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Billy Beer: ascesa e caduta di un mito americano mai tramontato

Ogni tanto nella storia dell’umanità si affacciano personaggi talmente improbabili e fuori dal comune da fare il giro e diventare vere e proprie leggende. Questo è il caso di Billy Carter, fratello minore del più celebre Jimmy Carter, 39º presidente degli Stati Uniti d’America dal 1977 al 1981. Quando la stampa americana si recò nella città di Plains, in Georgia, per seguire la campagna per le elezioni presidenziali del 1976, era alla ricerca di qualche notizia interessante da raccontare sul candidato del Partito Democratico Jimmy Carter. Mai si sarebbero immaginati di trovare qualcosa di meglio: il fratello minore di Jimmy, lo stravagante e scapestrato proprietario di una stazione di rifornimento, al secolo Billy.

L’occhialuto bevitore di birra, fuori dalle righe e catalizzatore di buonumore, Billy Carter, fece innamorare fin da subito i media che lo contrapposero alla figura seria e autoritaria del fratello. Cordiale e affabulante nella sua semplice retorica, era solito regalare giochi di parole che divennero veri e propri slogan per l’americano medio. Una delle sue frasi più famose era  “I got a red neck, white socks, and Blue Ribbon beer”, che tradotto significa “ho un collo rosso, calzini bianchi e una birra Blue Ribbon”, richiamando in questo modo i colori della bandiera degli Stati Uniti. Per chi non lo sapesse la Blue Ribbon è un’American Lager, molto famosa in quegli anni, prodotta dalla Pabst Brewing Company.

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Da quel momento in poi Billy diventò un “professional redneck”, così lo descrisse l’Associated Press nel 1979, un soprannome, a dire il vero, non troppo lusinghiero in quanto il termine “redneck”, in grafia unita, viene soventemente utilizzato per sottintendere alcune caratteristiche fisiche con un marcato intento classista. Negli Stati Uniti si utilizza questo termine per indicare un individuo di etnia caucasica proveniente dagli stati del Sud ed appartenente alla fascia economica medio-bassa della società – la traduzione letterale di redneck, “collorosso”, si riferisce al colore della nuca scottata dall’esposizione al sole dovuta al lavoro nei campi, uno sprezzante sinonimo di contadino. Tuttavia, se utilizzato con un tono più confidenziale, il termine può assumere un significato positivo e diventare sinonimo di “libertà” e “divertimento”, e in questo senso calzava perfettamente all’irrequieto Billy. 

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Nei primi anni della presidenza del fratello la fama del giovane Billy Carter crebbe velocemente. Utilizzò questa acquisita e improvvisa notorietà per viaggiare in lungo e in largo per tutto il paese, bevendo birra, facendo apparizioni in eventi importanti ed incassando diversi assegni. Tutto ciò in un crescendo di imprese successive che lo condussero fino al suo progetto più notevole: quello di dare vita ad una birra che fosse rappresentativa dell’americano medio e che portasse il suo stesso nome.

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E mentre la buona stella di Billy continuava a splendere sempre più radiosa, a Louisville lo stabilimento della Falls City Brewing stava vivendo il periodo più nero dalla sua fondazione. Questo storico birrificio del Kentucky, nato nel 1905 e con un glorioso passato che lo vide prosperare perfino nel periodo del Proibizionismo americano grazie alla produzione di birra e bibite analcoliche, si trovava in un una fase di inesorabile declino. Nel 1977 la competizione con i grandi marchi nazionali era diventata talmente pressante che anche il tentativo di riconquistare quote di mercato attraverso la produzione di una nuova birra popolare dal corpo leggero e beverina, la Drummond Bros, non aveva prodotto il risultato sperato.

A quel punto il presidente della Falls City Brewing si convinse di dover giocare tutte le carte a sua disposizione pur di scongiurare la chiusura dello stabilimento, decise così di rivolgersi al più famoso ubriacone degli Stati Uniti per dare vita ad una partnership che avrebbe rivoluzionato il mercato nazionale della birra, questa almeno era l’intenzione. I termini esatti di questo accordo non furono mai del tutto chiariti, ma varie fonti stimarono il compenso del giovane Carter intorno ai 50 mila dollari annui, tutto questo in cambio della licenza d’uso del nome e della fornitura di vari servizi di carattere promozionale. Non solo, tra i compiti di Billy c’era anche quello di scegliere tra i vari lotti di prova quello che, a suo giudizio, sarebbe riuscito a conquistare i consumatori americani. Una grande opportunità per Billy Carter, che scherzando in pubblico una volta esordì dicendo “Maybe I’ll become the Colonel Sanders of beer.”, cioè “Forse diventerò il colonnello Sanders della birra”, riferendosi all’iconica figura in divisa bianca della catena KFC, Kentucky Fried Chicken.

