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Open di Baladin: la rivoluzione di Teo Musso

Diversi anni fa, quando la birra artigianale in Italia si trovava nella sua era protozoica, Teo Musso diede vita alla propria idea visionaria: realizzare una serie di prodotti di qualità, da posizionare in un segmento di mercato fino a quel momento ad esclusivo appannaggio del vino. Improvvisamente la birra veniva connotata di tutta una serie di significati nuovi, in controtendenza rispetto al tradizionale carattere “popolare” della stessa. Oggi sappiamo che quel progetto ebbe una fortuna inimmaginabile, al punto che non solo Baladin è oggi il birrificio più affermanto in Italia, ma ha addirittura segnato la strada alla quale molti si sono accodati.

Raggiunto evidentemente l’obiettivo prefissatosi anni fa – o più semplicemente nell’intento di cercare nuovi spazi in un segmento quasi inflazionato – oggi Teo Musso rivoluziona la sua visione della birra artigianale con la sua ultima creazione: la Open. La presentazione si è tenuta a Pianeta Birra, dove gli stand del Baladin erano completamente dedicati alla nuova produzione. Un lancio in grande stile dunque, al quale si è accompagnata una strategia di comunicazione piuttosto aggressiva (per il mercato di riferimento) e declinata su vari livelli.

La rivoluzione di Teo è nel concepimento di una birra che, per la prima volta nell’esperienza del Baladin, abbandona gli scaffali di enoteche e ristoranti per invadere le spine di birrerie e pub. Se in passato la ricerca era finalizzata a ideare un prodotto originale, particolare, spesso dal gusto esotico, in questa occasione gli sforzi si sono concentrati su una birra di facile condivisione.

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Ed è proprio la condivisione il concetto su cui ruota tutta la comunicazione. A partire dal nome, che non solo significa “birra aperta (per essere condivisa)”, ma che richiama anche l’espressione “open source”, piuttosto cara a chi lavora nel campo dell’informatica. Come molti sapranno, i prodotti open source sono “aperti”, nel senso che chiunque ha libero accesso al “cuore” degli stessi (ad esempio il codice sorgente per un software). Trasposto nel mondo birrario, questo concetto si concretizza nella pubblicazione della ricetta della Open, che è consultabile da tutti sul relativo sito web.

Fermiamoci un attimo però, perché non si può evitare di notare che questa idea purtroppo non è originalissima. Come fa notare il blog di Aizercast, infatti, quasi un anno fa gli studenti dell’IT-University di Copenhagen se ne uscirono con la loro Vores Øl, la prima birra open source, la ricetta della quale è a disposizione di tutti per essere replicata o modificata. Ma anche nel settore commerciale non siamo di fronte a una novità assoluta, visto che l’americana Flying Dog ha da tempo messo in commercio la sua Wild Dog Collaborator Doppelbock, che si basa sulla medesima idea e alla quale ha dedicato un sito apposito.

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Fortunatamente Teo è andato oltre questa (ormai) semplice idea, aggiungendo pepe al progetto. Proprio nell’ottica della condivisione, il tradizionale concorso per homebrewers di Piozzo si trasformerà nel contest Open, in cui gli iscritti presenteranno il loro personalissimo clone della nuova birra griffata Baladin. Sicuramente si perderà qualcosa in originalità delle birre a referto, ma l’idea di un singolo modello da seguire per tutti i partecipanti è senz’altro affascinante (sebbene sia difficile capire se questa nuova formula avrà davvero successo nel lungo termine).

Conclusa tutta la parte legata al marketing (per cui è stato creato anche un divertente fumetto), passiamo alla birra vera e propria, che ho assaggiato a più riprese in quel di Rimini. Ad essere sinceri, la Open mi ha lasciato parecchio spiazzato: mi aspettavo un prodotto “facile”, che potesse incontrare i gusti di coloro che frequentano i pub in Italia (e quindi più abituati a birre “standard”), invece mi sono trovato di fronte a qualcosa di diverso. Ho notato una dolcezza molto marcata, equilibrata da note acidule nel retrogusto e da una certa astringenza, il tutto accompagnato da un corpo alquanto esile. Sono rimasto perplesso, devo ammetterlo… non per la birra in sè, quanto per il target a cui è indirizzata: insomma credo che al bevitore medio possa anche non piacere affatto.

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La Open ha un proprio sito internet, che tuttavia rimanda a quello di Baladin. Tutte le informazioni – ricetta compresa – sono invece consultabili in questo mini-sito. Qualcuno di voi l’ha provata? Cosa ne pensate?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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13 Commenti

  1. provata a Pianeta Birra, appena arrivato (quindi sobrissimo e palato pulito) e a metà pomeriggio.
    Devo dire che l’ho trovata estremamente interessante, ben più complessa di quel che lascerebbe intendere la sua “vocazione”.
    Mi ha colpito la luppolatura importante, avvertibile fin dal profumo, che maschera in maniera decisa l’importante grado alcolico.
    Da alcuni punti di vista mi ricorda l’IPA de La Chouffe (Houblon), almeno come impostazione.

  2. Concordo sulle tue impressioni. Io tutto quell’americano mica l’ho sentito… ma c’era?
    E la nota acida… ehm… mi sa che non era proprio voluta 😉
    Aggiungo che negli USA molti birrai rendono pubblica la ricetta delle loro birre, o quasi.
    Su Brew Your Own mettono sempre i cloni delle birre “pro” e spesso le “dritte” sono date dai birrai stessi. In Italia a volte mi è capitato di dire a un birraio “ci hai messo il Cascade” e lui ha negato: non perchè non ci fosse ma per non dire cosa c’era….

  3. Non è sicuramente la prima birra artigianale alla spina, molti altri birrifici danno fusti in diversi locali. Se assomiglia ad una IPA la vedo veramene dura, ma forse sono di parte visto che non apprezzo particolarmente quel genere di birra. Promette male comunque se, come si evince dal sito Baladin, bisogna andare fino a Piozzo per provarla, una birra che vorrebbe essere appunto largamente diffusa. Già il pub vicino a casa mia ha deciso di non tenere più la hoegaarden perché gli costava troppo al fusto! E’ un mondo difficile, senza dubbio.

  4. ciao ragazzi..qualcuno sa dirmi x favore se il luppolo magnum dell’inizio bollitura e’ giusto?i 5 grammi intendo..grazie ciao

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