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Viaggio nell’acido: le diverse tipologie di sour beers

birre acideA differenza di quanto succede per il vino, è bene ricordare che nella birra l’acidità è un grave difetto e una caratteristica assolutamente indesiderabile. Detto questo, in realtà saprete bene che al mondo esistono tante birre acide – e badate bene, non inacidite – che negli ultimi tempi stanno ottenendo un grande successo tra gli appassionati (e non solo). Sono chiaramente delle eccezioni alla regola sopracitata e il loro successo è molto curioso, poiché l’acido è forse il gusto più problematico che può incontrare il palato umano. L’obiettivo dell’articolo di oggi non è analizzare i motivi di questo fenomeno, bensì di mettere ordine in quell’ampia categoria nella quale rientrano le birre acide. Alcune di esse infatti appartengono a stili ben precisi, altre a tecniche particolari, altre ancora a tradizioni che affondano nella storia dell’umanità.

Lambic e suoi derivati

Ovviamente le birre acide per eccellenza sono quelle a fermentazione spontanea del Belgio. La produzione di Lambic è sicuramente il modo più antico di fare birra, nonché il più romantico in assoluto. Il birraio infatti non inocula il lievito nel mosto, bensì sono i microrganismi presenti nell’aria ad attivare il processo di fermentazione e a caratterizzare successivamente il ventaglio aromatico. Il “miracolo” che si compie nelle vasche di raffreddamento è un fenomeno sempre estremamente affascinante, che restituisce il giusto valore all’impatto della natura su una delle più remote bevande dell’umanità. Il vero Lambic è prodotto esclusivamente in una ristretta regione del Belgio, chiamata Pajottenland, dove la speciale microflora presente nell’aria non ha uguali nel resto del mondo. A definire il gusto non facile di queste birre è un mix di brettanomiceti (Bruxellensis e Lambicus), pediococchi, lattobacilli e altri microrganismi, tutti operanti a vari “livelli”. Definire queste produzioni semplicemente “acide” è forse fin troppo riduttivo, considerando che la complessità aromatica può presentarsi quantomai sfaccettata. Il Lambic è sia uno stile birrario a tutti gli effetti, sia una base per altri stili, come Gueuze (blend di Lambic di diversi anni), Kriek (con l’aggiunta di ciliege), Framboise (lamponi) e altri.

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Altri stili acidi

Sebbene il Lambic sia lo stile “acido” per antonomasia, esistono altri stili antichi che fanno dell’acidità una delle loro caratteristiche fondamentali. Il Belgio è la patria delle birre acide e infatti è qui che troviamo altre due tipologie molto importanti: le Oud Bruin e le Flemish Red Ale. Anche in questo siamo al cospetto di produzioni legate alla tradizione, ma che a differenza del Lambic non prevedono fermentazione spontanea. Qui piuttosto la fermentazione può essere definita “mista”, perché oltre al normale Saccharomyces Cerevisiae (il lievito ad alta fermentazione) tradizionalmente entrano in gioco batteri e lieviti “selvaggi”, nascosti nei tini di legno usati per la fermentazione e la maturazione.

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Difficile credere che sia l’austera tradizione brassicola tedesca a regalarci altri due stili acidi. Le antiche (e quasi scomparse) Berliner Weisse sono le storiche birre di frumento di Berlino e dintorni, furono per decenni la bevanda più bevuta in città. L’acidità è data dall’impiego di lattobacilli e spesso amplificata unendo Berliner Weisse di diversa età durante la fermentazione. Il loro carattere acido è il motivo per il quale tradizionalmente venivano (e vengono) servite con l’aggiunta sciroppi di asperula o lampone, che ne addolciscono il gusto e ne determinano il caratteristico colore verde o rosso brillante. Sempre i lattobacilli sono protagonisti nelle Gose di Lipsia, dove operano in compagnia di altri ingredienti “strani”, come sale e coriandolo. Il risultato è una birra di frumento acidula, salata, speziata ma anche straordinariamente dissetante e rinfrescante.

