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5 libri che continuo a consultare per fare birra in casa

In questi ultimi anni ho ridotto parecchio il tasso mensile di acquisto libri a tema birrario. È una dinamica naturale: quando si inizia si ha tanta sete di sapere, la biblioteca è vuota e i titoli non letti – tra classici e nuove uscite – sono tantissimi. Man mano che si va avanti la biblioteca personale si amplia, la rincorsa ai classici rallenta, ma soprattutto si evita di comprare l’ultimo libro uscito sulla produzione di birra in casa, quando ne hai già dieci dispersi tra gli scaffali della libreria. La consultazione dei classici rallenta (penso all’ottimo  “How to brew” di John Palmer, che ho consumato), ma ci sono alcuni volumi che ancora mi capita di prendere e sfogliare regolarmente alla ricerca di informazioni, nonostante siano piuttosto datati. Si tratta di libri che possono vivere diverse vite nel corso della carriera di un homebrewer: prima magari vengono letti di corsa, o solo sfogliati; in un secondo momento si riprendo in mano alcuni capitoli, cercando risposte tecniche a quesiti che prima nemmeno immaginavamo di poter affrontare. Alcuni volumi ti accompagnano sempre, li rileggi di continuo, scoprendo nuovi dettagli e sfumature che in precedenza, per la sete di sapere, non avevi colto. Oggi mi sono messo davanti ai miei quattro scaffali di libri birrari e mi sono chiesto: quali sono quelli che in assoluto consulto di più, ancora oggi? La risposta è in una lista di cinque titoli, di cui quattro piuttosto datati. Eppure li tengo lì, a portata di mano, dopo dieci anni di homebrewing.

Brewing classic styles (Palmer, Zainasheff)

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Incredibile come dal 2007, anno della prima edizione di Brewing classic styles (acquistabile qui), non siano più usciti volumi paragonabili a questo libro in quanto a completezza, facilità di lettura e chiarezza nell’esposizione delle ricette. Almeno, io non ne ho trovati. Esistono ovviamente libri di ricette, ce ne sono a vagonate, ma peccano quasi sempre in qualche ambito: spesso sono noiosi, imprecisi, difficili da interpretare (in quello famoso del CAMRA “Brew Your Own British real Ale” non viene nemmeno indicato il livello di tostatura dei malti crystal) e raramente riescono a coprire tutti gli stili. In Italia Bertinotti e Faraggi hanno provato a ricreare qualcosa di simile con il volume “Le tue birre fatte in casa”, uscito ormai qualche anno fa. Nonostante il lodevole intento, la riuscita a mio modesto avviso non fu delle migliori dato che si trattava più che altro di una traduzione delle linee guida del BJCP (versione 2015) con allegate le ricette con cui diversi homebrewer avevano ottenuto buoni piazzamenti nelle varie competizioni organizzare da MoBI. Sicuramente un buon riferimento, ma non al livello della fatica di Zainasheff e Palmer, che occupa il gradino più alto del podio nella mia classifica personale di questo tipo di pubblicazioni, nonostante non sia mai stato aggiornato dal 2007.

Gli aspetti interessanti sono diversi. Al primo posto ci sono senza dubbio le introduzioni alle ricette, che evidenziano in poche parole i tratti essenziali di ciascuno stile e gli elementi chiave per riprodurne in casa le caratteristiche organolettiche. Ogni ricetta inizia con un paragrafo in cui gli autori cercano di trasmettere in poche righe i tratti distintivi dello stile, per poi evidenziare passaggi e ingredienti chiave per arrivare all’obiettivo. La completezza di questo manuale è senza eguali. Troviamo ricette per tutti gli stili del BJCP (in questo caso, il riferimento è la versione del 2004), spiegate e dettagliate. Per ogni ricetta è sviluppata la versione all grain e quella da estratto, oltre ovviamente a tutti i parametri di riferimento dello stile.

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La chiarezza e l’immediatezza dei contenuti sono però il vero punto forte del libro. Anche se la formattazione delle pagine è spartana e senza ghirigori, le ricette sono sempre complete di tutti i dettagli e facilmente comprensibili. È uno dei pochi libri di ricette che inserisce anche le percentuali in peso dei malti – halleluja! La voce degli autori è sempre lì a tenerti compagnia e a guidarti, l’impressione – anche se magari per alcune ricette non sarà davvero così – è quella di parlare con un bravo amico homebrewer che ti racconta la sua ricetta più riuscita.

