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La grande bolla della birra artigianale

Giusto ieri stavo dando un’occhiata a Twitter, quando mi sono imbattuto nell’articolo di Joe Stange segnalato da Indastria e pubblicato su Draft Magazine. Un pezzo lunghissimo, ma davvero interessante, che offre la fotografia dello stato della birra artigianale negli USA dal punto di vista di un appassionato che è tornato in patria dopo 4 anni di “esilio”. Ciò che Stange sottolinea è l’evoluzione che ha avuto l’ambiente in così poco tempo, chiedendosi se non ci si stia spingendo oltre, perdendo il gusto di bere una birra senza troppi pensieri. Un argomento sicuramente stimolante, che tuttavia mi ha spinto a una riflessione diversa. In particolare mi ha colpito l’euforia descritta dall’autore, gli sforzi profusi dai vari operatori del settore nel tentativo di cavalcare l’onda. Un’euforia paragonabile a quella italiana, per la quale è lecito porsi domande sulla solidità delle basi sulle quali poggia.

In modo del tutto naturale ho dunque fatto un parallelo tra la situazione descritta da Stange e la nostra realtà, nella quale è in atto un fermento clamoroso. La prova non è data solo dal numero di microbirrifici nati negli ultimi anni (in un lustro si è passati da circa 70 unità a quasi 350), ma anche dalle iniziative che si registrano con frequenza crescente: eventi, serate di degustazione, collaborazioni, aperture di beershop e locali, passaggio da hobby a professione, interesse da parte di ristoranti ed esperti “esterni”.

Niente di male, ci mancherebbe, se non fosse che mi sembra che questo fenomeno si accompagni a una crescita esponenziale del valore del mercato. La birra artigianale non è più percepita come una curiosa novità, ma come un settore remunerativo, in grado di garantire ritorni sicuri. Tradotto nel concreto: prezzi in aumento laddove possibile, convergenza delle multinazionali con prodotti ad hoc, entrata in gioco di grandi attori provenienti da altri settori. Il tutto a un ritmo talmente impressionante da rendere evidente l’euforia che caratterizza l’ambiente.

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Le crescite repentine sono molto attraenti, ma nascondono insidie da non sottovalutare. Perché uno sviluppo sia sano è bene che parta da basi forti e da una struttura ampiamente consolidata. Così mi chiedo: siamo sicuri che il segmento artigianale in Italia abbia fondamenta robuste? Avrei qualche dubbio: i produttori mantengono dimensioni ancora decisamente ridotte, la distribuzione sul territorio è  lontana da una dimensione capillare, il movimento si muove sulle azioni dei singoli e non in modo organico.

Pensando pensando, si è concretizzato nella mia mente un timore: che questa euforia possa sgonfiarsi improvvisamente insieme al settore, lasciandoci tutti con un palmo di naso. Che accada qualcosa di simile a quanto avvenne circa 10 anni fa in un altro settore, del tutto diverso: la bolla della new economy. Ve la ricordate? Una delle più grandi bolle finanziare degli ultimi decenni, così definita sul sito de Il Sole 24 Ore:

Questa bolla speculativa ha preso forma nel corso della prima, entusiastica, fase legata allo sviluppo delle soluzioni e dei servizi internet come, per esempio, quelli dei service provider e i fornitori di infrastrutture di rete. Questo ciclo, definito come new economy o «era delle dot.com», iniziò nel 1994 con la quotazione di Netscape, la società che sviluppò il primo browser commerciale per internet, e terminò a cavallo tra il 2001 e il 2002, con lo scoppio della bolla speculativa, la recessione economica e le conseguenze degli eventi dell’11 settembre 2001.

Durante gli anni della new economy aumentarono in maniera esponenziale le quotazioni di nuove start-up della Silicon Valley o legate al mondo dell’innovazione tecnologica, dell’high-tech e di internet mentre gli investimenti in information technology diventano una delle caratteristiche chiave dei piani strategici delle grandi e medie aziende. Lo scoppio della bolla speculativa finanziaria portò a un rapido crollo degli indici del Nasdaq, che dal valore record del 10 marzo 2000 di 5.132,52 punti perse il 9% in tre giorni innescando poi la caduta delle quotazioni che portò alla scomparsa di molte dot.com.

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Nello specifico, una bolla speculativa è (da Wikipedia):

una particolare fase di un qualsiasi mercato caratterizzata da un aumento considerevole e ingiustificato dei prezzi, dovuto ad una crescita della domanda repentina e limitata nel tempo. Generalmente si parla di bolla speculativa con riferimento a mercati finanziari, nei quali vengono trattate azioni, obbligazioni e titoli derivati. Ma la storia delle bolle insegna che sono stati frequenti i casi di bolle speculative che hanno riguardato beni materiali, come gli immobili.

La bolla della new economy ebbe conseguenze in Italia, dove se possibile fece danni anche maggiori. Anche da noi la visione di un mercato vergine all’orizzonte, con possibilità immense di guadagno, generò un’euforia senza pari. Ecco come 10 anni dopo Andrea Chirichelli racconta quel periodo su Wired:

Da noi si verificarono fenomeni di isteria collettiva: anche la casalinga di Voghera conosceva (rectius, credeva di conoscere) il significato di Ipo, e grey market, la fusione tra Seat Pagine Gialle (allora quotava 7 euro, oggi 16 centesimi) e Tin.it veniva seguita in tempo reale manco fosse una finale di Champions League, Basicnet provava a vendere abiti sportivi, E.Biscom decuplicava il proprio valore in una settimana, c’era un tale che aveva chiamato la propria barca come una banca per ringraziarla dei miliardi incamerati dalla vendita della propria start-up e i collocamenti di aziende dal business sconosciuto finivano col sorteggio perché c’erano troppe richieste. Poi, improvvisamente, puff! Sparita la magia e spariti i soldi.

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Delle tantissime start-up hi-tech quotate in borsa se ne salvarono pochissime: una di queste fu Tiscali, forse il primo caso italiano in tal senso e per questo sopravvissuta al terremoto. Piuttosto interessante un passaggio dell’articolo di Chirichelli, nel quale trovo angoscianti analogie con il mercato della birra artigianale:

Alla base della grande illusione concorsero diversi fattori: il primo fu che la nostra Borsa bruciò in otto mesi tutta la crescita che in America si era sviluppata in dieci anni. Molte delle aziende che trainarono la bolla negli Usa infatti non decuplicarono il loro valore in due stagioni, ma nell’arco di una decina d’anni, basti pensare a realtà come Cisco. Ed erano aziende solide, per lo più. A questo si aggiunsero i loschi traffici delle cosiddette banche d’affari, sempre pronte a confermare i trend di crescita o discesa senza la minima capacità di leggere i fondamentali delle aziende quotate, la dabbenagine di tanti neofiti che credevano di arricchirsi velocemente e senza problemi (cosa che peraltro capitò a molti…) e ovviamente il fascino che ai tempi il suffisso dot.com esercitava su una popolazione che aveva scoperto che all’interno dei computer c’era una cosa chiamata modem solo da pochi mesi.

Cambiate qualche termine chiave e avrete una bella panoramica di ciò che sta accadendo in Italia.

Siamo dunque destinati a veder scoppiare la bolla della birra artigianale? Difficile dirlo, anche se alcuni segnali non mi rendono certo ottimista. Credo però che le bolle speculative possano verificarsi con tanta facilità quanto è più alto il grado di aleatorietà del prodotto. Se si parla di titoli azionari, il pericolo è sempre dietro l’angolo, perché sono concetti privi di un riscontro nella realtà. Se si parla di birra, il prodotto è lì, reale, lo beviamo tutti i giorni.

Però anche la birra artigianale è contornata da un alone di aleatorietà, rappresentato dalle connotazioni di cui si è caricata negli anni in Italia: bevanda elitaria, qualità superiore, presentazione raffinata. Connotazioni che ne hanno giustificato il prezzo agli occhi dei consumatori e che hanno permesso a tanti di lanciarsi nel settore cavalcando l’onda positiva. Ma che espongono il settore a rischi ben precisi.

