Uno degli slogan più in voga nel nostro ambiente negli ultimi tempi sottolinea che la birra non è semplicemente una bevanda, ma un vero e proprio alimento – e, quantomeno in Italia, anche un prodotto agricolo, ma questa è un’altra storia. Non amo i tormentoni, eppure nella fattispecie ci tengo a sostenere con forza il concetto: ritengo che sia importante evidenziarlo sempre perché in grado di rivalutare la birra per ciò che è nel concreto, in opposizione alle semplificazioni comunicative che le multinazionali amano tanto. A conferma di questa tesi basta considerare che, al pari degli altri settori alimentari, anche in quello brassicolo sono assegnati marchi di origine e denominazione della produzione. Mi riferisco chiaramente a diciture come IGP, DOP e via dicendo, che erroneamente si potrebbero considerare lontanissime dalla birra. Ma siamo qui anche per sfatare le convinzioni sbagliate.
L’ispirazione per il post di oggi proviene dalla notizia (rilanciata dall’amico Lorenzo) che l’Unione Europea ha recentemente iscritto il luppolo tedesco Spalt nel registro delle DOP, elevandolo a prodotto di denominazione di origine protetta. Si tratta di una notizia che potrebbe sorprendere solo i meno esperti in materia, poiché questi ultimi sanno bene che il settore è puntellato da marchia a protezione di ingredienti brassicoli se non addirittura stili birrari. Andiamo allora a scoprirli.
Stile Koelsch – Uno dei pochi stili tedeschi ad alta fermentazione è anche inserito tra i prodotti d’indicazione geografica protetta. Il marchio IGP è atto a tutelare “quei prodotti agricoli e alimentari per i quali una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica dipende dall’origine geografica, e la cui produzione, trasformazione e/o elaborazione avviene in un’area geografica determinata”. Qui ovviamente l’area è quella della città di Colonia: solo i birrifici locali possono usare il nome in questione, con buona pace di tutti i restanti produttori del mondo.
Stile Dortmunder – Restiamo in Germania, con uno stile meno diffuso delle Koelsch, ma ugualmente legato a una singola città e protetto della dicitura IGP. Per prodotti di questo tipo esiste un disciplinare molto ferreo da rispettare, che nella fattispecie potete consultare qui.
Stile Oud Bruin – Come riportato a suo tempo da Alberto Laschi, anche l’antico stile belga delle Oud Bruin dovrebbe fregiarsi del marchio IGP. Il condizionale è d’obbligo, visto che l’iter per ottenere il riconoscimento è partito a luglio del 2011 e le tipiche birre della zona di Oudenaarde ancora non appaiono ufficialmente nell’elenco.
Stili Lambic, Gueuze, Faro – Le famose birre a fermentazione spontanea del Belgio non sono iscritte né nel registro DOP, né in quello IGP. Tuttavia rientrano tra le specialità tradizionali garantite, indicate dall’Unione Europea con l’acronimo STG. La differenza è che, nonostante sia riconosciuta una specificità produttiva e tradizionale, non c’è alcun collegamento con la zona di produzione.
Bayerisches Bier – A mio avviso molto meno sensata è la presenza della “birra bavarese” nel registro IGP. Poco sensata perché in una simile definizione possono rientrare una marea di stili diversi (in teoria anche non ispirati alle tradizioni bavaresi), con l’unico vincolo della produzione in loco. Da un punto di vista organolettico, infatti, il marchio la indica vagamente come una birra “di colore chiaro o scuro, con gradazione compresa tra 0,5 e 9° vol. e con un gusto che varia, a seconda del tipo, da leggermente amaro fino ad aromatico-maltato”.
Munchner Bier – Un po’ diverso il discorso per le birre di Monaco, poiché solitamente il riferimento alla città è usato per indicare due stili molto precisi: quelli delle (Munchner) Helles e delle (Munchner) Dunkel. Ora sinceramente non so se l’uso dell’aggettivo nasce con gli stili o è stato aggiunto più tardi per distinguere le produzioni di Monaco di Baviera (sulla falsariga di quanto avvenuto con la dicitura Oude Gueuze).
Ceske Pivo – Stesso discorso valido per la birra baverese IGP, solo che in questo caso la zona di produzione è la Repubblica Ceca. Esiste anche un IGP per la Chodské Pivo, la birra della zona di Plzen.
Sahti – L’antichissima bevanda scandinava non è considerata birra a tutti gli effetti, ma può giovarsi del marchio STG.
Luppoli Hallertau, Tettnager, Saaz – Lo Spalt di apertura non è il primo né l’unico luppolo tutelato da un marchio europeo. Nel registro IGP rientrano infatti tre luppoli, due tedeschi e uno ceco: stiamo parlando dei nobili Hallertau, Tettnager e Saaz.
Giunti alla fine di questa carrellata state pensando di inserire in bella vista il marchio IGP per una birra prodotta con un luppolo protetto o appartenente a uno stile tutelato? Bene, anzi male. L’uso del marchio a fini promozionali non è gratuito, ma richiede l’iscrizione al relativo consorzio. Se ne volete sapere di più, leggetevi questo illuminante articolo di Sergio Riccardi, aka Mr. Chiodi.
Anche la Berliner weisse ha qualche tipo di tutela. Sicuramente nessuna birra prodotta al di fuori di berlino può avere quel nome (poi gli americani, vabbeh…).
La gose invece non saprei. Di sicuro la sua produzione non è legata strettamente alla città di lipsia.
Sulla Gose mi ricordavo qualcosa, ma non ho trovato niente. Forse è qualche altro tipo di marchio nazionale.
Idem per la Berliner Weisse
La berliner ha sicuramente il nome protetto; ma non so secondo quale legge. La qualità non penso sia garantita. Della gose non saprei proprio…
Tutelare quelle originali delle località ancora ancora, per il resto bho?
Il Lambic e la Gueuze purtroppo non sono assolutamente garantiti e poi già in Belgio ci sono lotte interne vedi Cantillon e Hoeral
L’unica garanzia è Kuaska :-))
Si potrebbe fare qualche cosa con il Presidio Slow Food ma non mi voglio addentrare in questioni politiche e soprattutto non so se il “presidio” può essere applicato ad una bevanda
Scusa Bilbo ma il sito di riferimento dice una cosa ben diversa http://www.qualivita.it/index.php/it/component/k2/item/1142-lambic-gueuze-lambic-gueuze-lambiek-geuze-lambiek-geuze
Non sapevo che la Export fosse soltanto una delle tre varietà dello stile Dortmunder. A quanto pare, nella città tedesca vengono prodotte e commercializzate anche le Dortmunder Pilsener e le Dortmunder Alt!
L’IGP di fatto è una forma di tutela che è poco tutelativa per il consumatore ma è importante solo per il produttore che diventa esclusivo “marchiatore” di un prodotto. Per fare un esempio, per fare lo speck dell’Alto Adige è sufficiente che la lavorazione della carne sia fatta nel territorio coperto dal marchio ma l’animale paradossalmente può non aver mai visto l’Alto Adige da vivo. Per la birra il discorso è un pò diverso (è più viva dopo la lavorazione che prima 😉 ) ma ad ogni modo non è l’IGP che garantisce la bontà del prodotto. #sapevatelo
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Buon pomeriggio
Volevo chiederti
Nessuna birra italiana ha un marchio di qualità?
Ciao Marina, no non esiste niente del genere.