Brew like a monk (Stan Hieronymus)

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Anche Brew like a monk (acquistabile qui) è un libro piuttosto datato, addirittura precedente a Brewing Classic Styles. Edizione del 2005, per quel che mi risulta mai aggiornata. Tuttavia, rimane a mio parere una pietra miliare sulle birre del Belgio. Oltre alla storia delle birre belghe, con dettagli su birrifici e produttori (alcuni necessariamente un po’ datati, ma ancora fruibili nel complesso) il libro cita molte informazioni su ingredienti e processo di produzione. Sono famose le due tabelline comparative sui lieviti, una per la White Labs e l’altra per la Wyeast, i due principali produttori mondiali. Sebbene molto sia cambiato negli ultimi 17 anni in termini di disponibilità ingredienti, varietà dei produttori e tipologie di lieviti, la maggior parte dei birrifici che produce ispirandosi al mondo belga – e in Italia ce ne sono pochi che lo fanno con costanza e talento – utilizza ancora principalmente i lieviti citati nel libro: il Trappist High Gravity della Wyeast per Tripel e Quadrupel (ceppo Westmalle, WY3787 o WLP530), il Belgian Abbey II per Quadruple e Dubbel (ceppo Rochefort, WY1762), il ceppo Duvel per le Belgian Golden Strong Ale (WY1388 o WLP570).

Ancora oggi, a distanza di anni dalla prima Tripel (che, ovviamente, venne malissimo) mi trovo spesso a consultare questo libro per cercare informazioni su lieviti e zuccheri, le due variabili principali su cui si gioca la riuscita di una produzione belga. Un mondo così vario e poliedrico non è facile da condensare nelle pagine di un libro, ma credo che Stan Hieronymus sia riuscito nell’intento. Certo, alcune parti sono un po’ datate e filtrate dalla lente “americana”, ma nel complesso l’insieme di storia, racconti e consigli pratici per la produzione di birre belghe è secondo me rimasto insuperato. Esiste anche la versione italiana di questo libro, pubblicata con un nome molto meno evocativo (Le Birre del Belgio I). Non l’ho letta  perché è arrivata molti anni dopo l’uscita del libro, ma è sicuramente altrettanto valida.

The Beer Bible (Jeff Alworth)

Mai nome per un libro fu più azzeccato: The Beer Bible, la bibbia della birra (acquistabile qui). Conoscevo e leggevo Jeff Alworth grazie al suo blog, Beervana, che seguivo da tempo già prima dell’uscita di questo lavoro editoriale. Mi è sempre piaciuto il suo modo di trattare argomenti a tema birraio: preciso ma non tecnico, ha sempre messo sul tavolo riflessioni interessanti su stili e tendenze birrarie. Devo dire che inizialmente il titolo del libro mi ha un po’ spaventato: temevo fortemente la deriva semplicistica e raffazzonata, ma già dalle prime pagine mi sono dovuto ricredere. Alworth ha condotto un lavoro di ricerca davvero eccellente ed esteso, scavando nel marasma di articoli e riferimenti storici, spesso contraddittori, che si trovano sui diversi stili. Ha anche viaggiato mesi in Europa per intervistare e parlare direttamente con birrai ed esperti del settore prima di mettere insieme le pagine di questo libro. Se è vero che non tratta temi strettamente legati alla produzione (lo fa in un secondo volume, Master Brewers, a mio avviso molto meno riuscito), dall’altro racconta gli stili con chiarezza e precisione come pochi altri sono riusciti a fare. Esistono pile di monografie sugli stili birrari molto più dettagliate e focalizzate di questa, ma trovo il livello di sintesi che Alworth ha espresso per ogni stile in questo libro particolarmente efficace. In poche righe riesce a ripercorrere storia e spesso anche ingredienti, passando dal Belgio all’Inghilterra alla Germania con scioltezza. La lettura scorre veloce nonostante i numerosi riferimenti storici, a differenza di molti altri libri sulla storia degli stili che possono risultare pesanti da leggere e spesso di scarso interesse per un homebrewer.

Qualcuno potrebbe pensare che per fare birra in casa non serve conoscere la storia degli stili, ma permettetemi di dissentire. A mio parere la conoscenza degli stili, ma soprattutto della storia birraria, va di pari passo con quella di ingredienti, attrezzatura e processo. Sicuramente esistono eccezioni, ma nella maggior parte dei casi i più bravi homebrewer che ho conosciuto sono anche grandi conoscitori degli stili e della storia ed essi legata. E anche grandi viaggiatori, in genere, altra tendenza caratteriale che la lettura di questo libro stimola fortemente.

Non è un libro perfetto: alcune parti sono effettivamentemesse insieme alla men peggio (vedi quella sulle birre italiane), ma si tratta di piccole imperfezioni in confronto ai contenuti complessivi del libro. Gli esempi di assaggio sono spesso sbilanciati su birre americane, ma anche questo ci sta. Per il resto, un volume da tenere sugli scaffali e consultare fino a consumarlo (nel mio, la maggior parte delle pagine si sono staccate dalla costa). È da poco uscita una seconda edizione che ancora non ho letto.

