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La morte dei pub inglesi

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Come riportato dal blog Beer Me!, qualche giorno fa è apparso sul Daily Mirror un appassionato articolo di Paul Kingsnorth sulla situazione, per nulla rosea, dei pub tradizionali britannici. Come saprete, in Inghilterra è in atto da tempo una profonda rivoluzione nella natura delle “public houses”, che lentamente stanno perdendo i propri caratteri originali a favore di una “modernizzazzione” alquanto pericolosa. E’ un fenomeno che rientra in un più ampio discorso di cultura birraria, che nel Regno Unito preoccupa da anni appassionati e associazioni, in primis il CAMRA, da sempre in prima fila per salvaguardare le real ales e la tradizione brassicola anglosassone.

Cosa sta succedendo alla scena dei pub britannici? Come detto, si sta verificando una profonda trasformazione, che ha cause di tipo economico ma anche culturale. Il pub nella società anglosassone ha ovviamente un valore molto diverso rispetto alla nostra realtà: è un’istituzione millenaria, un elemento fondamentale intorno al quale il Regno Unito si è sviluppato nei secoli. Il nome stesso, “public house”, dà il senso della sua forte connotazione “sociale”, ponendosi come punto d’incotro e di socializzazione, elemento unico e fondamentale nella vita collettiva degli inglesi. E’ qui che sono nati i pub-village, agglomerati di poche case che avevano (e hanno tuttora) la taverna come punto di riferimento. Se in Italia ogni piccolo paese ha la sua immancabile chiesetta, lo stesso discorso può essere fatto per l’Inghilterra con i pub.

Brewdog Paradox: quando la birra incontra il whisky

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paradox_bottle2.jpgAl recente Stout & Porter Fest abbiamo avuto la fortuna di ospitare una birra particolarissima, che è stata giudicata per acclamazione la novità più interessante dell’intero festival: la Paradox Islay Cask Edition 001 della scozzese Brewdog. Il nome è piuttosto complicato, quindi andiamo con ordine.

Innanzitutto Brewdog è un birrificio sito nei pressi di Aberdeen, davvero giovanissimo (ha aperto i battenti nell’aprile del 2007) e gestito da due ragazzi intraprendenti: James B Watt e Martin Dickie (quest’ultimo è anche il mastro birraio). Tra le loro produzioni – che viste le caratteristiche del birrificio risultano inevitabilmente originali e innovative – spicca la Paradox, un’imperial stout che si propone come anello di congiunzione tra la birra e il whisky. L’obiettivo finale è ben spiegato sul loro sito web:

Prova la birra prima di acquistarla

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Girando per la rete ho appreso che l’11 marzo scorso negli Stati Uniti, più precisamente nello stato di Washington, è stato approvato un disegno di legge che permetterà a 30 grandi magazzini di proporre assaggi di vino e di birra (4 once, circa 10 cl) agli avventori, con l’obiettivo di offrire un impulso al mercato dei piccoli produttori locali. Il programma, della durata di un anno, è favorevolmente sostenuto dai microbirrifici e le piccole aziende vincole del luogo, che non sempre dispongono di budget adeguati per sostenere delle specifiche strategie di comunicazione.

Mettendo da parte le inevitabili polemiche di chi è spaventato per un più facile accesso all’alcool da parte dei minori, si tratta di un’iniziativa lodevole, perché incentra la promozione dei prodotti regionali sulla comunicazione, elemento fondamentale per il settore brassicolo artigianale ed enogastronomico più in generale.

Pubblicata la guida CAMRA alla West Coast USA

Good Beer Guide West Coast USALa prestigiosa famiglia delle Good Beer Guides, le guide birrarie del CAMRA, si impreziosisce di una novità attesa dai più impavidi beer hunter del vecchio continente. Apprendo da un post di Harvey su ihb che il 3 marzo scorso l’organizzazione inglese ha rilasciato la guida alla costa ovest degli Stati Uniti, scritta da due giovani giornalisti del settore: Ben McFarland e Tom Sandham. Più di 500 birrifici censiti, oltre ai migliori locali dove provare le birre locali, al fine di fornire a tutti gli appassionati:

una guida definitiva e completamente indipendente per comprendere e scoprire il cuore del movimento birrario artigianale degli Stati Uniti, oltre a una compagna ideale per ogni beer-lover che si trovi sulla West Coast o che sia alla ricerca di una birra americana nel Regno Unito

e ovviamente nel resto d’Europa, aggiungiamo noi. Una bella novità dal CAMRA, che certifica la sempre maggiore attenzione europea alla scena americana, nonché i numerosi punti di contatto tra i due mercati. A quando una Good Beer Guide sull’Italia?

