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In che stato si trova l’homebrewing in Italia?

Qualche mese fa mi è capitato di intercettare una discussione – direi piuttosto un pacato confronto – su Fail Beer, pagina Facebook gestita da Simone Larcher, homebrewer che racconta le sue esperienze con produzioni casalinghe, attrezzatura, concorsi. Questa volta si chiedeva in che stato versasse l’homebrewing in Italia, ipotizzando una scena non proprio in crescita, anzi, probabilmente nel pieno di una sorta di stagnazione. Sono seguiti commenti che hanno portato punti di vista diversi e interessanti. È venuto spontaneo pormi la stessa domanda, alla ricerca di risposte che sono tutt’altro che scontate, visto che dati veri e propri non ce ne sono. Alcuni elementi si possono dedurre dal contesto, dai forum, dai gruppi Facebook, dai concorsi che si trovano in giro. Ne derivano sensazioni contrastanti, vediamo in quali termini.

I concorsi per gli homebrewer sono aumentati negli ultimi anni

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Da quando il sito Hobbybirra.info non è più aggiornato, non esiste un unico luogo virtuale dove vengano riepilogate tutte le competizioni per produttori casalinghi di birra. O comunque io non ne sono a conoscenza. Esiste qualche pagina Facebook che cerca di tenerne traccia, ma per quanto ho potuto vedere non vengono aggiornate con regolarità. Difficile quindi valutare quanto il numero delle competizioni sia davvero aumentato negli ultimi anni. La sensazione, mia ma anche di altri con cui ho avuto modo di confrontarmi, è che tendenzialmente oggi ci siano più concorsi di un tempo. Forse non in numero assoluto, ma senza dubbio quelli con visibilità nazionale, che accettano e gestiscono birre spedite da tutta Italia, sono aumentati. Qualcuno inizia anche a lamentarsi che ce ne siano fin troppi.

Mentre scrivo dal treno che corre da Milano verso Roma, sono di ritorno da una trasferta di due giorni che ha avuto come fulcro proprio una competizione per homebrewer. E non una qualsiasi, bensì la terza tappa del campionato italiano organizzato dallo storico Movimento Birrario Italiano, conosciuto anche come MoBI. Questa tappa, che si svolge a Piozzo presso il Birrificio Baladin, include un mini-concorso a sé, chiamato la “Guerra dei Cloni”, nato proprio in quel di Piozzo più di venti anni fa. Lì, ancora oggi, si svolge questa doppia competizione, nell’ambito della festa che il birrificio organizza ogni luglio, durante una tre-giorni chiamata il “Weekend della birra”.

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Il campionato organizzato da MoBI si svolge in 6 tappe. Quella di Piozzo ha visto iscritte circa 130 birre, in alcune delle precedenti si è andati anche parecchio oltre. Altri concorsi, come il Wide Open della Brasseria Veneta che si tiene ogni settembre nell’ambito dell’EXPO delle birre artigianali a Preganziol, arrivano a numeri simili se non più alti. Numeri in crescita rispetto agli anni passati. Questo porterebbe a pensare che anche il movimento sia in crescita e goda di ottima salute. Tuttavia, a mio avviso, è rischioso trarre conclusioni da un singolo trend.

L’evento di Piozzo è stato coinvolgente e divertente. Una vera festa in un luogo magico. Tanta la partecipazione, nonostante l’ora di pranzo e il caldo. C’erano anche diversi homebrewer che avevano portato le loro birre da far assaggiare ai presenti, nell’ambito di un mini-evento collaterale che ha coinvolto una giuria popolare per eleggere la migliore birra fatta in casa tra quelle presenti. Un’idea simpatica che ha generato un confronto genuino. Plauso all’organizzazione per l’idea e la realizzazione.

