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Sedici locali, un’unica identità: intervista a Paolo Branchetti del birrificio Giustospirito

Nel panorama brassicolo italiano esistono pochissimi esempi di birrifici capaci di trasformare la formula del brewpub in una rete capillare di locali a marchio. Giustospirito è uno di questi e dimostra come un progetto nato da zero può evolvere in un modello solido e ampiamente riconoscibile, pur mantenendo una dimensione artigianale. Partito nel 2010 da Rubiera, il marchio emiliano ha costruito negli anni un’identità precisa, fondata sul controllo totale della filiera, su scelte oculate in termini tecnologici e su una proposta pensata per parlare a un pubblico ampio, non solo agli appassionati. Oggi Giustospirito conta sedici locali distribuiti tra Emilia, Lombardia e Romagna, rappresentando una realtà di grande spessore, che merita di essere raccontata. Per questa ragione negli scorsi giorni abbiamo intervistato Paolo Branchetti, uno dei soci fondatori.

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Ciao Paolo, partiamo dagli inizi. Come nasce il marchio Giustospirito e come è arrivato a possedere una rete di oltre quindici locali in tutta Italia?

L’avventura comincia ufficialmente nel 2010 a Rubiera, in provincia di Reggio Emilia, ma l’idea era maturata molti anni prima. Nei primi anni Duemila ero un homebrewer incuriosito dal movimento artigianale che muoveva allora i primi passi. Intorno al 2007 cominciai a cercare uno spazio a Rubiera dove trasformare questa passione in qualcosa di concreto. Il progetto prese davvero forma quando lo illustrai a Roberto Laudati, un amico di lunga data che poi sarebbe diventato mio socio. Fu lui a propormi di unire birra e cucina, creando un format che per l’epoca era piuttosto innovativo.

L’idea era mantenere un’impronta italiana — pizza, carne alla griglia, hamburger con ingredienti nostrani — ma con un servizio più internazionale, più informale. Il primo locale, tuttora operativo accanto al birrificio, nacque sulla scia di questo concetto. Fin da subito lo abbiamo pensato per servire più punti vendita: controllare direttamente la filiera era il modo migliore per garantire una birra super fresca, non filtrata e non pastorizzata, preservando la qualità attraverso freddo, pulizia e attenzione costante. È una strategia che si è rivelata vincente. Oggi, come hai accennato, i locali sono sedici.

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Coordinare una rete così ampia non deve essere semplice. Come garantite che l’esperienza “Giustospirito” sia sempre la stessa, ovunque?

È la sfida principale. Al di là della birra — che una volta impostato il sistema è relativamente facile da standardizzare — replicare alla perfezione pizza, carne e hamburger in contesti diversi richiede un lavoro enorme. Il nostro modello si regge su tre pilastri. Il primo sono le persone: collaboratori fidati, molti dei quali sono con noi praticamente dall’inizio. Il secondo è la tecnologia: avere attrezzature controllabili da remoto ci permette di mantenere lo stesso livello in ogni locale. Il terzo riguarda fornitori e materie prime: cerchiamo partner in grado di garantire continuità qualitativa, cosa non sempre semplice quando si parla di prodotti artigianali.

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Parliamo allora di tecnologia. Quanto conta avere partner affidabili a livello produttivo? E cosa vi ha portati a scegliere Cime Careddu per il processo di confezionamento?

Per noi la tecnologia è un tassello fondamentale. Cime Careddu rappresenta esattamente l’equilibrio che cerchiamo: è un’azienda familiare, con cui si dialoga facilmente, ma capace di offrire macchine performanti, innovative e costantemente aggiornate. In una realtà come la nostra, dove la standardizzazione è cruciale, avere partner che rispondono prontamente a qualsiasi problema fa un’enorme differenza. E, aspetto non secondario, quelle di Cime Careddu sono macchine di ottimo livello che richiedono poca manutenzione. È fondamentale rapportarsi con un’azienda capace di adattarsi alle esigenze dei clienti, tanto che abbiamo sempre lavorato bene anche sulle personalizzazioni, che per noi fanno parte del gioco.

Nel vostro racconto torna spesso il concetto di “esperienza Giustospirito”. Che cosa significa esattamente?

Giustospirito non nasce per essere una semplice birreria, né un ristorante o una pizzeria. Volevamo creare un luogo per tutti, senza limiti di età o di abitudini. Nei nostri locali trovi un pubblico molto variegato per età e gusti. Puoi incontrate il bambino o l’anziano, il cliente che viene per la pizza e quello che cerca una birra di qualità.

Considera che per anni nemmeno abbiamo scritto “Birrificio con cucina” sulla facciata: abbiamo aggiunto la dicitura solo di recente. L’esperienza Giustospirito è garantire qualità assoluta, sia nel bicchiere che nel piatto. La filiera della birra è interamente sotto il nostro controllo; la cucina segue lo stesso principio: impasto della pizza fatto da noi, stesura a mano, ingredienti selezionati.

Negli ultimi anni la birra artigianale sta affrontando alcune difficoltà rispetto al passato. Qual è la tendenza di Giustospirito? Il vostro rapporto col pubblico si è modificato di recente?

Siamo in crescita. Questo perché, secondo me, abbiamo sempre parlato a un pubblico ampio, non a una nicchia di bevitori. Molti clienti da noi non bevono birra artigianale abitualmente, ma trovano prodotti di facile approccio, adatti a tutti i gusti. Le prime quattro vie sono pensate proprio per essere accessibili, senza rinunciare alla qualità.

Un dato interessante: la nostra Pils copre più di un terzo delle vendite totali. La terza birra più venduta si gioca tra la Weisse e la IPA, a seconda del locale. Nonostante si dica che le Weisse non tirano più, da noi vanno eccome. Abbiamo sempre puntato su canali dove la birra artigianale non era presente: soprattutto le pizzerie, che sono i luoghi dove si fanno davvero i litri. È un approccio che il mondo birrario italiano non ha mai adottato davvero, e secondo me lì abbiamo trovato un vantaggio competitivo.

Cosa ci aspetta per il futuro di Giustospirito?

A metà dicembre apriremo un nuovo locale a Ravenna. E nel corso del 2026 contiamo di inaugurarne altri, ma senza forzature: apriamo solo quando troviamo il posto giusto. Sul fronte produttivo abbiamo appena aggiunto il quarto tino all’impianto da 20 hl. Continuiamo a sperimentare, migliorare le birre e introdurre nuovi piatti in cucina. La direzione è sempre la stessa: qualità, accessibilità e controllo totale della filiera. È ciò che ci ha portati fin qui.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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