Se e quando questa euforia finirà, saranno dolori per molti. Perciò se ci si vuole lanciare nel settore il momento è assolutamente propizio. Però bisogna farlo con idee chiare, una programmazione dettagliata e soprattutto un’analisi delle possibili evoluzioni del mercato. Perché dubito che le sue caratteristiche rimarranno inalterate nel prossimo futuro.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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78 Commenti

  1. io ci ho messo il naso un paio di volte negli Stated ed il business delle craft beers mi pare solido nel complesso. credo che in Italia, dove siamo ancora all’età della pietra, con tutte le lungaggini ed i limiti del caso, si vada in quella direzione. i mercati finanziari sono una cosa piuttosto complessa e differente ed il paragone ardito, anche se ne comprendo lo spirito

    qualcuno ovviamente ci lascerà le penne, è fisiologico. salutare direi

      • fatalista… se negli USA sono arrivati al 8%, qua che siamo dei polli (non milanesi) ma abbiamo una predisposizione al gusto che non ha pari al mondo (vabbé, i francesi…) al 4% ci arriveremo… siamo al 1%… è matematica come diceva il grande Scoglio

        sono anche un positivista nel senso che se a 10 persone che bevono birra industriale fai bere 3 volte birra di qualità almeno 5 li catturi, anche se non in maniera continuativa magari. è più una questione di disponibilità monetaria, per preferire le cose buone non ci vuole poi un genio…

        quelli che mi fanno sguarrare dalle risate sono gli illuminati che prevedono un futuro solo per l’innovazione continua e la ricerca a tutti i costi del prodotto che stupisce e la rovina per chi si adagia al prodotto buono ma “regolare”. non so dove viva questa gente, al nicchia tale resterà e a fare il mercato saranno equivalenti nostrani di Sierra Nevada

        • Quoto tutto fuorchè l’ultimo paragrafo, dove sarebbero necessari approfondimenti.

          Argomento interessante e complesso.
          Mi sono inserito tardi e molto è stato detto anche negli altri commenti.
          Per adesso mi limito alla toccata di zebedei e sperare che non piova…troppo presto.

          • secondo me bisognerebbe anche mettersi d’accordo su cosa sono le birre “pagliacciata”. non ci proverò ora, ma ritengo che a volte non sia solo una questione organolettica, quanto di vera e propria scelta aziendale e di immagine. per dire, il Citra non lo usa solo Brewdog e i confini non sono tirati col righello

            in ogni caso, sul mio ultimo paragrafo, anche qua è… matematica. per passare da 1% a 4% bisogna quadruplicare e non ci riesci certo col nonno morto in botte perché semplicemente non hai capacità produttiva per farlo. potresti provarci realizzando le birre più caratterizzate del mondo ma con ricetta “base” (luppoli caricati e ricette sparate più che affinamenti o ingredienti improbabili). io non credo sarà quella la strada. vedo però una grossa spaccatura in Italia fra zone in cui la proposta di birre pare (pare… vorrei vedere coi miei occhi) dominata da birre “impegnative” e zone in cui la fanno da padrone le birre “da bere”, in cui le birre impegnative fanno da comprimarie e al limite chiudono ogni tanto la serata. credo che per ora la differenza l’abbia fatta il publican o il gestore di turno. prevedo che a breve inizieranno a farla i clienti

  2. Penso che chi produce qualità e possiede una buona capacità imprenditoriale continuerà ad esserci evolvendosi con il mercato. Chi produce m**** speculando sulla moda del momento scompare liberando così fette di mercato per chi sa lavorare. Non mi pare un futuro così cupo 😉

    • Non credo sia così facile, anche se mi piacerebbe che lo fosse. Se ad esempio la domanda cominciasse a cambiare attributi, quanti birrifici sarebbero in grado di assecondarla? Questo al di là del valore qualitativo dei singoli prodotti

    • Non la vedrei così rosea e scontata, credo che conti più la capacità imprenditoriale che il gusto stesso della birra prodotta, la massa se beve tutto.

    • Sicuramente la mia visione è un zinzillino ottimista, comunque senza capacità imprenditoriale non porti avanti nessun tipo di attività ed il saper vendere il proprio prodotto vale almeno quanto la qualità dello stesso. Ma questo vale per ogni attività.

      La massa si beve tutto, sicuramente, ma tutte le volte che ho voglia di bere una birra buona quando giro per lavoro devo andare miratamente in uno di quei pochi pub dove si va sul sicuro e spesso e volentieri mi tocca fare chilometri su chilometri. Speriamo che diventi un fenomeno di massa, provate a trovare per esempio un pub a Torino che abbia una discreta scelta di spine, io ancora sto cercando..
      Meno male che nei weekend con 1/2h di macchina arrivo a Greve dove riesco a placare la mia sete…

      Non è un pò presto per parlare di fenomeno di massa ?

      • Prova a passare a Roma ;-)…Qua il fenomeno è veramente di massa e si smuovono parecchi ettolitri l’anno, a parte una piccola percentuale di personaggi il resto si beve veramente tutto quello che capita.
        La capacità imprenditoriale non va di pari passo col saper fare birre buone, che si accomuna invece spesso alla passione…Se hai un giusto mix di lungimiranza imprenditoriale, passione e capacità nel brassare il prodotto (e un pò di culo) allora andrai avanti con merito.

        • Da Roma ci son passato e ho goduto. Sicuramente il giro è molto maggiore a quello del resto d’Italia, ma in confronto a quello che vende la Peroni nella stessa città penso sia minuscolo. Speriamo che l’evoluzione che sta succedendo a Roma contagi anche il resto d’Italia ma per ora è un fenomeno circoscritto e la vedo più come una bollicina che una bolla. Un’evoluzione del gusto da parte dei consumatori ha bisogno di tempo e non sempre va nella giusta direzione, trovo molto azzeccato il paragone con il vino quando negli anni 90 per un periodo in tanti hanno prodotto vini “americanizzati” a livello di gusto, di colore scurissimo, gusto intenso e mancanza di personalità. Adesso in tanti hanno fatto marcia indietro.

  3. Grazie per la segnalazione.
    Mi ha colpito l’articolo proprio perché poteva sembrare che si stesse parlando del mercato italiano.
    Ripensandoci su credo che il paragone, anche se calzante, sia però tra una prima fase dell’espansione del mercato nostrano e la terza/quarta (se non maggiore) fase di quello USA.
    In usa c’è stata un inizio molto più lento e misurato che ha gettato le basi per un universo in accelerazione continua e che non sembra fermarsi più. Davvero le possibilità sembrano tali da iniziare (iniziare eh) ad impensierire l’industria di massa. il consumo e la richiesta di birra di qualità è tale da permettere lo sviluppo di tutti.
    Va anche detto che il concetto di birrificio artigianale americano si avvicina più alla fabbrica della birra messina che altro 😀

    In italia queste basi non ci sono state, sta succedendo tutto più in fretta e, forse, caoticamente.
    Alla fine chi sarprà essere bravo nel buisiness (e si psera nel prodotto) rimarrà; molti spariranno. Non è detto che questo porterà al collasso del mercato craft italiano; anzi. Potrebbe darsi che, proprio come in america, nasceranno nuovi birrifici ma in un contesto futuro diverso, forse con target diversi; più maturo sicuramente.

    • Sì, la vedo esattamente come te. Mi piace sottolineare i diversi ritmi di evoluzione del mercato tra USA e Italia, forse l’aspetto che più di ogni altro rende la realtà nostrana così difficile da interpretare nelle sue future evoluzioni

    • Ciao, scusate se mi intrufolo ma mi ha incuriosito il riferimento alla birra messina, visto che sono proprio della città dello Stretto 😀
      Ti va di chiarire ad un profano?

      p.s.: complimenti ad Andrea, seguo sempre con interesse il sito

      • Solo per dire che un birrificio craft americano spesso ha dimensioni più paragonabili a un piccolo impianto industriale italiano che a uno artigianale.