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Tuttavia, durante la premiazione (che pure è stata abbastanza seguita in una sala dedicata al primo piano), la maggior parte degli homebrewer premiati non era lì. Chi c’era, tendenzialmente, era di zona. L’evento è stato bello, divertente, ma di sicuro non comparabile ad altri eventi per homebrewer che avvengono a livello europeo (senza scomodare l’America che è un altro mondo) come la BrewCon di Londra o l’annuale Hembrau Convention tedesca. A Piozzo, a parte il numero delle birre che era in effetti elevato, non mi è sembrato che ci fosse un assembramento di homebrewer fuori dalla norma. Con chi c’era ci siamo divertiti molto, è stata una giornata fantastica con un’organizzazione svizzera, ma davvero tutti questi concorsi e queste birre iscritte sono indicazione di un movimento nazionale in crescita? Secondo me non proprio, proviamo ad andare avanti con le considerazioni.

Gli homebrewer sono sempre gli stessi

Qualche settimana fa, Andrea Turco, proprio su queste pagine di Cronache di Birra, ha elaborato alcune considerazioni sul report di Unionbirrai e Obiart. Ha evidenziato un fenomeno che mi ha colpito molto: i bevitori di birra artigianale nel complesso tengono, anche i consumi, ma l’età media sta salendo a ritmi molto elevati. Ovvero, negli ultimi anni sono entrati pochi nuovi bevitori giovani nel mondo della birra artigianale. Questo è un trend generale, lo si vede anche in altri ambiti: i giovani sono meno interessati all’alcol, alla birra in particolare, fanno altro. Questo da un lato è sicuramente un bene, perché lo sappiamo tutti che l’alcol in sé fa male (sì, anche a piccole dosi), ma tante cose fanno male nella vita. Alla fine ci troviamo sempre di fronte a un compromesso tra “farci un po’ male” e sopportare le intemperie della vita. Ma questo è un altro tema.

Torniamo al consumo di alcol e in particolare di birra, specialmente quella artigianale. È un fenomeno generazionale da cui non si può scappare. È lì, tocca farci i conti. Secondo me, l’homebrewing non sta vivendo un trend molto diverso. Basta guardare i nuovi blog che sono arrivati a interessare un numero significativo di persone negli ultimi anni. Io ne ho registrati zero, ma anche fossero due o tre (e secondo me non ci arrivano), la situazione non è certo rosea. Sono molti di più quelli che hanno smesso di venire aggiornati.

Sì, d’accordo, i giovani sono migrati su YouTube, TikTok e simili. Vero. Nuovi canali YouTube con una certa costanza nella pubblicazione e un buon livello di approfondimento sono emersi negli ultimi anni, ma comunque meno di quanti ce ne fossero anni fa. Sicuramente non di più. Su Tik Tok non mi pronuncio perché sono troppo vecchio per bazzicarlo con costanza, ma non mi sono arrivate voci di canali stratosferici da seguire. I canali video di Instagram, alcuni molto influenti con decine di migliaia di follower, a livello di contenuti divulgativi sono a mio avviso piuttosto poveri. Foto di impianti, video di travasi, ma veri contenuti divulgativi non ne vedo. Legittimi, intendiamoci, per certi versi anche divertenti, ma ci fermiamo lì.

In generale, si parla di meno di homebrewing. La vecchia guardia o ha fatto il salto al livello pro, sparendo completamente dal nostro mondo (mi viene da pensare a Salvatore Arnese di Brewing Friends o Vincenzo Follino dei Southern Homebrewers, entrambi tra i più attivi e rilevanti fino a qualche anno fa) oppure si è stufata di fare birra ed è passata ad altro (c’è chi va a pesca, chi si è dato alla cucina, alla panificazione o al barbecue). Alcuni si sono semplicemente stancati di mostrarsi, fanno birra per i fatti loro e basta. Di nuove leve entusiaste e in grado di trasmettere contenuti di valore ne vedo davvero poche. La maggior parte delle pagine Facebook sull’homebrewing sono morte o con tassi di aggiornamento agonizzanti. Se da un lato è vero che è proprio il canale Facebook che sta pian piano morendo (è il social dei vecchi), dall’altro resta il problema che al momento non vedo altri social alternativi in cui stiano prosperando comunità dedicate all’homebrewing. Ripeto, magari sono io che sono di un’altra generazione. Ma non mi è arrivata nemmeno una voce al riguardo.