Pseudo-Lambic e wild beers

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Conclusa la parte dedicata agli stili acidi tradizionali, c’è da aprire quella dedicata a tutti i tentativi di imitare il tipico carattere di certe produzioni. Se il Lambic è (in teoria) un prodotto non replicabile altrove, l’unica soluzione è cercare di ottenere lo stesso gusto con delle colture di lieviti “eterodossi”. In questo senso un grande successo hanno ottenuto i brettanomiceti, che spesso e volentieri vengono impiegati per aggiungere un carattere “selvaggio” alle birre. I pionieri di questa tendenza sono stati i birrai americani, poi seguiti dai colleghi di mezzo mondo, soprattutto scandinavi. Al di là di pochi (almeno a mio giudizio) risultati apprezzabili, la moda delle wild beers spesso ha sfornato creazioni al limite della censura, o quantomeno senza troppo senso.

Birre maturate in legno

Piuttosto che aggiungere lieviti selvaggi, un’altra soluzione per ottenere birre acide è il passaggio in legno. Come già spiegato, annidati all’interno delle botti sono presenti tutta una serie di microrganismi che normalmente non intervengono nella produzione brassicola. Se utilizzata con abilità, la tecnica della maturazione in legno è allora in grado di aggiungere alla birra gradevoli sfumature acidule, con risultati che possono raggiungere vette di totale eccellenza. L’abilità nel birraio sta nell’individuare le giuste botti, stabilire il corretto tempo di affinamento, decidere quale birra sia adatta a passare in legno. Per fortuna i birrai italiani sono tra i migliori al mondo in questa specialità, sebbene anche qui gli apripista e i maggiori esponenti siano quelli statunitensi.

Birre alla frutta

Come i Lambic insegnano, intorno a noi è un pullulare di microrganismi e lieviti selvaggi. La buccia della frutta ad esempio contiene tantissimi microscopici esserini, al punto che talvolta viene usata per innescare fermentazioni miste (a cui spesso segue un passaggio in legno). Anche qui è richiesta una grande abilità da parte del birraio, perché infettare un mosto è forse l’azione più rischiosa e complicata che si può commettere in birrificio. Al pari della categoria precedente, anche in questa il nostro movimento eccelle e probabilmente non teme confronti con altre realtà.

Altre birre acide

Oltre alla frutta, altri ingredienti “speciali” possono apportare un gusto con sfumature acidule e aspre. Un esempio è l’impiego del fiore dell’ibisco, che in Italia hanno sperimentato L’Olmaia, Toccalmatto, MC-77 e altri. Possono invece apportare acidità passaggi in materiali analoghi al legno: ad esempio Birra del Borgo ha usato anfore di terracotta per la sua Etrusca, la porosità delle quali da luogo a continue microfermentazioni selvagge. Proprio Birra del Borgo ha recentemente riconvertito il suo vecchio impianto in un birrificio per fermentazioni spontanee. Il futuro della birra è sempre più acido!

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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30 Commenti

  1. L’argomento è estremamente affascinante e per molti versi ancora poco conosciuto. Anche io credo che in futuro assisteremo sempre di più a nuove scoperte e ottime birre in questo settore. Anche avere una bella bibliografia su questi argomenti è complicato, oggi almeno io ho trovato 2- 3 classici di riferimento e stop.

  2. Oggi è la giornata del disaccordo sulle sour… 🙂
    Per curiosità: quali wild americane hai bevuto per essere così tranchant?
    P.S.: sulle birre alla frutta penso che il confronto con Cantillon forse un po’ lo temiamo… 😉

    • Americane poche, la mia esperienza in quella particolare nicchia è limitata a prodotti europei. Ma è il concetto di per sé a non piacermi particolarmente.