La proprietà della Falls City Brewing ipotizzò correttamente che la nuova birra approvata da Billy avrebbe avuto un grande successo e che tutti gli americani avrebbero voluto berla. Sarebbe stato quindi impossibile soddisfare la domanda senza un accordo con altri produttori regionali. Nacque così un sodalizio con altri tre birrifici di medie dimensioni: Cold Spring in Minnesota, Pearl Brewing in Texas e West End di New York. La Billy Beer era ormai pronta a far ubriacare l’intera nazione!

Al suo debutto, nel novembre del 1977, la Billy Beer attirò l’attenzione dell’intero paese: sia i sostenitori che i detrattori del Presidente Jimmy Carter si precipitarono a comprare una confezione da 6 lattine della nuova birra. Le confezioni da 12 erano addirittura decorate con una foto di Billy e dei suoi amici mentre si godevano della birra ghiacciata. La lattina era inoltre l’unico formato in cui la Billy Beer veniva distribuita, incisa sul contenitore di alluminio spiccava la firma di Billy Carter ed una scritta con la promessa “I had this beer brewed just for me. It’s the best beer I’ve ever tasted. And I’ve tasted a lot”, che tradotto significa “Ho fatto realizzare questa birra solo per me. È la miglior birra che abbia mai assaggiato. E ne ho assaggiate molte”. Era appena nato un nuovo mito americano.

Per Billy tutto sembrava procedere al meglio, ma il compagno di bevute degli americani, così veniva spesso apostrofato, non era stato del tutto sincero sulla qualità della birra a cui aveva gloriosamente ceduto il nome. Molti di coloro che al tempo la assaggiarono ritennero che la Falls City Brewing avesse dedicato fin troppa attenzione alla promozione, ma non abbastanza alla bontà del prodotto. Persino Billy in seguito considerò scherzosamente la Billy Beer come il motivo che lo convinse a smettere di bere – in realtà il motivo fu, purtroppo, un cancro al pancreas. Ma anche se fosse stata buonissima la sopravvivenza del marchio aveva un grosso problema da gestire, un problema che coincideva con la causa stessa della sua esistenza: Billy Carter.

Billy era un catalizzatore di attenzione formidabile ma aveva un carattere abbastanza indisciplinato e non di rado era solito ubriacarsi agli eventi promozionali. Nei momenti di lucidità ripeteva a pappagallo gli slogan che la compagnia gli propinava, salvo poi lasciarsi andare ad episodi di incauta sincerità con la stampa, provocati dal troppo bere, durante i quali dichiarava, e lo ha fatto in più occasioni, di amare molto più la Pabst Blue Ribbon e di averne sempre una buona scorta disponibile nel frigo di casa. Prevalse così la narrazione che la Billy Beer avesse un sapore talmente sgradevole che neanche il suo creatore voleva berla. E alla fine la compagnia della Falls City Brewery, sopravvissuta al proibizionismo, non sopravvisse alle conseguenze delle azioni di Billy.

Nell’ottobre del 1978, dopo solo un anno di produzione, la Falls City Brewing annunciò che non avrebbe più prodotto la Billy Beer. L’allora presidente della compagnia affermò che il marchio era stato danneggiato dalla crisi di popolarità del Presidente Jimmy Carter, ma molte fonti di stampa, tra cui Time, riportarono che la pessima qualità della birra era la principale ragione di questo disastroso fallimento. In seguito la G. Heileman Brewing Company del Wisconsin acquisì tutti i marchi della Falls City, ad esclusione dello sciagurato marchio Billy Beer, spostando la produzione di quelle storiche birre in altri stabilimenti. Mentre la compagnia Reynolds Metals acquistò i 9 milioni di lattine di Billy Beer rimaste inutilizzate, per fonderle e recuperare l’alluminio. Nello stesso anno Billy Carter concluse la sua parabola disastrosa nell’industria americana della birra.