La crisi c’è per tutti

Ultimamente ha fatto molto notizia la chiusura del sito Birramia, e-commerce storico da cui acquistavano materie prime e attrezzatura soprattutto produttori alle prime armi. Probabilmente è stato il primo a essere colpito dalla crisi generalizzata proprio per questo aspetto generazionale. Non credo tuttavia che gli altri siti di e-commerce per homebrewer se la passino benissimo in questo periodo. Non ho dati quantitativi, ma da alcune impressioni che ho potuto raccogliere chiacchierando in giro, il volume degli ordini si è sensibilmente ridotto. Questo in parte è causato dal generale aumento dei prezzi, che su alcune materie prime (come i lieviti liquidi) è esorbitante, ma probabilmente è legato anche a una contrazione dei consumi perché gli homebrewer non stanno aumentando, semmai sono stabili, ma secondo me stanno anche diminuendo. Ai giovani frega poco della birra, meno ancora di quella artigianale e meno ancora di farsela a casa.

E tutte quelle birre iscritte ai concorsi, allora? E tutti quei concorsi? Eh, bisognerebbe sapere quante di quelle birre siano effettivamente diverse, e quante birre manda ogni homebrewer. Alle tappe del campionato MoBI molti homebrewer ne mandano anche 2 o 3, per aumentare le possibilità di piazzarsi. Inoltre, tra le varie giurie a cui ho partecipato quest’anno, mi è capitato spesso di trovare la stessa birra in diversi concorsi. Ovviamente non perché me lo avessero detto prima, si valuta alla cieca, ma alcune birre sono così particolari (ingredienti o stili inconsueti) che le riconosci. Anche guardando i vincitori dei vari concorsi, spesso gli homebrewer sono gli stessi e anche le birre. Esiste in teoria – in alcuni concorsi – la regola che la birra non deve essere presentata in altri concorsi, ma nessuno controlla (sarebbe impossibile, a mio avviso è una regola che non ha molto senso).

C’è da dire poi che le iscrizioni aumentano anche perché i concorsi riescono ad ottenere maggiore visibilità grazie ai moderni mezzi di comunicazione. È possibile – secondo me probabile – che abbiano iniziato a partecipare ai concorsi homebrewer che fino a pochi anni fa si tenevano le birre a casa. Non nuove leve, quindi, ma gli stessi che prima non mandavano le birre e ora sì. Questo fenomeno è favorito anche da un generale aumento della qualità media delle giurie ai concorsi, cosa che ha – in parte – restituito fiducia nelle valutazioni che si ricevono (e questo grazie anche al tanto contestato BJCP, lasciatemelo dire).

Insomma, tante birre e tanti concorsi non si traducono necessariamente in un movimento in salute. Anzi, leggendo il fenomeno al contrario, siamo noi homebrewer della vecchia guardia che abbiamo più tempo libero per mandare birre, con i bambini ormai grandi e una stabilità economica per comprare attrezzatura. Ecco un altro punto secondo me importante, parliamone.

L’homebrewing si è fatto più complicato e costoso

Una volta si faceva birra con un pentolone, un secchio di plastica e qualche bottiglia rimediata al bar sotto casa. Qualcuno la fa ancora così, e fa benissimo, ma pensare di piazzarsi in un concorso facendo una IPA o una qualsiasi bassa fermentazione con questi processi ridotti all’osso, è praticamente impossibile. Il livello medio delle produzioni casalinghe, specialmente in alcuni stili in cui il processo di produzione ha un impatto importante sul risultato finale, si è alzato a dismisura negli ultimi anni.

Se con gli stili del Belgio e in parte anche con quelli inglesi (nemmeno tutti secondo me) si può arrivare a ottimi livelli con il metodo classico e poca spesa in attrezzatura, sulle basse fermentazioni e sulle luppolate è davvero dura. Non che non ci si possa provare, ma è difficile. Questo, a mio avviso, scoraggia i potenziali nuovi homebrewer che si affacciano a questo mondo per la prima volta. Prendono slancio grazie ai nuovi sistemi All-In-One che effettivamente hanno semplificato, e anche di molto, la fase di produzione del mosto, ma poi si piantano davanti a keg, fermentatori che reggono la pressione, bombole di anidride carbonica, pompe da vuoto, complicati accrocchi per imbottigliare. Oltre ai costi, che non sono certo bassi, anche i processi per gestire questi metodi di fermentazione e imbottigliamento non sono inizialmente affatto facili da padroneggiare. Il fanatismo e l’integralismo di alcuni (per fortuna non di tutti) nei confronti di queste nuove tecnologie non aiuta ad accogliere. Anzi, spesso allontana.