  4. in realtà una buona strategia di marketing e commerciale, un imprenditore avveduto e bravo nella gestione della propria produzione com degli acquisti e, in generale, la buona gestione dei vari comparti dell’azienda, possono fare vendere qualunque prodotto: merda e oro, a 5 centesimi come a 500.000€.
    vedo aziende di altri settori che fanno un prodotto industriale e hanno il loro mercato (ex. la galbani) e aziende che lavorano sulla qualità artigianale che hanno il loro mercato (il formaggio bagoss di bagolino).
    come dice giustamente il colonna, la massa si compra tutto.

  5. Negli Stati Uniti abbiamo assistito nel passato a fasi alterne di sviluppo e razionalizzazione…….alla fine sono rimasti i più bravi (ovviamente dal punto di vista imprenditoriale…..il che significa a volte migliori anche dal punto di vista della qualità del prodotto e del servizio)….con un susseguirsi fisiologico di apri/chiudi di nuovi birrifici…
    Comunque anche dopo la grande fase di razionalizzazione (fine anni 80 prima metà anni 90 se ricordo bene ) il settore è cresciuto con ritmi impressionanti….
    In Italia succederà più o meno la stessa cosa….pur interventi di aziende che operano in altri settori….e distorsioni anomale del mercato…..
    Secondo me siamo solo all’inizio della fase di crescita (fino ad ora il mercato della birra artigianle era confinato nelle mura del movimento degli appassionati)…e parlare di bolla come quella della new economy mi sembra molto esagerato (anche perchè i valori in gioco sono ridicoli..)….
    Ovviamente sono evoluzioni “normali di un mercato” ….crescita esponenziale….saturazione…..declino….rivitalizzazione e nuova crescita …e così via…..con un ricambio fisiologico di aziende….e poi in bocca al lupo….

    Visto il mio essere “umano” anzi a volte “disumano” mi dispiace dirvi che non riesco a connettermi con il superiore e quindi non so dirvi se ne rimarranno 12, 13 , 14 o 250…..mi dispiace non essere più preciso….proverò a connettermi più tardi….

  6. concordo con SR, la selezione è fisiologica e necessaria. con il problema “very italian” dei prezzi, già dobbiamo a malincuore digerire di dover pagare 10 € al litro un bottiglia di ottima birra. fa invece imbestialire pagare gli stessi soldi per delle produzioni artigianali “fantasiose” imbarazzanti, infette o “lievitose” nei migliori dei casi. gli americani sui forum si “lamentano” di pagare i 75 cl. delle Stone 8 dollari (sarebbero neppure 6 €).. noi dovremmo fare una rivoluzione per certe schifezze che vengono commercializzate ad un prezzo ben più alto e che certo non aiutano la scena italiana a crescere.
    nessuno vuole il male economico di nessuno, ma la selezione ci vuole e speriamo avvenga presto. non abbasseremo i prezzi, ma almeno speriamo restino solo i più bravi qualitativamente (e non imprenditorialmente).
    va bene che “la massa se beve de tutto”, ma hai voglia a campare di pinte che sanno di cerotto…

  7. Credo che il paragone con la “bolla” della new econonomy sia da vedere considerando un fatto fondamentale:
    la new economy (di cui io ho fatto parte e ne ho avuto pro e contro), trattatava per lo più “finanza creativa” e “servizi” ma, quest’ultimi, con un valore aggiunto molto basso (nella maggioranza dei casi) tanto da far esplodere la bolla appena ci si è trovati a fare i conti con il “punto di pareggio”……….

    La birra arigianale, invece, tratta un prodotto, un qualcosa che è tangibile (e bevibile :-)) e che è “veloce” (ovvero che non è durevole a parte per i collezionisti)….

    L’evoluzione (o involuzione) sarà fisiologica come lo è stato in altri settori di nicchia (specie alimentare&beverage)……..sarà la creatività, l’intelligenza (basta un pò di marketing e la gente beve anche il kerosene) e l’imprenditorialetà dei singoli che determinerà il successo strepitoso, l’onesta sopravvivenza o anche il fallimento (più o meno palese) dei birrifici.

    Lo spazio credo ci sia (e l’intervento di SR è chiarissimo) senza che ci possa essere nocumento agli altri…..semmai è sulla qualità che ci sarebbe da interrogarsi….ma il mercato lo farà in autonomia…..non vorrei fare esempi che non conosco al 100%, ma di caseifici, frantoi, pastifici, conserviere ed altri che “vivono” senza avere dei prodotti eccellenti, mi sembra che ce ne siano parecchi…;-)

    Cheers!!

  8. mi ripeto, ma riprendo parte ciò che ho scritto sull’ ultimo numero di UbNews e che riprende quanto sostenuto da alcuni. Confermo quanto dice Colonna, la massa beve di tutto seguendo più che altro mode e brand conosciuti.

    ——omissis————————-
    Approfitto dell’occasione per ribadire che la produzione e vendita di
    birra è, dal punto di vista strettamente imprenditoriale/economico,
    un lavoro come un altro. Occorrono investimenti, occorrono capacità
    individuali, occorrono spazi ed una buona dose di opportunismo.
    Occorre inoltre un po’ di fortuna. Tutti fattori indispensabili anche
    per aprire una gelateria, una pasticceria o un negozio di scarpe. Se
    10-12 anni fa produrre birra era un incognita, oggi lo è molto meno e
    gli oltre 350 piccoli produttori in attività lo stanno a dimostrare.
    Certo alcuni non se la passano benissimo ed altri hanno chiuso
    bottega, ma la maggior parte di loro lavora seriamente e le persone
    coinvolte si guadagnano onestamente da vivere. Resto quindi un po’
    allibito quando l’esperto di turno sentenzia che il mercato è saturo e
    non vi sono più spazi, profetizzando una moria di birrifici. In questo
    momento la produzione di birra artigianale occupa poco più dell’ 1%
    dei volumi consumati in Italia. Negli USA, è all’8%. Vent’anni fa, se
    mi si permette un paragone caseario, vi erano 10-30 caseifici per
    regione, ora sono alcune centinaia. Il trend di crescita del mercato
    della birra artigianale pare appena agli inizi ed il lavoro da
    svolgere è ancora tanto ed impegnativo, sia sotto il profilo culturale
    che di comunicazione. Per questo ritengo indispensabile, per
    continuare “l’inarrestabile trend” avvicinare il più possibile tutte
    le varie figure professionali coinvolte nella filiera, a partire dal
    coltivatore, passando per il produttore, il distributore via via fino
    al consumatore, vero grande protagonista del futuro che ci attende.

    p.s. la dicitura “esperto di turno” non è certo riferita a te Andrea (che la qualifica di “esperto” te la sei guadagnata sul campo!)

  9. Quel che penso a riguardo l’ho già scritto commentando in un post di pochi giorni fa che parlava di beer-business….

    Questa volta volevo fare una domanda:
    Ma la casalinga di Voghera che al tempo della neweconomy sapeva cos’è una Ipo, oggi sa anche cos’è una IPA? 😉

    ps. Attendo la paventata bolla della beer-economy per comprarmi un impianto professionale di un birrificio dot.com fallito e pagarlo come un impianto pilota, e poter aprire il mio birrificio nella mia cantina forte della vera cultura birraria che mi sarò costruito, e divenire uno dei baluardi del risorgimento birraio italiano post bolla!!
    Eheheh! Scherzo, ma non si sa mai…

    • eheh! ho avuto lo stesso pensiero, sai?! 😀

      A mio parere una bollicina ci potrà essere, ma fa parte del normale andamento di un mercato. Una bollicina un po’ più grossa potrebbe coinvolgere il settore dell’alta ristorazione, secondo me, che sulla birra più che investire ci specula e cavalca, in alcuni casi con molta esaltazione…chi amplifica le salite, rischia di deprimersi nelle discese

  10. A parte gli esperti di turno 🙂 ma i miei colleghi birrai….cosa pensano?
    Non riesco a vedere un commento in merito……sarei curioso….

    x Colonna: Ti ci vedo bene ad educare le masse……datte da fà! 🙂
    Falli diventà tutti laziali…..e bevitori di birra buona….

