta. Ciononostante il corpo non risulta propriamente esile e questo aspetto evita di definirla una birra da aperitivo. Il finale è acidulo e speziato.
In definitiva è una birra con mosto d’uva diversa da tante altre, che risulta piacevole per lunghi tratti in modo originale. Anche qui purtroppo si avverte una mancanza di finezza generale, soprattutto nel finale, dove il carattere acidulo lascia una nota tannica che compromette la piacevolezza della bevuta. In ogni caso si apprezza il tentativo di brassare qualcosa di diverso dalle mode del momento.
E infine ho conclusa con la Mayflower, una APA da 5% alc. È di colore arancio carico e abbastanza opalescente, con una schiuma abbondante ma poco persistente. Al naso emergono note di agrumi e di caramello, insieme a sentori di lievito non proprio attesi. Gli stessi aromi si ritrovano al palato, insieme a un tocco resinoso che continua anche nel retrogusto. Il finale è secco e amaro, mentre il corpo di mantiene abbastanza leggero. Anche qui si avverte una generale mancanza di pulizia.
Si tratta quindi di un’APA in stile, costruita in maniera corretta, ma con alcuni problemi che già abbiamo riscontrato in precedenza. Con una maggiore pulizia sarebbe una APA davvero di notevole spessore.
In definitiva il Birrificio Pavese non mi ha entusiasmato, ma non mi è neanche dispiaciuto. Come avete visto uno dei principali difetti delle birre è la mancanza di armonia e pulizia, che spesso dipende e si accompagna da un’eccessiva presenza del lievito. Questo aspetto spesso si nota già a livello olfattivo, ma di ripercuote soprattutto sulla gradevolezza delle birre al palato. La nota positiva è che tutte le birre sono caratterizzate da questo aspetto, quindi per Claudio sarà facile perfezionare le sue ricette. E data l’intelaiatura di base delle stesse, il passo per proporre prodotti di alto livello potrebbe essere davvero breve.
Amici del nord Italia, conoscete il Birrificio Pavese? Cosa ne pensate?
Conosco il birrificio e la sua storia.
L’unico risultato buono da hb lo ha ottenuto a palermo nel 2011, con un 4° posto.
Poi un secondo posto grazie ad una birra fatta da nix.
Sbugiardato pubblicamente su mobi.
Deve lavora’ il ragazzo. Il mondo è crudele…
Che carini…
Litigavano come i bimbi
http://www.movimentobirra.it/forum/forum_posts.asp?TID=4128&PN=3
Ciao, la Bliss e la Myflower le ho provate più volte e le ho sempre trovate molto beverine.
Per la Onissa mi accodo ai tuoi dubbi, ma ha le carte per diventare una buona saison.
Cmq, seppur da pochi mesi, il Birrificio Pavese non è più l’unica birrificio di Pavia, ora c’è pure il Birrificio Opera.
Ciao
Tipico dei birrifici Italiani, si avvia una produzione e poi si a esperienza.
Non ho avuto modo di assaggiare ancora niente…provvederò
Bevute tutte, le prime cose che mi vennero in mente furono le battute dello zio di paperon de paperoni su quanto fosse fangoso il Mississippi.
Ho provato la Bliss, la Burgabàs (porter) e la Zeta, ma non mi sono piaciute granché. Curiosamente, l’unica che ho apprezzato (e ho scoperto dopo essere brassata da loro) la fanno su commissione solo per le spine del bar Manhattan a Milano: la “Peil Eil” (una East Coast Pale Ale, da etichetta)