      Cantillon e i Lambic fanno storia a sé 🙂

      • Non so cosa hai bevuto, ma quello americano è un mondo abbastanza complesso: si va dalla russian river dove il carattere “aggiunto” dei lieviti selvaggi è abbastanza evidente fino alle boulevard dove si potrebbe far fatica a capire come si è ottenuta l’acidità.
        Insomma un mondo difficile da definire.

        Come il mondo dei lambic non inizia e finisce con cantillon in belgio.

      • Anche io credo, invece, che birre dalla fermentazione mista in cui si inocula volutamente qualche brettanomiceto (le wild beer a cui accennavi) siano molto da apprezzare, anzi che siano la nuova tendenza ed una sorta di tipologia birre d’ingresso al mondo delle fermentazioni spontanee.
        Al di là degli americani, c’è da inserire innanzitutto Orval, mentre una bella scoperta degli ultimi tempi è stata la Mam’zelle del belga De Leite.

      • la realtà è che qua arriva poco e niente ed è impossibile giudicare le Brett beer. o ti sveni come Patrick facendotele spedire o è dura tirare le somme

        secondo me è un campo di innovazione pazzesco ed è facile previsione dire che sarà la nuova moda. so per certo che anche certi italiani si stanno organizzando (parlo di inoculo). e la realtà è che del bretta non sa un tubo nessuno e si sta scoprendo ora tutte le potenzialità che possiede

  3. (chiaramente Cantillon produce Lambic. Però è anche l’unico produttore, credo, che vada oltre Kriek e Framboise. Secondo te come va classificato? Per questo ti chiederei cosa intendi per “birre alla frutta”).

      • Okay, mi spiego meglio.
        Se classifichiamo i “lambiccari” in un’unica categoria (“lambic e i suoi derivati”), okay. Però Cantillon, come hai anche detto tu, fa un po’ caso a sé pure tra i lambiccari stessi; è comunque l’unico, se non ricordo male, ad utilizzare ingredienti fuori dallo spettro classico Kriek/Framboise/Faro. Sono sempre lambic, ma c’è anche particolare frutta. Riterresti passabile un confronto con le birre alla frutta? Ecco cosa ti chiedevo.

        • Beh no, perché secondo me sono in primis fermentazioni spontanee e quello è il carattere più evidente, non solo a livello produttivo ma anche organolettico. Quindi un confronto mi sembra azzardato o comunque fuorviante.

          • Ecco, per questo dicevo “se non ricordo male”.
            Però, correggimi se sbaglio, pensavo comunque che fosse stato Cantillon a introdurre la novità di altri ingredienti al di fuori dei classici. Non ricordo con chi ne ho parlato, se con Alberto (di Cantillon) l’ultima volta a Bruxelles o con qualche altro belga.

          • *credo* di sì

            ma mi pare davvero una questione secondaria. se Cantillon davvero fa caso a sé (ed io non lo credo) non è certo perché ha usato ingredienti diversi dalla ferrea tradizione, al massimo per l’aura che gli hanno cucito addosso in questi anni. forse la prima volta che ha usato la vaniglia poteva sembrare coraggioso, ma diciamocela tutta, non è che ci voglia un cuor di leone a usare prugne o albicocche invece di ciliegie…

            dentro la famiglia del Lambic ci sono diverse tipologie. non capisco per quale motivo Cantillon debba fare scuola a sé, è una Kriek pure quella di De Cam per dire…

  4. […] Questa settimana  a pompa La Nut-The Irish Jinn del birrificio Blackbarrels Beer, è una birra ambrata, ben luppolata, anche con fiori freschi in botte,molto aromatica,con un bouquet che riflette il connubbio tra i luppoli,i malti e la maturazione in legno,dando vita ad un prodotto dalla schiuma sottile ma molto persistente,con una moderata carbonazione,dal gusto straripante.bottiglie tappate con tappo raso e ricoperte a fine maturazione con tappo di metallo. Ecco un link utile per la descrizione dell’argomento: “acide” […]

