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Dopo cinque anni il fischio finale: Bavaria 1 – Baviera 0

A luglio 2009 vi parlai della sfida giuridica in atto tra i birrifici della Baviera e l’azienda Bavaria, industria brassicola dei Paesi Bassi. La questione era molto semplice: essendo la Bavaria una società olandese, l’utilizzo di un nome che ricorda la regione tedesca sarebbe improprio, soprattutto per l’esistenza di un preciso marchio IGP “Bayerische Bier”. Nel 2006 per tutelare i propri diritti, i produttori bavaresi si rivolsero al Tribunale di Torino, il quale non si espresse sulla questione, sottoponendola alla Corte di Giustizia Europea. Quest’ultima a sua volta non si pronunciò in modo definitivo, rimandando ai vari tribunali nazionali la decisione di consentire a Bavaria di utilizzare il suo nome. Si creò insomma una situazione molto simile a quella che in passato vide protagoniste l’americana Anheuser-Busch e la ceca Budvar.

La scorsa settimana la Corte d’Appello di Torino ha finalmente messo un punto alla diatriba. A chi come noi ama le produzioni dei piccoli birrifici, non farà piacere sapere che l’organismo si è espresso a favore dell’industria olandese, che potrà dunque continuare a usare il suo nome in Italia. La vittoria sul nostro territorio è la terza per Bavaria dopo quelle ottenute in Australia e Spagna.

Come si può leggere su Informazione.it:

Il tribunale ha stabilito che tutti i marchi Bavaria hanno priorità sull’IGP, che sono stati registrati in buona fede e che, in considerazione del loro aspetto generale e del loro uso, non esiste alcuna motivazione che possa comportarne l’invalidità o la decadenza; in particolare, è stato stabilito che i marchi non sono ingannevoli per i consumatori italiani.

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In pratica la Corte d’Appello ha stabilito lavalidità della registrazione in Italia effettuata tra il 1971 e il 1995 di tutti i marchi contenenti il nome Bavaria e che, dunque, Bavaria può continuare ad utilizzarli in Italia per la vendita della sua birra olandese, nonostante la registrazione, avvenuta nel 2001, dell’indicazione geografica protetta (IGP).

Se è evidente che la precedenza cronologica della registrazione del marchio sull’istituzione della denominazione IGP è un chiaro elemento a vantaggio degli olandesi, è più difficile essere completamente d’accordo con l’idea che il marchio Bavaria non sia ingannevole per i consumatori italiani. Sarei curioso di chiedere in giro se chi conosce questa birra sa anche che non è prodotta in Baviera (e la Baviera non è la regione di appartenenza della relativa società).

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Di contro, talvolta non è semplice esprimersi su questioni di questo tipo, soprattutto se si analizza l’evoluzione di un’azienda. Bavaria è ancora considerata una fabbrica indipendente a conduzione familiare, nonostante esporti in 100 paesi in tutto il mondo. Questo mi fa pensare che inizialmente partì come un microbirrificio o poco più e che successivamente si sia ingrandita. Una sorta di Menabrea olandese, ovviamente con le dovute proporzioni.

Finché un’azienda mantiene dimensioni locali, un nome “ambiguo” può passare quasi inosservato – penso ad esempio al birrificio brasiliano Bamberg, che porta il nome di una delle città birrarie tedesche più importanti al mondo. Quando le dimensioni da locali diventano internazionali, ciò che prima era irrilevante diventa improvvisamente evidente, nonostante il motivo originale per cui si è scelto un nome rimanga valido.

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Questione spinosa? Certamente sì. Sebbene la sentenza non mi piaccia, devo ammettere che esprimersi al riguardo non è facile. Voi come vi sareste pronunciati?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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10 Commenti

  1. Io sarei curioso di sapere quanti consumatori italiani perdono tempo a leggere il marchio IGP “Bayerische Bier” e sanno ricondurlo alla Baviera.
    Che poi a dirla tutta non mi sembra che Bavaria abbia mai provato a farsi scambiare per una birra tedesca, anzi mandavano pure le modelle vestite di arancio a mondiali ed europei….

  2. Bhe la lager della Castello la Jodler sfrutta in piccolo lo stesso processo associativo mentale…anche se leggendo l’etichetta si comprende che è una birra di S.Giorgio di Nogaro UD….Bavaria mi sembra “un tantino” più ingannevole…

  3. Ad Andechs ho conosciuto un locale che se venisse a conoscenza di questa cosa organizzerebbe seduta stante una rappresaglia armata.
    A colpi di Maß, ovviamente.

  4. Venticinque anni fa credo che Bavaria fosse una delle mie prede predilette per riempire la cinquetti e partire per ritiri mistici.
    Mai pensato di acquistarla per il rimando bavarese.
    Due erano le discriminanti fondamentali. Il prezzo e la qualità della birra.
    Dove per prezzo si intendeva necessariamente molto basso e per qualità si intendeva un po’ meglio di altre industriali low end.

    Se consideriamo il luogo temporale dove ebbe origine il crimine credo che la buona fede sia stata quasi certa.
    Sono contento che questo pilastro della mia preistoria birraria abbia resistito all’attacco del nozionismo intransigente. Se esiste uno che compra una birra da pochi centesimi a lattina pensando che sia un nettare della Germania meridionale si merita di essere ingannato, non vi pare?

    • ma perché in germania quanto costano le birre “nettare”?
      Non guardiamo la vicenda solo dal nostro punto di vista.

  5. Mi è capitato, molte volte, di correggere chi credeva che la Bavaria fosse tedesca.
    Questo vuol dire due cose:
    1. che pochi leggono le etichette
    2. sono d’accordo con Livingstone

  6. Penso che l’intento di rimandare a birre prodotte in Baviera sia inequivocabile.
    Daltronde mi sembra che anche il Parmesan venduto in Germania, piuttosto che Brasile, sia di qualità e prezzo inferiore. Non credo che la data di registrazione del marchio cambi di molto le cose.

  7. Non solo sono d’accordo con Livingstone, ma come birra da poco la trovo ancora valida. Tra l’altro sono tra i pochi in quel segmento di mercato a essere di facile reperibilità e a non usare il mais.

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