Forse mancano gli stimoli per fare gruppo

Ho accennato prima all’egregio lavoro che fa un gruppo di sparuti eroi nell’organizzare e gestire il campionato nazionale di homebrewing. Bravi, chapeau per la dedizione e l’impegno. Lo dico sul serio. Sono occasioni di crescita e divertimento per tutti, giudici e homebrewer. Sono onorato di farne spesso parte come giudice.

Però, lo dico da anni, manca un vero e proprio movimento nazionale di aggregazione. Non esiste una convention nazionale, anche piccola e raffazzonata, che ci accolga. C’è qualche iniziativa locale, con laboratori e workshop, spesso legata a singoli concorsi, ma mai a quello nazionale. Anche per questo ci si muove meno per raggiungere le varie tappe, credo. Non c’è un vero motivo per andare, se non trovarsi con altri produttori casalinghi a un tavolo e scambiarsi birre. Questo va bene per la comunità locale, non è a mio avviso uno stimolo sufficiente per far spostare gli homebrewer da un capo all’altro dello stivale.

Di recente, con il mio amico Daniele, abbiamo chiuso il nostro podcast MashOut!, dove cercavamo di fare divulgazione in modo leggero ma approfondito. È durato tre anni, è stato un progetto intenso a cui abbiamo dedicato gran parte del nostro tempo libero. È stato molto apprezzato. La domanda che mi faccio, però, è sempre la stessa: perché MoBI non ha un blog, un podcast, perché non vengono organizzate iniziative di comunicazione, divulgazione, che non siano solo tappe di un concorso? Perché non si fa network? Lo so, richiede lavoro e fatica e non è facile, non c’è dubbio, ma dovrebbe essere parte del lavoro quotidiano di un’associazione che riflette un movimento nazionale.

Ecco, forse il punto è proprio questo. Va bene la crisi, che è generica e innegabile; va bene il ricambio generazionale, che per varie ragioni storiche e culturali non sta avvenendo; va bene anche il concorso nazionale, che almeno propone dei punti di confronto e aggregazione. Manca però il cuore di tutto ciò. Avverto sempre la sensazione che ognuno continui ad andare per la sua strada. Io faccio il mio podcast, quell’altro il suo canale YouTube, il piccolo concorso locale fa un workshop per 20 persone (quando va bene), ma ognuno va per i fatti suoi. Ci si vede al concorso ogni tanto, ci si scambiano tre birre e si torna a casa. Per aspettare che arrivino 250 birre al prossimo concorso, battere il nuovo record di iscrizioni, dare “lavoro” ai giudici (che ormai sono più degli homebrewer, praticamente) e raccontarsi che il movimento va alla grande per tornare poi a casa felici e contenti.

Siamo nell’epoca dei social (anzi, siamo ormai ben oltre), c’è stato il Covid che ci ha chiusi in casa, ci sono meno soldi per viaggiare e spostarsi. Per incontrarsi dal vivo e restituire vitalità a questo movimento servono stimoli che spingano a prenotare un treno, una stanza da qualche parte per mettersi in viaggio. Parlare. Confrontarsi. Come Michael Jackson fece quando prese la birra e la usò come mezzo per studiare e vivere contesti culturali diversi, dovremmo prendere l’homebrewing e fare altrettanto. Se tutto si riduce a produrre da soli tra le mura di casa con sistemi quasi industriali per poi spedire le birre a un concorso e vincere tre sacchi di malto, ci stiamo perdendo qualcosa. Qualcosa di grosso.

Francesco Antonelli
Francesco Antonellihttp://www.brewingbad.com/
Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Tra i fondatori del blog Brewing Bad, produce birra in casa a ciclo continuo. Insegna tecniche di degustazione e produzione casalinga. Divoratore di libri di storia e cultura birraria. È giudice certificato BJCP (Beer Judge Certification Program).