  11. Secondo me il mercato della birra artigianale sta vivendo il suo momento di gloria e ne sono testimonianza i tanti microbirrifici e i tanti beer shop che hanno aperto negli ultimi 12 mesi, molti, a mio parere, spinti più dai facili guadagni grazie all’onda positiva più che da una sana passione per l’artigianato.
    Secondo me la domanda giusta da farsi è “Che persone, oggi, spendono soldi nel mercato della birra artigianale?” Molti sicuramente sono degli affezionati del settore che non lasceranno mai questo mercato, ma il loro numero è destinato ad aumentare di poco proprio perchè, come diceva er Colonna, la maggiorparte delle persone beve quello che capita e poco gli interessa se sia artigianale o industriale, al più ti chiede una chiara o una scura; di questa parte che beve un po’ di tutto sicuramente ce n’è un gruppo che è stato catturato dalla birra artigianale, ma quando questa “moda” sarà passata sarà ancora disposta a spendere circa 8€ per una bottiglia di birra da 0.75 ? Al supermercato con meno di 2 euro ti porti via una 0.66 di Heineken.
    Bisognerebbe cercare, da parte delgi adetti del settore, di promuovere la birra artigianale in modo tale da conquistar le persone per sempre e non fare bei gadagni ora che l’onda è alta, altrimenti il già saturo mercato non farà altro che collassare inevitabilmente su se stesso; bisognerebbe far innamorare le persone, non spennarle. Chiaramente ho fatto una generalizzazione, non tutto il mercato mira a quello, ma spero che nel prossimo futuro ci sia da parte di tutto il settore una correzione di rotta.

    • secondo me ci si sta approfittando di una situazione che non vale solo per la birra: il consumatore italiano non è attento.
      Nonostante non siamo il paese più ricco dell’universo siamo molto spendaccioni. Insomma proporre una birra, artigianale o meno, in un pub a 5 o 15 (per esagerare) euro verrà sempre giustificato dalla situazione ritenuta “normale”
      Non ce lo vedo un un bevitore medio fare le differenze di prezzo tra pub e supermercato. Sono anche due tipologie di consumo nettamente diverse.
      Son cose che possono fare gli appassionati più attenti ma, va ribadito, né i birrai, né i publican ci vivono con il consumo degli appassionati.

      • Concordo a pieno con Indastria, poca attenzione e spesso situazioni oramai create ad hoc per spillare soldi ai meno attenti (o ex-volpi come le definisco io).
        Concordo a pieno anche con il colonna: almeno qui se beveno tutto. E direi di più: per quanto riguarda i beershop romani (di cui conosco parecchi gestori) salvo rari casi, campano grazie ai ragazzi (17-25 anni) che di fuori bevono a manetta birre artigianali e anche di nicchia direttamente dalla boccia, addio schiuma, addio “al naso sento” e addio tante altre cose. Perchè?
        1.Perchè tante birre belga da 33cl son forti d’acool e costano 3 euri (non come nei peggiri pub che costano almeno 5).
        2.I beershop sono aperti nel pomeriggio (solo alcuni pub lo sono) e vai de botte prima di tornare a casa a cena, e pure prima dei tanto temnuti controlli patente.
        3. Si fa gruppo di fuori, bella comitiva, si fuma (tanto a roma escluso qualche giorno fa caldo) nessuno dice niente (tranne casi di sovraffollamento) e via così fino alle 21:30/22:00.
        4. vedrete che tanti beershop si dovranno adeguare e metteranno le spine (almeno nella capitale) che siamo diventati tantissimi.

        e poi non me ricordo più, perchè ho bevuto prima. saluti mi.

  12. Il confronto con la new economy mi fa sorridere,poichè a mio avviso ha creato più danni che profitti:profitti specie solo nelle tasche degli operatori professionali del settore della finanza “ballerina” e danni belli grossi nelle tasche dei risparmiatori che credevano di fare veloci e facili guadagni seduti di fronte al pc di casa.
    Si è fatto l’es. di Tiscali…ecco, lasciamo perdere: ci sono tante cose che i giornali non dicono per cui…non andrei oltre.
    Parlando invece di cose tangibili e bevibili 😉 … sono d’accordo quasi totalmente col mio amico e collega Bruno,alias “Catalizzatore”, col quale spesso e volentieri ci confrontiamo (e non solo con lui) sugli argomenti che riguardano il panorama della birra artigianale, specie italiana.
    A mio avviso si deve accettare che la birra artigianale è (e rimarrà) un prodotto di nicchia e, come tale, non avrà mai una diffusione capillare: per tale distribuzione ci vogliono i volumi dell’industria. E non ambisco di certo a portarmi nemmeno lontanamente a quelle dimensioni produttive, per una serie infinita di motivi, che sono chiari (credo) a tutti gli appassionati della nostra amata bevanda.

    • Tra una nicchia e un supermercato ci sono di mezzo centinaia di step, è questo che non capisco del discorso che fate sempre.
      Sui prezzi non mi pronuncerò più.

        • …m’è partito il click….dicevo
          condivido il fatto che esistono “diversi toni di colore”, così come ritengo che un buon prodotto è un buon prodotto a prescindere dal canale di vendita….

          sui prezzi, invece, sarebbe opportuno intavolare importanti (ovvero non polemiche) discussioni……

      • e quali saerebbero queste centinaia di step???
        Te lo dico io come funziona al supermercato, dato che ho amici produttori di altri beni alimentari e che ora sono alla canna del gas proprio perchè hanno scelto il canale della GDO non avendo la capacità produttiva elevata tipica dell’industria. Ti chiedono il prodotto, in quantità, attirando la tua attenzione con volumi e pagamenti immediati.Ok, si parte…poi, dopo qualche mese di volumi venduti sottocosto (con la scusa della promozione) ti propongono un bel contrattino che ti impegna ad un pagamento annuale per le promozioni, cazzi e mazzi…nel frattempo, con le loro vendite sottocosto del tuo prodotto, gli altri tuoi clienti non sono più concorrenziali nei confronti del supermercato e alla fine è quest’ultimo l’unico che vende i tuoi prodotti.Morale:ti tengono per i coglioni e, o vendi a loro, o non hai la possibilità di vendere a nessuno!Ah,non vendi più???Ok, ne trovano un altro di pollo da spennare!!!
        Ecco Mirko, questa è una prospettiva che non voglio prendere nemmeno lontanamente in considerazione. Poi, vogliamo parlare di come vengono trattate le birre vendute nei supermercati?Credi che ai magazzinieri importi qualcosa se le tue birre stanno sotto il sole d’agosto mentre, tra un tir e l’altro che scarica, si fumano una sigaretta?
        E per ultimo, ma non meno importante…c’è il fatto che se io vendessi ai supermercati, da domani almeno il 90% dei miei clienti non prenderebbe più le mie birre e, bada bene, non è una scelta del cliente finale(ossia il comune bevitore), ma solo del publican o (soprattutto) del ristoratore, che vuole vendere prodotti che abbiano un certo canale di vendita che non deve essere assolutamente la GDO.Per le birre artigianali è così…inutile negarlo.Alcuni non vogliono nemmeno che tu abbia un distributore,ma vogliono acquistare direttamente da te (in birrificio o attraverso spedizione diretta).
        Comunque, sono cose che sai bene e che ci siamo detti più volte…anche qui da me in birrificio: ebbene, nulla (per ora) è cambiato sotto questo profilo.

