Una decina di giorni fa abbiamo commentato i dati dell’Annual Report 2022, che ha fornito una fotografia della situazione (ottima) del mercato brassicolo in Italia. Il documento di Assobirra è di importanza fondamentale per capire le evoluzioni del settore, ma per vari motivi – l’impostazione dell’analisi, la natura dello studio, ecc. – si focalizza principalmente sulla birra industriale, nonostante preveda alcuni focus sui microbirrifici italiani. Per fortuna negli ultimi giorni sono uscite un paio di notizie che ci aiutano a integrare le informazioni riguardanti la birra artigianale, concentrandosi in particolare su due regioni italiane: Toscana e Lazio. Com’è facile immaginare, anche in questo caso le rilevazioni sono molto positive e confermano l’ottimo stato di salute del comparto, ormai entrato pienamente in una nuova fase, forse più matura, della sua storia.
Relativamente alla Toscana, i dati denotano un aumento degli addetti, dei birrifici agricoli e della richiesta di materie prime locali. Le conclusioni arrivano dall’Osservatorio Birre Artigianali Italiane (Obiart) con sede presso il Dipartimento di Agraria dell’Università di Firenze, importante realtà con cui Unionbirrai collabora da anni per le sue rilevazioni statistiche. Il caso della Toscana è molto interessante, perché se è vero che i dati sono in crescita in tutta Italia, nella regione la situazione è particolarmente rosea. Il periodo preso in esame copre gli ultimi otto anni (2015-2022) e innanzitutto dimostra come il numero delle unità produttive sia cresciuto sensibilmente, passando da 60 a 95, con un aumento vicino dunque al 50%. Gli addetti invece sono quasi raddoppiati – erano 124 nel 2015 a fronte dei 236 del 2022 – un dato che risulta ben superiore a quello italiano, comunque di tutto rispetto (+21%). Questa crescita è in parte giustificata dai nuovi birrifici che hanno aperto nel frattempo, ma soprattutto dall’evoluzione di quelli già in attività, interessati ad ampliare il numero dei propri dipendenti. Parliamo tuttavia di realtà ancora molto piccole, poiché la stragrande maggioranza (88%) non impiega più di 5 addetti.
L’elemento più rilevante è tuttavia l’imponente ascesa della birra agricola, quella cioè realizzata prevalentemente con materie prime coltivate dallo stesso birrificio. Se in otto anni il numero di produttori agricoli operanti in Italia è cresciuto del 233%, in Toscana questa voce statistica ha addirittura segnato un +333%. La ricerca sottolinea che nella regione gli opifici agricoli sono passati dagli 86 del 2015 ai 286 del 2022, ma presumibilmente questo dato si riferisce al panorama brassicolo nazionale e non a quello toscano, anche perché sarebbe incongruente rispetto alle rilevazioni illustrate poco sopra. Al di là di queste considerazioni, è importante sottolineare come l’approvvigionamento di ingredienti locali stia assumendo una dimensione impressionante nel nostro paese, riscrivendo il modo in cui i microbirrifici italiani approcciano la produzione. Secondo Unionbirrai, infatti, il 46% delle aziende produttive utilizza materie prime – orzo o luppolo – di provenienza locale, anche quando non godono dello status di birrificio agricolo. In altre parole c’è un interesse nell’impiego di materie prime di prossimità come non era mail accaduto prima nella storia della birra artigianale italiana. Lo studio però sottolinea che c’è ancora molto da fare per garantire la qualità degli ingredienti e questo sarà sicuramente l’aspetto su cui dovrà concentrarsi la filiera nei prossimi anni.
Anche il turismo birrario appare in una fase di grande sviluppo. In questi anni sempre più birrifici si sono organizzati per accogliere appassionati e curiosi, sia con visite agli impianti o ai luppoleti, sia con la disponibilità di una tap room attigua all’impianto produttivo, sia ancora con proposte di abbinamento dei propri prodotti con le specialità gastronomiche locali. Insomma, la situazione della birra artigianale in Toscana non solo è in ottima salute, ma dimostra di possedere ampi margini di crescita per il futuro. Una conclusione che, con le debite proporzioni, può essere estesa a tutta l’Italia.
Negli stessi giorni in cui usciva il comunicato stampa di Obiart, sull’edizione romana del Corriere della Sera veniva pubblicato un articolo a firma Mirko Giustini con alcune statistiche relative al mercato del Lazio. Con riferimento ai dati “dati pubblicati dall’associazione di categoria Assobirra e dall’osservatorio della Fondazione Birra Moretti” emerge che nella regione il settore è tornato ai livelli pre-Covid, con un giro d’affari da 1 miliardo di euro. Nel Lazio sono attive 60 tra piccole e grandi imprese, proprietarie di oltre 300 marchi autoctoni, che “sfidano le grandi etichette” industriali. Inutile sottolineare che il comparto è trainato da Roma, seconda città d’Italia dopo Milano per vendite di birra.
Proprio sulla situazione di Roma si concentrano alcune dichiarazioni di Vittorio Ferraris, presidente di Unionbirrai:
La Capitale chiude in positivo grazie alla sua originalità e nonostante l’inflazione. Gli aggravi sulle materie prime agricole sono ammortizzabili, mentre i costi per carta e vetro sono raddoppiati e le bollette quadruplicate.
Il pezzo poi evidenzia come una parte dei problemi recenti del settore possano essere superati con soluzioni legate alle fonti rinnovabili. È il caso ad esempio del birrificio Turbacci di Mentana (RM) – che nell’articolo diventa “Tobacci” (sigh) – dotato dal 2010 di un impianto fotovoltaico che gli ha permesso di attutire il recente rincaro dell’energia elettrica. Infine viene anche segnalata le possibilità inclusive legate alla produzione brassicola, citando l’esempio del birrificio Labarrato portato avanti da ragazze e ragazzi autistici.
Sebbene le due analisi derivino da studi molto diversi, ciò che le accomuna è la percezione di un settore che sta vivendo un momento straordinario, tanto a livello nazionale quanto locale. Una percezione che – e questo è l’aspetto più importante – è suffragata dai dati e non dalle sensazioni personali, accompagnate talvolta da numeri totalmente inventati. La nostra opinione è che, lungi da essere una bevanda modaiola come qualche anno fa, la birra artigianale è ancora in crescita. Una crescita meno appariscente rispetto al passato, ma più legata alle abitudini quotidiane di consumo. Speriamo di non sbagliare, ma gli studi sembrano proprio confermare questa visione.