Ma per la Billy Beer non era ancora il momento dell’oblio. Nei primi anni ‘80 si tornò a parlare di questa birra. Gli americani per qualche motivo si convinsero che le loro lattine non ancora aperte di Billy Beer fossero un’occasione unica per fare profitto, speculando nei confronti di collezionisti disposti a sborsare un sacco di dollari per una birra che ritenevano, a torto, preziosa per la presunta rarità sul mercato. Così nel 1981, tra gli annunci economici dei quotidiani di tutto il paese, iniziarono a comparire offerte da 1.000 dollari per ogni pacco da sei di lattine intonse di Billy Beer. Questi episodi convinsero chiunque ne possedesse ancora qualcuna, di poter fare qualche buon affare con quel che rimaneva nelle loro dispense di quella pessima birra.

Meno di due settimane dopo, su quegli stessi giornali, apparvero diversi nuovi annunci di persone disponibili a vendere le loro confezioni di Billy Beer per soli 200 dollari, con uno sconto dell’80% rispetto al valore stimato solo poco tempo prima. Si trattava evidentemente di una truffa, tuttavia in molti ci caddero e la Billy Beer tornò a far parlare ancora di sé. E quando Ronald Reagan si trasferì alla Casa Bianca – nel passaggio di testimone da Reagan a Carter, Billy contribuì in maniera determinante ad affossare la popolarità del fratello presidente a causa di uno scandalo col governo libico che lo vide coinvolto, incredibile ma vero – la leggenda metropolitana che aveva rilanciato sul mercato a prezzi da capogiro le scadenti birre in lattina di Billy si era diffusa in tutti gli stati del nord America. 

Nel 1981 il New York Times provò a fare chiarezza sulla questione pubblicando la lettera inviata da un collezionista al direttore. Nella missiva si fissava il valore delle lattine tra i cinquanta centesimi e il dollaro, spiegando che non poteva essere altrimenti in quanto erano state prodotte in milioni di esemplari e vendute su tutto il territorio americano. Circa due settimane dopo il Times pubblicò un’altra lettera che contestava quella posizione e nella quale lo scrivente dichiarava di aver personalmente ricevuto un’offerta di 600 dollari per una lattina ancora da aprire, e dunque il valore lo stabiliva il mercato e non le opinioni. E la diatriba andò avanti ancora per molti anni, in varie forme e con diverse modalità . Nella sostanza la Billy Beer era un oggetto caratteristico ed esteticamente accattivante, con una storia interessante da raccontare, ma di scarso valore economico. Voci di altri episodi legati alla compravendita di lattine di Billy Beer si rincorsero per tutto il decennio successivo. Nel 1988 il Times riferì di una coppia del West Virginia che aveva acquistato un pacco di lattine di Billy Beer ancora sigillate per 2.000 dollari. Il mito non era ancora del tutto svanito.

Non è raro trovare ancora oggi in asta su Ebay, o su altri siti per collezionisti, alcune lattine vuote di Billy Beer ad un prezzo compreso tra i 5 e i 10 dollari. Le lattine piene e in buono stato di conservazione, invece, possono arrivare fino a 25 dollari. Prezzi tutto sommato più ragionevoli rispetto a quelli praticati in passato e che potrebbero incoraggiare l’acquisto di una di queste lattine come elemento di arredo per la propria taverna di casa o per un pub, facendo naturalmente attenzione a non acquistare una delle tante repliche che si trovano in vendita sul mercato. 

Tra le tante dicerie sul conto della Billy Beer c’era anche quella che giustificava la sua vendita esclusiva in lattina per via del fatto che, in quel formato, la sua conservazione sarebbe stata garantita in eterno: volendo peccare d’ingenuità e credere a questa storia, sarebbe squisitamente romantico acquistarne una da assaporare in una sessione di degustazione dal carattere vintage e assolutamente folcloristico, in memoria di Billy Carter. Tanto, da quel che si diceva già all’epoca, difficilmente l’incedere del tempo avrebbe potuto peggiorarne il sapore.

Davide Cappannari
Davide Cappannari
Classe ‘76, nella vita si occupa di comunicazione nel senso più ampio del termine. Nasce professionalmente come IT manager e web specialist, negli ultimi anni si è specializzato nel settore dell’informazione diventando giornalista pubblicista e social media manager. È inoltre il fondatore e curatore del blog specialistico “La Toscana della Birra”.

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