        • penso che mirko (mi correggerà lui se sbaglio) si riferisse alla collocazione dei prezzi più che ai metodi distributivi possibili (che si sà, sono quelli che sono. Anche in america non sono messi bene).

          Io sono d’accordo che le spese in italia siano alte, più che altrove; e sono sicuramente d’accordo che più si è piccoli meno si riescono ad ammortizzare i costi di cui sopra.
          Però, nel mezzo, ci sono gli “step” di guadagno (dalle frazioni di centesimi fino a cifre consistenti) che ogni birricio/distributore/venditore decide di sua scelta di ricavare dal prodotto.

    • e sticazzi!

      ma un post senza cercare di far cagnara e rimediare la solita figura come al solito proprio non riesci a sostenerlo?

      io sono felicissimo dell’esistenza della nicchia. mi ci tuffo se necessario. e sono felice sia che tu faccia un fracco di soldi nella tua nicchia, sia che tu fallisca domani perché fai prezzi da usuraio. tradotto: non me ne frega una mazza del tuo particolare destino imprenditoriale. ho fatto solo una considerazione dal respiro un attimino più ampio, che è il tema del post. la grossa fetta del mercato artigianale (anche se a una certa scena romana può non apparire) non lo fanno le birre “famolo strano”, ma le pils della situazione, le APA della situazione e così via… birre da bere, birre da volume. come in America lo fanno Sierra Nevada & c., come la quasi totalità delle vendite di un piccolo birrificio come Russian River è rappresentato da IPA & c., non da (peraltro stratosferiche) birre in botte… se ti senti chiamato in causa anche da questo discorso non comprendo se tu stia cercando pubblicità con una demenziale campagna di marketing presenzialista basata sul rompimento di palle via web (nel caso propongo a tutti un mese di astensione dalle birre di Toccalmatto per manifestare apprezzamento) oppure se con la vecchiaia tu cominci a manifestare precoci problemi cognitivi

      • Condivido la riflessione sulle “birre da bere”, una Tipopils batte nonno in botte 10-1, ed è lì dove un buon publican o un buon birraio dovrebbe puntare per la propria crescita, sul territorio del “bere quotidiano”, e se riesci nell’intento di creare un ottimo prodotto “di base” allora è lì che arriva la quantità e il sostegno economico per fare poi tutte le sperimentazioni possibili. Si parla di fondamenta…
        Mi viene in mente giusto qualche eccezione, di cui uno è tra i miei produttori preferiti…

      • Ricci…datte na calmata che è meglio….i problemi cognitivi mettili da parte….
        Rileggiti il Titolo ….ed anche l’articolo del Turco e vediamo chi è più a tema.
        Tu sai solamente offendere e parlare di Prezzi, Usurai/Birrai Miliardari ed affini……vieni a farti il culo da noi così magari inizi a comprendere cosa stiamo facendo……
        A me di quello che pensi Tu importa 0 come importa 0 sia alla massa che agli appassionati italiani…
        A me piace fare birra (di tutti i tipi) e creare qualcosa che abbia valore per me e per chi compra le mie birre…se Te non le compri chissenefrega….non morirà mica nessuno…

        • rileggiti questo e spiegami cosa c’entra col discorso che si stava facendo:

          “A me piace la Nicchia !!!!
          Una grande Nicchia……fatta di Nicchioni…..e Nicchione….
          Non farò mai una roba da supermercato…..

          Ricci fattene una ragione……”

          o credi di essere simpatico?

          e spiegami anche (ed è la seconda volta che te lo chiedo) cosa c’entri il fatto che io acquisti o meno la tua birra. forse il vittimismo fa parte della tua geniale campagna di marketing 12.0

          tu, prima ancora di darti una calmata, impara a non tirare in ballo altre persone a sproposito. altrimenti non metterti a frignare dopo

          • Ricci….mi sembri assolutamente privo sia di “ironia” che di modestia.
            Devo dire che me ne dispiaccio….
            Per finire questa stupida pagliacciata Ti dico che io non frigno by definition……e sopratutto queste minchiate mediatiche non mi fanno nè caldo nè freddo……
            Non fare il nome di Ricci invano…….ragazzo datti una ridimensionata…non sei così importante per l’umanità …
            abbiamo altre preoccupazioni….

          • per ridere bisognerebbe essere in grado di fare umorismo. e te sei divertente come una cartella esattoriale

            e cmq sarebbe bello capire perché se io faccio ironia dicendo che fai prezzi da usurai insulto, se tu vesti i panni di Macario parlando di Nicchioni e dicendo che non farai mai birre da supermarket (ma chi te l’ha chiesto?!?) dovremmo tutti spanzarci dalle risate…

            vabbé, comincio a ridimensionarmi tenendomi il dubbio. ma ti prego risparmiami in futuro qualche altra tua battutona che ho i crampi allo stomaco dal ridere

  13. i birrai secondo me si “grattano” quando leggono previsioni di questo tipo.

    Il paragone con le dot.com mi pare poco proponibile, per lo meno nelle tempistiche. Non me lo vedo un produttore da 1000Hl anno perdere in una settimana tutto il mercato che, proprio perchè è piccolo tenderà a creare nuove nicchie e ad avvicinare nuovi nicchioni.

  14. Sono d’accordo con chi separa il prodotto dot.com di servizio da quello della birra imbottigliata e bevuta. Può, in caso, passare la “moda” se di moda si tratta, ma non può sparire completamente un mercato del genere. Forse è più paragonabile alla moda dei Wine Bar di qualche hanno fa.. (se proprio bisogna analizzare un fenomeno tramite paragoni).
    Penso piuttosto che come ogni “fenomeno”, per l’appunto, anche questo abbia una nascita, un’espanzione, un boom (è questo il momento) al quale seguirà un periodo di assestamento non troppo lungo nel quale sarà il consumatore, tramite le sue scelte, a scremare i prodotti validi da quelli non validi abbastanza (periodo di calo del processo). Per validi si intende sia buona birra che buon marketing (ci sono birrifici che hanno smesso di fare birra ottima da anni e ora continuano a campare di marketing, quindi questo aspetto non può essere snobbato da nessuno).
    Rispetto agli altri temi, anche io credo molto nell’importanza del publican, e nel bisogno di fare birre che possano conservare valore nel tempo piuttosto che piccole esplosioni di stile.

    PS: questo è il mio primo post quì, quindi saluto tutti!

  15. Non sono riuscito a leggere tutti i commenti.. e l’alta numerica di commenti non può essere che una cosa positiva…

    Vi sollevo due considerazioni:

    la prima. comprendo il paragone ed il conseguente timore con la new economy, ma qui, come ha già detto qualcuno stiamo parlando di birra. Un prodotto che parte da un consumo di massa, popolare, facile e completamente comprensibile ai più. Più facile capire una birra buona che se è buona una nuova start-up su cui investire.. oppure un’idea imprenditoriale da new economy da seguire.
    Inoltre: il paragone tra Usa e Italia nella birra deve tener presente però un fatto importante: la birra in Usa è un fatto culturale, radicato e profondo. Consumare birra per gli americani è un modus vivendi (e non è una cosa elitaria e riservata a pochi!). In Italia non abbiamo questo sub-strato, non abbiamo questo aspetto culturale nella nostra società di tutti i giorni e “bere artigianale” sta diventando un fatto di tendenza, ma non generalizzato alla “massa”.
    la seconda. Da quel che ho visto in Usa, le birrerie artigianali (vista la vastità del mercato usa!) puntano principalmente a diventare importanti nel loro territorio di origine.. Insomma, considerano fondamentale, che i primi clienti siano gli abitanti intorno alla birreria, un modo questo di costituirsi uno zoccolo duro di vendite tale da poter supportare incrementi e sopportare eventuali perdite di vendite (piu lontane).
    Un aspetto secondo me fondamentale su cui puntare in Italia è davvero l’unione di questi due aspetti, tradotti però “in Italiano”:
    1) Creare un legame culturale con le birre di buona qualità vuol dire nel nostro mercato creare un’abitudine al consumo che, secondo la nostra cultura, dovrebbe per forza essere legato all’abbinamento cibo e al consumo durante i pasti (cosa non obbligatoria in usa). Il riuscire a bere birra artigianale a cena (e voglio esagerare: magari con la pizza!) potrebbe aprire nuovi orizzonti commerciali e dare futuro maggiore..
    2) Puntare molto alla territorialità e alla “fama” locale.. questo renderebbe alcuni birrifici “importanti” anche a livello di consumi, almeno nella loro zona di produzione. Questo potrebbe davvero portare ad una base di consumi solida e continua che possa superare mode o tendenze del momento..

