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Guida alle Birre d’Italia 2019: la mia recensione

La Guida alle Birre d’Italia di Slow Food Editore è una pubblicazione biennale che esiste (se non erro) dal 2008 e che si propone come prezioso strumento per districarsi tra le centinaia di birrifici e beer firm sparsi sul territorio italiano. Sin dal suo debutto si è affermata per il suo altissimo livello qualitativo, sostenuto da numeri crescenti di edizione in edizione: l’ultima, disponibile in libreria da pochi giorni, racconta quasi 600 aziende e recensisce 2.650 birre, restituendo un ampio spaccato del movimento brassicolo nazionale. L’ho sempre considerata un progetto editoriale eccellente, così quando ho ricevuto la nuova edizione 2019 mi sono avvicinato alla lettura cercando – in maniera evidentemente speculativa – di smascherare gli eventuali punti deboli sparsi tra le 624 pagine dell’opera. Ma devo ammettere che il tentativo è andato pressoché a vuoto.

La Guida alle Birre d’Italia 2019 prosegue lungo la strada tracciata dalle precedenti edizioni, arricchendo però i contenuti con alcune novità che rendono l’organizzazione delle informazioni ancora più razionale e approfondita. Innanzitutto le aziende censite sono state suddivise in quattro sezioni differenti. La prima e più corposa (occupa praticamente il 90% della guida) riguarda i birrifici artigianali, cioè tutti quelli dotati di impianto di proprietà e che rispettano i criteri della legge italiana entrata ultimamente in vigore – e la sua interpretazione da parte di Unionbirrai. Come in passato, i vari birrifici artigianali sono distribuiti secondo una logica geografica, con un capitolo dedicato a ogni regione. Le altre tre sezioni, molto più ridotte, si riferiscono invece ai birrifici non artigianali, agli affinatori e alle beer firm.

Come in passato la scheda di ciascun birrificio riporta dei dati “anagrafici” e una descrizione atta a spiegare la storia dell’azienda, la filosofia del birraio e le caratteristiche generali delle birre prodotte. Nella parte destra della scheda sono invece raccontati i prodotti più importanti (massimo 6 per i birrifici e 3 per le beer firm), con alcune informazioni a corredo: gradazione alcolica, colore, tipo di fermentazione ed eventuale riconoscimento ottenuto. Una mancanza che ho avvertito è l’assenza dello stile di riferimento, che avrei trovato molto prezioso. Questa scelta in passato è stata giustificata dalla volontà di non disorientare i lettori meno smaliziati con informazioni troppo tecniche, ma ormai i dati hanno raggiunto un tale livello di profondità da rendere molto meno comprensibile una simile impostazione. E nel frattempo anche i profani hanno imparato a raccapezzarsi con termini come IPA, Stout, Pils e via dicendo.

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Continuando ad analizzare la scheda, in basso a sinistra è presente una delle novità di questa edizione: uno specchietto che riporta alcuni dati societari e produttivi, come la distribuzione delle quote aziendali, la provenienza principale delle materie prime e le tecniche produttive adottate. Questa innovazione, insieme alla riorganizzazione dei birrifici vista in precedenza, dimostra il desiderio di Slow Food di fornire al lettore informazioni assolutamente trasparenti e probabilmente di sgomberare i dubbi su apparenti posizioni ambigue, a differenza di quanto accaduto con la sua precedente pubblicazione (Il Piacere della Birra).  Purtroppo tali dati non sono stati forniti da tutte le aziende e talvolta risultano assenti proprio per le realtà più interessanti da questo punto di vista; chiaramente però non è un limite da imputare ai curatori della guida. In generale comunque è apprezzabile la sensibilità dimostrata nei confronti delle recenti evoluzioni dell’ambiente, considerando che queste aggiunte hanno sicuramente richiesto uno sforzo extra non certo indifferente.

Sfogliando la Guida alle Birre d’Italia 2019 non si può dunque non rimanere ampiamente soddisfatti. L’opera di Slow Food si conferma una vera e propria perla editoriale, che va ben oltre gli intenti di una guida. Non è solo uno strumento per districarsi in un settore cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, ma anche un libro che racconta un movimento straordinario, un fenomeno con pochi uguali in Italia e nel mondo. Con quest’ultima edizione la profondità delle informazioni ha raggiunto livelli clamorosi e si integra perfettamente all’altra anima dell’opera, quella “narrativa” capace di rappresentare uno straordinario valore aggiunto. Si avverte che dietro questa pubblicazione c’è un lavoro impressionante, di cui possiamo intuirne la grandezza spulciando i nomi delle decine di collaboratori coinvolti nella sua realizzazione.

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Purtroppo ogni volta tutto questo sforzo rischia di passare in secondo piano perché l’attenzione viene monopolizzata dai riconoscimenti assegnati a birre e birrifici. È sicuramente un limite (e una forza) delle pubblicazioni di questo tipo, tuttavia se vogliamo trovare un punto debole nella Guida alle Birre d’Italia forse è proprio nei criteri di attribuzione dei premi. In termini assoluti sono oggettivamente tantissimi (114 per i birrifici e quasi 500 per le birre) e questo aspetto tende ad “annacquare” la loro importanza. In aggiunta non sempre è chiaro perché un produttore è insignito del “fusto” invece che della “bottiglia” o della “chiocciola”, o perché una sua creazione è definita “grande birra” invece che “birra slow”. Giunti a simili cifre è forse arrivato il momento di ripensare i riconoscimenti e di ridurre il totale di quelli assegnati. Sebbene poi i premi dimostrino una certa attenzione nei confronti degli ottimi birrifici affacciatosi di recente sul mercato, nel complesso sembrano ancorati a una visione un po’ anacronistica del settore, a causa della persistenza di tanti nomi usciti dai radar ormai da molto tempo – anche perché, fortunatamente, nel frattempo l’asticella della qualità si è alzata sensibilmente.

Al netto del discorso sui riconoscimenti, che personalmente considero sempre elementi di contorno al valore di una guida, la pubblicazione di Slow Food non solo si mantiene sugli altissimi livelli delle precedenti edizioni, ma aggiunge dettagli di grandissima utilità. Il consiglio di acquistarla a occhi chiusi va preso col beneficio del dubbio solo se possedete già la precedente edizione: in tal caso dovrete valutare quanto l’aggiornamento valga l’esborso (16,50 €) e spero di avervi fornito tutte le informazioni per compiere la vostra scelta. In tutti gli altri casi non ci sono dubbi: la Guida alle Birre d’Italia di Slow Food è un prodotto di qualità eccelsa, che merita uno spazio tra gli scaffali della vostra libreria. Anche perché è l’unica pubblicazione del genere in Italia, almeno in attesa di mettere le mani su Passione Birra di Repubblica.

Guida alle Birre d’Italia
a cura di Luca Giaccone ed Eugenio Signoroni
Slow Food Editore
Pagine: 624
Prezzo: 16,50 €

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. E’ assurdo che per le birre non si menzioni lo stile d’appartenenza. Ecco perchè poi si continua a sentir parlare di bionde, rosse, scure e “doppio malto”.

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