Principles of brewing science (George Fix)

Nel corso della mia evoluzione come produttore casalingo ho man mano acquistato diversi libri tecnici per approfondire alcune tematiche. Da quelli monografici su luppolo, malto, lievito e acqua della Brewers Association, a testi molto dettagliati, spesso rivolti a chi produce birra in birrificio o addirittura utilizzati in ambito di formazione tecnica professionale. Trattandosi di temi legati alla chimica e alla microbiologia, molto spesso ci si trova davanti a testi o troppo tecnici, che vanno oltre le finalità pratiche di un produttore casalingo, anche se smaliziato, oppure davanti a trattazioni troppo vaghe che generano domande piuttosto che dare risposte. Molti di questi testi (a parte il Kunze, che però costa un occhio della testa ed è comunque iper-specifico) sono rimasti a prendere polvere sugli scaffali dopo una prima veloce lettura.

Non è il caso di questo piccolo manuale scritto da George Fix, purtroppo recentemente scomparso. Principles of brewing science (acquistabile qui) è un altro libro non recentissimo, andiamo ancora indietro: edizione addirittura del 1999, credo poi ristampata diverse volte ma mai aggiornata nei contenuti. Tuttavia, per me rimane un caposaldo. Riesce a condensare in sole 180 pagine una quantità enorme di concetti molto tecnici applicati al mondo della birra, passando per chimica e microbiologia senza appesantire eccessivamente la trattazione. Illustra concetti complessi come ossidazione, stabilità della birra e fermentazione in modo chiaro e semplice, ma allo stesso tempo approfondito e tecnico. Lo trovo attuale nonostante sia uscito ormai 23 anni fa. È secondo me il volume ideale per chi vuole approfondire alcuni aspetti tecnici legati alla produzione e conservazione della birra senza dover sbattere la testa contro mattoni di 400 pagine che spaccano il capello in quattro a livello chimico e microbiologico.

New Brewing Lager Beer (Greg Noonan)

Chiudiamo questa breve rassegna con un volume dedicato alle basse fermentazioni. Pubblicato per la prima volta nel 1986 ma rivisto e rinnovato nel 1996, New Brewing Lager Beer (acquistabile qui) vince il primato per il libro più vecchio citato in questa mini raccolta. Nonostante l’età, rimane secondo me una pietra miliare nell’ambito di riferimento. Scomparso dopo una breve malattia nel 2009, Gregory Noonan è stato una figura rilevante nel mondo della birra statunitense. Fondatore del Vermont Pub e Brewery, ha collaborato alla stesura di diversi libri a tema birrario. Questo volume è dedicato alle basse fermentazioni, di cui esplora ingredienti e processo produttivo.

Sebbene si tratti di una trattazione datata, rimane molto interessante per approfondire le dinamiche di queste fermentazioni, su cui ci sono diverse scuole di pensiero e i dibattiti, spesso pretestuosi quando non proprio fuorvianti, sono all’ordine del giorno. Noonan racconta nel dettaglio il metodo “tradizionale” per la gestione di una fermentazione con lieviti Lager, seguendo passaggi che probabilmente oggi sono considerati quantomeno “desueti” se non proprio inutili sia da birrai professionisti che da homebrewer. Se è certamente vero che non esiste un solo modo di condurre una bassa fermentazione, e che anche con i metodi moderni e più spediti si possono produrre ottime birre, è bene secondo me conoscere e studiare anche metodi diversi, più lenti e impegnativi, per capire cosa si può eventualmente accelerare nel processo e quali sono le conseguenze. Anche se non ho mai seguito il metodo tradizionale e continuo a produrre Lager con il solo lievito secco W34/70 e la pausa diacetile, ogni tanto mi trovo a sfogliare questo libro per capire meglio quale fosse la motivazione che portava a determinate scelte produttive, e se magari non è il caso, una volta, di provare una strada diversa. Tipo tentare una decozione, per dirne una.

Disclaimer: con alcuni dei siti linkati in questo articolo Cronache di Birra ha attivato un’affiliazione e ottiene una piccola quota dei ricavi, senza variazioni dei prezzi. Volendo, potete cercare gli stessi articoli su Google. Se invece volete saperne di più su questi link, su Il Post c’è una spiegazione chiara e dettagliata.

Francesco Antonelli
Francesco Antonellihttp://www.brewingbad.com/
Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Tra i fondatori del blog Brewing Bad, produce birra in casa a ciclo continuo. Insegna tecniche di degustazione e produzione casalinga. Divoratore di libri di storia e cultura birraria. È giudice certificato BJCP (Beer Judge Certification Program).

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