    Che ne pensate? Ho bevuto troppo stasera?!?

    • E’ vero storicamente che l’Italia ha uno dei consumi più bassi pro-capite per quanto riguarda la birra, e che difficilmente ci si schioda dai famosi 30lt all’anno (anche meno) della media nazionale, ma il settore “artigianale” credo stia diventando una fetta di mercato importante o almeno degna di attenzione all’interno di questi 30lt. Non si tratta a mio parere di un allargamento del mercato per la birra in generale, ma di una consapevolezza diversa da parte del consumatore che ha semplicemente cambiato il “concetto” di birra, grazie alle numerose scelte che il mercato offre. Poi come dici tu la birra è popolare, facile e sicuramente più accessibile, come ho già detto diventare “esperti di birra” è facile e immediato quasi come diventare CT della nazionale di calcio nell’immaginario collettivo…
      Il mio parere è che dopo questo momento entusiasmante dove molti si gettano imprenditorialmente nel mondo birra (proprio per la sua immediatezza e facilità di mercato), ci sarà il realistico momento dei conti in tasca…Dopo un paio d’anni ti accorgi che tutto sto lavoro ti ha portato veramente poco, e l’azienda chiude, non per la scarsità dei suoi prodotti, ma per un’approssimazione di gestione. Alcuni mossi dalla passione (molto pochi ora, qualche anno fa era un salto nel buio, ora c’è una domanda che va soddisfatta) e altri dal possibile facile guadagno…Chi si saprà costruire il suo zoccolo duro, salvagente sempre pronto a tenerti a galla in ogni momento, camperà cent’anni…Come costruirlo: marketing? Prodotto vincente? boh…Si vedrà. Dalla mia esperienza torno a dire che senza Tipopils (presa come modello “concettuale”) sarei affogato da tempo.

      Ti dico la mia solo sulla tua prima affermazione: qualcuno ci ha provato, con successo, tanti anni fa a portare la birra nel mondo gourmet, altri l’hanno seguito e relegato il mercato a uno standard di prezzi inavvicinabili per la massa…Sono sempre convinto che la birra vada sdoganata per “strada”, proprio per il suo carattere popolare, che a mio modesto parere non dovrebbe mai perdere. Credo che il mercato creato a Roma sia frutto di un lavoro appunto di “strada”, di passaparola e di buoni attori, per questo funziona, se durerà non so 😉

      • Concordo pienamente in tutto quanto dici. Infatto quando parlo di abitudine a consumare birra (possibilmente artigianale e/o ben fatta, diciamo così!) nel momento di consumo degli alimenti (cena, pranzo ecc.) e possibilmente NON nel ristorante stellato, ma nell’osteria, nella pizzeria ecc. e soprattutto nel consumo “in home” che è secondo me quello che davvero può far crescere i consumi..
        Pensiamo soltanto al fatto che la gente beve sempre meno vino a casa, non tanto per una questione di costo (ci sono vini da 1,00 euro al litro!) ma perché non vuole bassa qualità e “problemi” nel suo pasto.. La birra, potrebbe prendere (almeno in parte) il posto lasciato vuoto..
        Al momento, come dici tu, alcuni locali non si avvicinano alle birre di qualità per questioni di prezzo (sia di acquisto che di vendita), ma alcuni già stanno comprendendo che non si può vendere una bott. da 75cl di birra, per quanto buona, a più del costo di una bottiglia di Chianti Classico! Ci arriveremo!!
        Siamo tutti quì a sperare di farcela no?!

  16. Posso solo dire che per lo più tutto quello che ho letto sia molto costruttivo ma c’è, secondo il mio parere, un problema di fondo.
    Purtoppo per quanto sia bello tutto il fermento/moda sul mondo delle birre artigianali e non, nel nostro bel paese, che cerca di dare regole a tutto lo stivale da 150 anni, non si riesce a definire una regola comune per sti poracci che la producono.
    Quindi nelle incertezze amministrative e burocratiche il mastro/imprenditore si trova a combattere, oltre che alla quadratura dei conti e la produzione di una buona birra, contro dei veri mulini a vento che però in questo caso possono dettare la rovina delle loro piccole o medie imprese.
    Però mi rendo ben conto che purtroppo l’ 1% di consumo di birra artigianale ( e di questo 1 non so quale sia il consumo di nostri prodotti ) possa attirare l’attenzione degli organi amministrativi e legislativi italiani.
    Posso solo ben sperare che la bolla non scoppi ed unirmi alla grattata generale.

  17. Beh una cosa senz’altro positiva mi sembra sia innegabile! Il neofita che beve una birra artigianale, la birra industriale non la beve più volentieri!
    Certo che se la birra buona continuerà a costare come un ottimo metodo classico di enta poi difficile berla tutti i giorni…
    Se poiquella birra è anche marcia come spesso capita diventa ancora più difficile…
    Concordo pienamente con chi dice che la birra (come altri prodotti artigianali) dovrebbe rimanere un prodotto locale! Prima che in america ci erano già arrivati da anni in Germania!
    Credo questo sia anche l’unico modo pr mantenere dei prezzi decenti!

    • Non sono convinto che tutto quello che succede in usa sia replicabile e/o valido per noi:
      in america è vero che molti birrifici hanno come zoccolo duro il consumo locale, ma è anche vero che se si prende un singolo stato o una contea americana, abbiamo un bacino di utenza nettamente superiore a quello che potrebbe essere una regione italiana. E questo viene confermanto dall’espansione continua che tanti birrifici craft americani stanno attuando per soddisfare le richieste che arrivano un po’ da tutta la nazione.
      altri invece segnano il passo accontentandosi del mercato che hanno (e chi non vorrebbe la possibilità di accontentarsi?)

      Cioè, facciamo tutti i paragoni che volgiamo, ma il mercato della birra (di qualsiasi qualità) è molto diverso tra usa e in italia.

    • “Mantenere” prezzi decenti?
      Vediamo prima di “arrivare” ai prezzi decenti, poi magari cerchiamo di capire se sarà possibile mantenerli.
      Aggiungo, a quanto detto da INDASTRIA, che in America alcuni birrifici possono addirittura permettersi di fare discorsi del tipo “questo è il massimo che possiamo fare attualmente, se la domanda è così alta e le persone restano insoddisfatte non ci possiamo fare nulla”. Chi potrebbe farlo da noi?

    • In Italia non sarà mai prodotto locale….non c’è un mercato locale tale da supportare un birrificio (contrariamente ai due paesi di cui parli) tranne chi ha il Brewpub o ha la fortuna di essere a Roma ……e non c’è nemmeno una tradizione locale…..
      Ricordatevi che i prezzi non li fà il produttore ma il mercato……
      Il prezzo delle zucchine al produttore è di 0,3 euro al Kg ma al supermercato le trovi a 2 euro al kg….

      • Ciò non è vero, se hai 20/30 clienti buoni nella tua regione, che ti assorbano la produzione, cosa non impossibile, visto che qualsiasi distributore ne ha 200/400 ed anche 600 nella propria provincia. Certo non si fa un mercato locale con le birre acide (e chi se le beve?), ma con birre che possano piacere a tutti e con prezzi più umani e ciò è possibile, sapendolo fare.