Stout & Porter Fest a Roma

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locandina_080315.jpgSabato 15 marzo 2008 i Domozimurghi Romani, in collaborazione con il Ma che siete venuti a fa e il Bir & Fud di via Benedetta (Trastevere), organizzano un mini-festival di stout e porter artigianali da tutto il mondo. Appena due giorni prima della festa di San Patrizio, si potranno assaggiare per 12 ore consecutive tantissime interpretazioni di questi due stili anglosassoni, con prodotti provenienti da Scozia, Inghilterra, USA, Danimarca, Belgio e ovviamente Italia. Immancabile il “gemellaggio” con le partite del 6 Nazioni di rugby, che saranno trasmesse dal Ma che siete. Previsto un laboratorio degustativo nel pomeriggio, condotto da Luigi D’Amelio, in arte Schigi

La lista delle birre presenti durante la giornata è di assoluto rilievo, sia quantitativamente che qualitativamente:

"Birradio", primo podcast sulla birra artigianale

Oggi ha visto la luce la “puntata pilota” di Birradio, primo podcast italiano sulla birra fatta in casa e la birra artigianale in genere. Nata dall’intuizione di Tony Manzi, si tratta di una sorta di trasmissione radiofonica, della durata
complessiva di 49 minuti circa, in cui è possibile ascoltare interviste e servizi giornalistici riguardanti il tema dell’hombrewing e della cultura birraria.

Prestigiosi gli ospiti intervenuti nella puntata inaugurale, che rispondono ai nomi di Kuaska, Schigi e Leonardo Di Vincenzo (Birra del Borgo), nonché Mario Capuano (homebrewer del centro Italia). La trasmissione risulta molto godibile, evita i discorsi banali che una puntata introduttiva rischia di affrontare, mentre propone contenuti e opinioni piuttosto interessanti. Bella l’idea di legare tutti gli interventi a un filo conduttore comune, nella fattispecie “il luppolo”.

Birradio sarà un appuntamento perdiodico: l’obiettivo dell’ideatore è di pubblicare una puntata al mese. Si tratta di un bel progetto, anche per come è confezionato, che merita un futuro roseo. La speranza è che questo accada…

Nasce il Consorzio Birrai Italiani Riuniti

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Logo ConsobirAl recente Pianeta Birra è stata ufficializzata la creazione del primo consorzio di produttori artigianali italiani di birra, il CONSOBIR. Si tratta di un progetto assolutamente nuovo nel panorama brassicolo nazionale, che nasce dall’iniziativa di diversi birrifici nostrani, tra cui spiccano alcuni mostri sacri della scena nazionale, primo fra tutti Teo Musso di Baladin, portavoce del consorzio.

Gli obiettivi del progetto sono ben definiti e piuttosto ambiziosi. Innanzitutto il consorzio vuole promuovere un marchio di garanzia qualitativa per il prodotto artigianale. Secondo i dettami del Consorzio, una birra di qualità dovrà rispettare i seguenti criteri:

ITALIANA: il produttore deve essere italiano, le materie prime il più possibile italiane
GENUINA: la birra non deve contenere additivi chimici
CONTROLLATA: ci sarà un controllo sul prodotto con una frequenza importante e tale da garantire la qualità più alta possibile. Il concetto di qualità che porta avanti il Consorzio, non è da intendersi nel senso di gusto, bensì di parametri qualitativi
ARTIGIANALE: sarà compito dell’evoluzione del “capitolato” di ammissione a questo Consorzio, definirne al meglio i parametri
CRUDA: ovvero non pastorizzata, regola imprescindibile dal prodotto birra artigianale

Criteri che personalmente mi lasciano perplesso in alcuni passaggi. Il tentativo è evidentemente di differenziare il più possibile un prodotto artigianale da uno industriale, ma non riesco a comprendere la necessità della nazionalità italiana del birraio (Steve della White Dog quindi non produce birre di qualità?) o l’esclusione della pastorizzazione dal processo produttivo (a mio modo di vedere si tratta di una visione troppo “classica”). Interessante invece il punto sul controllo di qualità, che potrebbe aprire scenari inattesi per il mercato italiano, anche se è tutto da vedere come sarà attuato nella pratica.

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