Uno dei più grandi successi della rivoluzione della birra artigianale è stato obbligare l’industria a ripensare la sua comunicazione. Dal momento in cui la birra craft è diventata un fattore, conquistando piccole fette di mercato ma sempre più grandi, le multinazionali del settore si sono viste costrette a modificare il modo di presentare i propri prodotti. Lo hanno fatto spesso in maniera goffa, lanciando sul mercato birre crafty che apparivano autentiche quando una banconota da due euro e destinate a uscire dai radar nel giro di qualche anno o persino di qualche mese. In altre occasioni l’industria ha trovato invece strade più discrete, meno maldestre e arroganti di assecondare le nuove aspettative dei consumatori. Sono tecniche che sono state affinate con il tempo e che richiedono di presentarsi in maniera soft, senza il frastuono delle fanfare, ma risultando paradossalmente più efficaci. In particolare i colossi del settore hanno iniziato a seguire le sotto-tendenze del segmento craft, infilandosi in nicchie minuscole di mercato che tuttavia potrebbero avere crescite importanti nei prossimi anni.
Ceres Hempiness
Ad aprile del 2022 il marchio danese annunciò la prima birra “commerciale” alla canapa. La Ceres Hempiness (5%) fu presentata come una Pilsner aromatizzata alla cannabis, priva però sia del principio attivo della pianta (THC), sia dell’elemento “rilassante” (CBD). La ricetta infatti prevede semplicemente l’impiego di estratto di semi di canapa, che in termini aromatici si va ad aggiungere al contributo del luppolo. La Hempiness fu lanciata con una campagna basata su social media “alternativi”, almeno rispetto a quelli cui è abituata una certa fetta di popolazione: Twitch e Telegram. In più fu trasmesso uno spot pubblicitario piuttosto irriverente, in cui una voce fuori campo (appartenente alla dj La Pina) viene continuamente “bippata” per evitare espliciti riferimenti all’ingrediente speciale.
Con la Hempiness Ceres ha cercato di posizionarsi nel mercato delle bevande alla canapa, che rappresenta uno dei segmenti in più forte crescita nel mondo del beverage – come dimostra anche il recente accordo tra AB Inbev e Tilray Brands. Ci arriva anni dopo la birra artigianale, ma ovviamente ha tutta la forza, soprattutto comunicativa, per intercettare con efficacia il suo target di riferimento, come già dimostrano le strategie legate al lancio della birra, evidentemente indirizzate a un pubblico relativamente molto giovane.
Guinness Nitro Cold Brew Coffee
Negli stessi giorni in cui Ceres lanciava la sua birra alla canapa, il colosso Diageo annunciava la nuova Guinness Nitro Cold Brew Coffee (4%), una Stout aromatizzata al caffè. L’idea era evidentemente quella di posizionarsi in quel segmento a cavallo tra birra artigianale e caffè di qualità, sfruttando il fenomeno “specialty coffee” – definizione superficiale e parziale, ma che ci serve per contestualizzare il prodotto – che la birra artigianale ha già abbracciato da anni. Così con la sua Nitro Cold Brew Coffee, Guinness sfrutta tutta la potenza aromatica del cold brew, cioè il sistema di estrazione a freddo riscoperto in tempi recenti e capace di esaltare le caratteristiche del caffè, con il supporto di aromi artificiali. Ogni lattina da 44 cl contiene circa 2 mg di caffeina.
Quello delle birre al caffè di qualità è un segmento ancora piccolo, ma molto interessante perché celebra l’incontro tra due bevande molto simili tra loro. Birra e caffè infatti condividono una storia simile, fatta di falsi miti, incomprensioni e una forte influenza da parte delle grandi industrie. Questo crossover a livello artigianale celebra spesso collaborazioni tra grandi artigiani, ma è chiaro che declinato alle multinazionali del settore acquista un significato completamente diverso.
Damm Duet
Ancora più piccolo, per non dire lillipuziano, è il segmento delle birre prodotte con mosto d’uva, meglio conosciute come Italian Grape Ale. Una nicchia di mercato che però offre tanto a livello di suggestioni comunicative (e non solo), tanto che nel giugno del 2022 il colosso spagnolo Damm presentò la sua Duet, una birra realizzata con l’impiego di mosto di Grenache Blanc. La Duet uscì diversi anni dopo la Inedit, una creazione in partnership con lo chef Ferrain Adrià pensata per i ristoranti e gli abbinamenti gastronomici. Con la sua Grape Ale Damm tentò un’operazione simile, coinvolgendo questa volta i fratelli Roca, visionari esponenti della scena culinaria spagnola.
La mossa di Damm ci spinge a ripensare una tipologia a cui spesso associamo potenzialità molto circoscritte, ma che in realtà potrebbero spingersi ben oltre le nostre previsioni. Proponendosi come anello di congiunzione tra la birra e il vino, le Italian Grape Ale partono con un vantaggio comunicativo non indifferente. E, come dimostrano le scelte della multinazionale spagnola, probabilmente possono rivelarsi anche vincenti per aiutare la birra a penetrare finalmente nella ristorazione di livello. Purché non sia bruciata dal tempo da quella industriale.
Ceres ( forse con Gylden) ci aveva già provato tempo fa con quella “curiosa” IPA all’aroma di rosmarino.
ah, ehm, gli anni luce misurano le distanze, non il tempo…
buone birre a tutti!
demus