  18. Certo ho sintetizzato tantissimo! Giusto che bisogna arrivare ad un prezzo adeguato prima di mantenerlo… Comunque secondo me è innegabile che la dimensione locale e possibilmente con vendita il più diretta possibile è l’unica strada percorribile! La distribuzione nazionale ( se fatta bene) costa ed è impegnativa! Pochissimi birrifici italiani credo sarebbero in grado di seguirla a dovere! Non parliamo della GDO ho paura che chi ci sta avvicinando rischi di briciarsi e non poco! Quello è un altro mondo rispetto al nostro… Vero che la realtà americana è molto divesa e non credo sia pensabile arrivare ai livelli produttivi americani (non solo in campo birrario). La realtà italiana deve rimanere piccola… E una realtà piccola, radicata nel territorio e con qualche buon cliente non penso proprio debba avere paura di bolle ed esempi che poco hanno a che fare con il mondo del cibo artigianale! Chi produce ettolitri su ettolitri di merda è giusto che scompaia! Sta a noi comunicare la vera birra artigianale, avendo anche il coraggio di dire in pubblico quando una birra è da lavandino! (ho assistito di recente ad alcune degustazioni in cui il relatore descriveva con aggettivi anche apprezzabili una birra evidentemente marcia… DSila moda vino dovremmo imparare! Si vedono migliaia di sommelier che roteano calici di pocopiùditavero decantandone anche le lodi e i veri vini buoni si fa fatca a venderli! È vero che la gente se beve de tutto ma è anche vero che uno che la piglia in quel posto una volta la seconda ci sta attento! Sta a quelli che lavorano bene far capire la differenza… Comunque attorno a San Diego che è una cittadina ci sono circa 20 birrifici e brew-pub…. Ne abbiamo di birra da bere….

    • Cerchiamo di crearlo davvero questo movimento…..ed i produttori devono fare la loro….in USA come da altre parti parlano molto bene di noi (ho contatti continui)…vediamo di crescere dal punto di vista professionale e poi la crescita (anche dimensionale) sarà possibile…..se rimaniamo degli homebrewer evoluti non andremo da nessuna parte……lavoriamo insieme su pochi obiettivi comuni…

    • San Diego fa 1.4 milioni di abitanti tanto “ina” non è. Non si può perdere ad esempio il mercato sul territorio americano: negli USA c’è una diversa cultura riguardo alla birra, gli americani sono 5 volte tanto gli italiani e il territorio statunitense è 30 volte più grande di quello italiano quindi stiamo parlando di numeri completamente diversi.

      • 30 anni fa gli USA erano messi come l’Italia di 5 anni fa. domanda fra 10 anni l’Italia sarà messa come gli USA di 10 anni fa?

  19. si torna inevitabilmente alle miriadi di diatribe tra puristi, cazzari, modaioli, tradizionalisti, raters, drinkers, drunkers, antani e supercazzole.
    credo che a livello generale abbia ragione SR, ma i dubbi sollevati da A.Turco non
    sono da sottovalutare.
    difficilmente una bevanda millenaria scomparirà dalla penisola, tantomeno quella artigianale che (per moda o no) ha sicuramente ormai inciso
    sui gusti dei consumatori abituali.
    scompariranno gli innovatori, i tradizionalisti duri o chi fa birra cattiva?
    secondo me non c’è una regola ferrea.
    scompariranno sicuramente una parte di tutte e tre le categorie, e ne rimarranno altrettante. l’industria sicuramente cavalcherà i trend e darà mazzate ad alcuni piccoli produttori. è inevitabile, credo.
    non scompariranno i raters e non scompariranno chi vede la birra come “session” e basta. (geeks are hard to die)
    certo un ridimensionamento e un ritorno a stili più tradizionali dopo questa spinta a innovare (o a saturare certe idee di birra: AIPA su tutte) ci sarà per forza, secondo me.
    anche perché certi stili tradizionali sono talmente sconosciuti che possono diventare “moda” a loro volta.
    in my humble opinion.

  20. Torno a scrivere dopo il ponte solo per alcune precisazioni:

    1) Il paragone con la bolla della new economy è ovviamente una provocazione, quasi un gioco se non avesse delle tinte tanto fosche. Questo non toglie che in alcuni passaggi dei due fenomeni si possono riscontrare punti di contatto interessanti

    2) L’evoluzione di un settore non è mai lineare. La bolla della new economy non ha impedito lo sviluppo di quel mercato, che oggi – e solamente oggi – appare finalmente solido e maturo per sostenere investimenti e convergenza. Così nella mia “tesi” non affermo che il fenomeno della birra artigianale scomparirà da un momento all’altro, ma che magari tutta questa euforia non poggia su basi davvero solide e che per evolvere ulteriormente il settore dovrà forse passare per un periodo di contrazione, inevitabilmente clamoroso per chi si trova ad operarvi

  21. fatemi fare un invito, visto che ci siamo, e spero A.Turco mi perdonerà:
    basta guerre di quartierino. è mai possibile che tutti vogliano avere la verità in tasca sulla birra, su come va bevuta, consumata e pure pisciata?
    e c’è chi vuole educare il cliente alla sua idea di birra, e chi mette le magliette contro i raters, e chi ce l’ha contro chi non sente il chinook alla prima annusata, e chi ce l’ha con le lattine (faccio autocritica, son bravo eh!), ecc.
    secondo me c’è spazio per tutti, volemose bbbene.

    • Secondo me, siccome un approccio ragionato alla materia “birra” in italia è una cosa relativamente nuova, ognuno ha la propria idea di come deve, dovrebbe o dovrà essere il tutto.

      In USA, dove la cultura birraia era ben più radicata anche prima del fenomeno craft, si è partiti dalle basi, dagli stili “classici” (anche una IRS lo è per assurdo) e si è costruita una sorta di base comune.

    • “…e chi mette le magliette contro i raters…”

      Io ho indossato a Rimini la maglietta Goblin Pub “Rage Against Beer Raters”.
      Voglio precisare che era uno scherzo e personalmente ritengo i raters una grande risorsa per il mondo della birra artigianale.

      Sono d’accordissimo con Drachen che ognuno ha diritto di viversi il mondo della birra come più gli aggrada.

      RAGE AGAINST BEER PRIESTS!!!
      (S)enza (R)iferimento alcuno, ovvio!
      😉

      • era tutto un trucco per farvi venire allo scoperto 😀 😀 😀
        son contento cmq che hai apprezzato! ^^

  22. La birra artigianale, in Italia è per il momento un fenomeno di nicchia (cit.).

    Il rovescio della medaglia è stato quello di paragonare la birra di qualità al vino, dove anche per quest’ultimo, anche se siamo i migliori e maggiori produttori del nettare di Bacco abbiamo una conoscenza relativa, ma abbiamo una varietà tale che ci permette di avere vini da 5 euro dal giusto rapporto qualità prezzo e quelli da 60 euro; questo sarebbe l’ideale anche per il mercato della birra…

    I prezzi delle birre artigianali italiane, purtroppo, bloccano l’acquirente appassionato che può indirizzare le proprie scelte principalmente sul Belgio, dove trova dei prodotti con un rapporto qualità prezzo senza eguali, anche se in Italia possiamo trovare dei prodotti di altissima qualità “senza il nonno morto dentro” cit., ma pagandoli un po’ salati ed anche delle birre “normali” al giusto prezzo direttamente dal produttore ; in Belgio gli impianti produttivi dei produttori artigianali producono mediamente 500/1000 hl all’anno e quelle che ne producono 14000, vedi Dupont, hanno gli stessi prezzi di quelli che ne fanno 10000 meno …mistero!!