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5 Commenti

  1. Amen. Birra è socialità o almeno lo è stata ma dovrebbe continuare a esserlo.

    La birra artigianale si è spinta però abbastanza rapidamente verso l’opposto.

    È partita subito la lotta tra i consumatori (bevitori che guardavano male altri che non bevevano la birra in voga del momento)
    Birrifici che facevano la gara per cavalcare l’onda del Momento a discapito della logica a volte (sentito birrai di persona che quando interrogati sulle varie diciture strane che si trovano sulle lattine, rispondevano “eh ormai va di moda scrivere così”)
    Corsi che ti davano un pezzetto di carta spremendo le tasche degli appassionati del momento senza creare dei veri momenti e motivi di aggregazione.

    Dopo che è stata messa in moto la macchina tutti si sono messi a mungere ma nessuno si è preoccupato di alimentare questa passione creando una vera e propria comunità.

    Ora che qualcuno sta provando a far qualcosa tentando smuovere la gente da casa facendo dei concorsi, che si fa? Ci si scaglia contro i concorsi dicendo che sono troppi.

    Le scuse per far network non sono mai troppe. Qui ci serve come il pane gente con fantasia che se ne inventa di nuove ogni giorno, altro che troppe!

    Abbiamo trattato tutti la birra artigianale come la classica bolla finanziaria. Nessuno che si è fatto la domanda fondamentale : ma sta birra che facciamo a che serve? Che problema risolve?

    E se la risposta che riescono a dare chi lo fa di mestiere è : per farci tirar fuori lo stipendio, beh il problema è grosso!

    Scusate lo sfogo ma è come vedere un figlio che si droga. Mi rode il sedere per sta situazione, parecchio

  2. A volte semplicemente credo che tuto abbia un andamento sinusoidale e debba saltare una generazione. Per me bambino negli anni 70 e teenager negli’80 il vino era cosa da scaffale del supermercato, magari con del metanolo dentro, che solo i vecchi (30-40enni) bevevano da brutti bicchieri infrangibili ottagonali.
    Roba da vecchi. Mi facevano schifo i superalcolici e mi avvicinai alla birra, poi alle belghe…poi arrivarono le prime Craft….
    Ora a me pare che i ventenni vedendo tanti cinquantenni un pò brilli di birra facciano le stesse considerazioni (oltretutto la lingua dei giovani rifugge l’amaro per istinto …) e lascino perdere stax roba da vecchi cercando altro.
    Magari la prossima generazione che sarà ventenne nel 2040 …tirerà fuori alambicchi e pentole filtro del nonno dalla soffitta..
    E tutto comincerà di nuovo.
    Rifare ciò che faceva il nonno è una esperienza fare ciò che fa/faceva papà è una costrizione/imitazione dei “vecchi” di norma evitata dai figli.

  3. Butto lì una domanda retorica: non è per caso, che il vertiginoso aumento di disponibilità di marchi e tipologie, anche assai particolari, persino nei supermercati, disincentiva la produzione casalinga? In altre parole: sono un appassionato OK,ciononostante perchè mi devo “avventurare”, spendendo soldi (e tempo) nel produrre birra, quando sugli scaffali trovo di tutto e di più?

    • Non credo, chi fa birra in casa o lo fa per passione (e quei marchi al supermercato non li beve granché) oppure per divertimento anche se non è granché appassionato di birra, e la situazione non cambia. Non ritengo questo possa essere un fattore. Tra l’altro non è che siano arrivati tutti questi gran marchi di birra al supermercato, più o meno sono sempre gli stessi. Grazie del commento!

  4. Molte cose hanno influito,ma in maggioranza credo che non tutti vogliono studiare o sudare per fare qualcosa che al suo palato piace……non sono un Homebrewer da concorsi ma tutto sommato sono 25 anni che mi diletto….produco ciò che mi piace e lo faccio con passione spendendo per migliorare l’attrezzatura….si studia,si suda con la lavorazione e ci si beve la propria birra con soddisfazione anche quando si fanno errori perché si pensa già a risolvere l’errore……Mi spiace ma pochi giovani hanno la voglia di mettersi in gioco e vedere cosa sanno fare

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