  5. sò di essere un rompipalle, premesso questo vi segnalo due, secondo il mio parere “falsi mitii”, relativi le birre acide in generale. Come si evnice bene dall’articolo, per il quale fra l’altro mi complimento, c’è una differenza fondamentale fra una birra acida e una birra inacidita.
    Mentre l’acidità che si può riscontrare in una birra acida fatta bene è fondamentalmente legata alla presenza in bottiglia di acido lattico, che si origina dalla fermentazione lattica instaurata da alcune classi di microorganismi, prevalentemente i lattobacilli, ma anche alcuni tipi di lieviti, nel caso di birre acide fatte male essa è dovuta in maggior misura a fenomeni ossidativi che intervengono durante la conservazione delle birre in condizioni non appropriate. La conservazione in legno infatti è regolata per qualsiasi tipo di liquido alimentare da certi dogmi di base imprescindibili…tenore alcolico alto per evitare l’insorgenza di lieviti e batteri sgraditi, quali i batteri acetici e lieviti apiculati, alto contenuto in tannini del liquido che si inserisce nelle botti, o per sopperire a questo un elevatissimo tenore alcolico che eviti la proliferazione di qualsiasi tipo di microorganismo. In assenza di queste condizioni è sconsigliabile conservare in legno perchè non si sà bene che fine può fare il liquido. I fenomeni ossidativi infatti non portano alla formazione di acido lattico ma alla ossidazione dell’alcool etilico, che si trasforma prima in acetaldeide e poi in acido acetico. Dei due la più rognosa è l’acetaldeide perchè a differenza dell’acido acetico che è difficilmente avvertibile sotto il g/l, l’acetaldeide invece si sente eccome e da quell’odore tipico di aceto che non si può sentire in una bevanda.
    Toglierei di mezzo anche la possibilità che le note che tanto ci piacciono in certe birre acide siano dovute al Brettanomyces. Considerate che il Brett. rende alla lunga imbevibile qualsiasi tipo di prodotto ci vada a contatto, soprattutto se caratterizzato da una bassa acidità, un pH alto e una gradazione alcolica bassa…in pratica l’identikit della birra in generale. La pena per le pseudofermentazioni portate avanti dall Brett. sono oltre alle fermentazioni incomplete, l’ibnsorgere di odori che definire di cuoio o di sella di cavallo è leggermente riduttivo. Produce le stesse molecole che vengono prodotte durante un fenomeno di putrefazione. Fate voi.
    Senza dubbio esistono dei luoghi sulla terra dove queste variabili si sposano in un certo modo e tutto va bene. Personalmente sono più incline a credere che le birre acide vengano tutte prodotte come blend e con una grande tecnologia dietro. Prendete le Geuze. Si mettono insieme tre annate, o almeno così dicono. Io penso che vengano messe insieme delle partite fino a raggiungere un equilibrio e una costanza di sapore, così come avviene per lo Champagne.
    Inoltre bisogna considerare che l’odierna industria enologica ha messo a disposizione di ogni birraio tutti i modi possibili per produrre una splendida birra acida senza difetti, e immagino che i birrai più svegli non si siano di certo lasciati scappare la possibilità, vista anche la libertà di aggiunta di cui gode la birra in fase di mashing out e di luppolatura.
    Acido lattico, glicerina, fruttosio, chips di legno che simulano l’invecchiamento in legno, acido malico e relativi batteri malolattici, innesti misti di lieviti e batteri selezionati…
    Non ve la voglio tirare lunga, anche perchè capisco che la mia è una posizione piuttosto critica su un prodotto che in realtà è amato da tanti appassionati del settore, e anche dal sottoscritto per assurdo. Però se le birre acide fatte in casa dagli homebrewers fanno tutte più o meno schifo e concordo in pieno, il motivo probabilmente è da ricercarsi sulla mancanza di certe finezze. E sulla costante assenza di malizia che non mettiamo nelle produzioni di casa.
    Detto questo un applauso a chi riesce a fare buone birre acide…ma concordo con l’autore che sia meglio che a casa evitate. Pena la produzione di roba buona per lavare i piatti. Prosit.

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