    L’unico modo per avvicinare il consumatore consapevole alla birra NON PASTORIZZATA, preferisco utilizzare questo termine invece di quello artigianale sono i corsi, le serate di degustazione ed i festival

    Poi quando vedrò la Saison Dupont in tutti i Supermarket a 2 euro sarò contento…

  23. In Italia il fenomeno birra artigianale, benché in forte crescita, è ancora allo stadio punta dell’iceberg. Nessuno, su 350 produttori, si è accorto o sa sfruttare i benefit, che solo una piccola produzione artigianale può offrire. Tutti sembrano concentrati sulla ricetta perfetta o sull’ingrediente segreto, trascurando palesemente l’aspetto commerciale. Possibile che nessuno prenda ad esempio chi la birra, magari la fa male, ma ne vende centinaia di migliaia di ettolitri, esclusivamente giocando sull’immagine del prodotto?

    Ci sono formule commerciali per triplicare in pochi mesi, la vendita di qualsiasi birrificio, anche rivolgendosi a canali di vendita vergini, ai quali nessuno ha mai pensato. I birrai Italiani sembrano essere, come qualcuno ha insinuato, degli HB evoluti. Questa non vuol essere un offesa, ma uno sprono a svegliarsi, fuori c’è un mercato (il restante 99%) che cerca solo nuove occasioni di consumo, ma nessuno sembra in grado di proporle.

    Paragonare il fenomeno birra artigianale alla new economy è chiaramente una provocazione, se si volule paragoni penso che questi debbano essere cercati rifacendosi ad altri prodotti artigianali in stadio di riconversione o che hanno subito questa riconversione in passato (gelato, formaggi, ecc.)

  24. @ Bilbo
    Chiamare la birra artigianale “NON PASTORIZZATA” è riduttivo, le differenze tra industriali ed artigianali, non si limitano a questo. La birra industriale Italiana, viene ottenuta con materie prime le più economiche possibili ed aggiunta di succedanei, viene prodotta per diluizioni spinte, filtrata a 4 stadi, pastorizzata ed addizionata di conservanti.

    Prendi una artigianale, pastorizzata con una curva ottimizzata e vedrai che la perdita di qualità è impercettibile ai più. Questo non vuole chiaramente essere un incentivo alla pastorizzazione, sempre da evitare, ma preferiscono una pastorizzata ad una acetica.

    L’unico modo per avvicinare il consumatore ancora inconsapevole ai prodotti artigianali, non sono solo i corsi o le degustazioni, che hanno indubbiamente la loro importanza, ma consiste nel rendere disponibile un prodotto che oltre ad una qualità superiore, abbia una costanza nel mantenimento di questa qualità, abbia una percentuale di confezioni rovinate (bottiglie e fusti) infinitesimale, abbia un prezzo leggermente superiore ai prodotti industriali e non prezzi che farebbero scappare anche gli sceicchi e poi innovazione, non negli ingredienti o nelle tipologie, ma innovazioni nelle proposte commerciali, che gli industriali per problematiche legate ai grandi volumi, non potranno mai proporre.

    Ci sono cose che fanno gli industriali, che nessun artigiano mai farà perché antieconomiche nella loro dimensione ridotta, così come ci sono cose che gli artigiani potrebbero e dovrebbero fare, che industrialmente sarebbero impossibili ed antieconomiche, solo che nessuno sembra accorgersene.

  25. bella discussione fino a qui e devo fare un plauso a Cervisia, anche perche moltissimi bevono birre estere che sono ben pastorizzate e non lo sanno e non gli frega niente.Il punto su tutto è che noi produttori attuali , se non ci sbrighiamo a crescere con i volumi e startegie commerciali vincenti per poterci posizionare sicuramente in maniera più economica a brevissimo verremo soppiantati da tutti i nuovi investitori a cui abbiamo preparato la strada , e ce ne sono di lupi (produttori di olio o vino che stanno già fabbricando impianti)che presto scenderanno in campo facendo pizza pulita di tutti i micro sotto i 1500hl, esclusi i brew pub.
    Un paese male organizzato economicamente come il nostro non può sostenere più di 10 produttori per regione, buon lavoro.

  26. Già fare qualcosa….. Per stabilizzare la birra e togliersi il problema di lotti fallati, esistono dei consulenti, che con metodi collaudati, eliminano i punti critici, che causano il problema. Per vendere di più, tramite una campagna di marketing mirata, esistono naturalmente dei consulenti, che adattano, modificano, migliorano l’immagine del prodotto, rendendolo molto più appetibile ai target ai quali si propone.

    Una buona proposta potrebbe consistere nel riconoscere al consulente una percentuale sul venduto aggiunto. Cioè oltre al fatturato attuale.

    Certo che sino a quando i birrai non si convincono che è difficile fare tutto da soli e farlo anche bene. Ma si sa il birraio per definizione è un fautore del fai da te. Preferisce sbagliare, pensando a quanto ha risparmiato, piuttosto che pensare a quanto ci prede ogni giorno.

    Questo è un indicativo che parliamo di un mercato non ancora maturo, in una fase in cui si produce e si vende di tutto, nel quale quasi tutti prosperano. Poi quando il mercato maturerà e comincerà la vera competizione, ci sarà chi ormai s’è piazzato, avendoci pensato per tempo e chi sarà in balia degli eventi. Troppa poca professionalità contraddistingue questo settore, ci si affida ancora troppo al caso e mancano strategie efficaci.

  27. Dopo due anni vi scrivo che è successa la stessa cosa nel settore aceto balsamico , una bolla gigantesca scoppiata nel bel mezzo di una recessione economica !!

      • FASE 1 :
        Centinaia di aziende di maglieria (e varia manifattura…) nel modenese , e altrettante nel settore delle piastrelle verso Sassuolo sono costrette a chiudere causa spostamento della manifattura verso l’estero.

        FASE 2 : l’imprenditoria modenese alla “Vacanze di Natale” decide che l’aceto balsamico è un buon investimento,grazie a qualche isolato caso di successo, e grazie al fatto ché si può esportare. Milioni di euro si riversano in questo settore. Nel breve periodo, grazie alla stampa e agli investimenti in marketing e fiere estere, l’export tira.

        FASE 3: Questo fittizio aumento di export, dovuto ad un iniezione di liquidità nel mercato e NON ad una REALE richiesta dei consumatori, fa impazzire gli assetati di profitti. la bolla ha inizio. Migliaia di piccoli imprenditori si buttano sul mercato solo per sentito dire. Altri soldi in impianti di produzione , e altri soldi in fiere estere.

        FASE 4: Questo aumento (fittizio) di export aceto balsamico artigianale (non tradizionale) , non piace PER NIENTE ai giganti : PONTI, ACETUM, DE NIGRIS, CARANDINI . Si uniscono nonostante l’odio reciproco e creano l’aceto balsamico di modena IGP. Un disciplinare creato per distruggere la piccola concorrenza.

        FASE 5: Gli effetti del disciplinare si iniziano a fare sentire….. ma sopratutto … Dov’è la domanda ? Con tutta questa offerta ed usa sovrastima (ENORME) degli impianti produttivi, ci si chiede a chi vendere tutta questa merce.

        FASE 6: Gli investitori sono incazzati vogliono vedere i guadagni, ma i guadagni non ci sono. perchè si è sovrastimata la domanda… ma soprattutto chi compra in Italia? tutti vogliono esportare. Ma le fiere estere costano, e tanti non riescono a sostenere i costi di marketing.

        FASE 7: IL DECLINO, guardarsi allo specchio è dura. sopratutto quando fuori c’è la recessione. L’ago ha punturato il palloncino gonfiato. Il resto ve lo lascio immaginare ….

        • a voi che fate birra …. smettetela di fare i baladin di turno. fate una buona birra e fatela pagare poco !!! mettete due tavoli fuori, e vendete a livello locale voi che potete.
          lasciate perdere fiere e e packaging figo. Iniziate dal basso.

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