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Ode alla normalità (perduta)

Si dice che sentiamo davvero la mancanza di qualcosa quando ci viene negata. Ciò è tanto più vero quanto quella cosa è legata alla quotidianità, e quindi percepita come scontata e normale. In queste ore ognuno di noi sta rinunciando a diverse cose. C’è chi non può vedere parenti stretti, chi deve rinunciare a svolgere il proprio lavoro, chi è chiamato a barcamenarsi tra smart working e gestione della famiglia. Poi ci sono rinunce che riguardano aspetti sicuramente più futili, ma non meno importanti: sono attività che fino a qualche giorno fa segnavano le nostre giornate e dalle quali improvvisamente dobbiamo astenerci. La semplice idea di uscire e andare a bere una birra, ad esempio, è al momento un impulso che siamo costretti a ricacciare indietro, in attesa di tempi migliori. Ed è proprio la rinuncia forzata a gesti elementari e acquisiti che sottolinea il livello di libertà di cui godiamo in condizioni normali. Una libertà tutt’altro che scontata e che dovremmo sempre considerare un dono prezioso.

Nella rapidissima evoluzione dell’emergenza Coronavirus c’è stato un momento – per la verità piuttosto breve – in cui nei locali italiani è stato vietato sedersi e sostare al bancone. Io al bancone ho dedicato il titolo della newsletter di Cronache di Birra, perché ritengo che quell’elemento all’interno di un pub sia il cuore della sua vita sociale. È lì che mi siedo tutte le volte che vado in birreria, perché mi riesce facile scambiare due chiacchiere con chi è dietro alle spine o, perché no, con chi mi siede accanto. In Italia sottostimiamo l’importanza di questo componente d’arredo, fondamentalmente perché non abbiamo mai sviluppato una vera cultura da pub. Ma in altre realtà è un “luogo” fondamentale, in cui si sviluppano importanti rapporti interpersonali. Avete mai fatto caso quante cose accadano ai banconi dei pub nei film e nelle serie TV? Dove si ritrova solitamente l’agente dell’FBI a parlare informalmente con il personaggio chiave della storia? Dove accadono i litigi peggiori e si svolgono le conversazioni più importanti?

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Prima ancora che fossero stabilite le attuali limitazioni alle attività di pub, birrerie e ristoranti, il bancone era già stato sacrificato in nome dell’emergenza nazionale. Che, dal mio punto di vista, significava aver imposto una drastica limitazione alla socialità delle persone. Una limitazione sacrosanta e doverosa, sia chiaro, in un momento in cui era fondamentale ridurre al mimino i contatti tra la popolazione. Ma è stato quel momento che per me ha segnato il punto di non ritorno nell’escalation che stiamo vivendo e che ora è chiara a (quasi) tutti a causa delle ultime decisioni assunte dal governo, ancora più stringenti rispetto a qualche giorno fa. E così gesti considerati assodati e inalienabili –  sedersi al bancone, bere una birra, brindare con gli amici – ora sono un ricordo lontano.

Ognuno di noi può rinunciare a tutto ciò senza troppe sofferenze, ma non è questo il punto. È il valore simbolico di questa rinuncia a dimostrarci quanto diamo per scontati molti gesti quotidiani, soprattutto quando sono legati allo svago e all’intrattenimento. Ma se vogliamo riportare il discorso a una dimensione meramente materiale, sì certo, posso fare a meno di andare al pub per un mese o più. Purtroppo però dall’altra parte della barricata c’è chi non può permettersi di mantenere le serrande abbassate troppo a lungo. Già negli scorsi giorni molti pub italiani avevano deciso di interrompere totalmente la propria attività, consigliati dall’andamento degli affari e soprattutto da un grande senso di responsabilità condiviso. Tuttavia dobbiamo ricordarci che l’intero settore sta patendo un momento di grande sofferenza, dal quale è giusto sperare che tutti escano indenni. Ci sono in ballo le imprese personali, gli stipendi dei dipendenti, la semplice possibilità di rialzare la saracinesca quando tutto questo sarà finito. Se le attività di somministrazione sono bloccate sono bloccati anche i canali di vendita dei birrifici, per non parlare del lavoro dei distributori. È una situazione critica, che il movimento sta affrontando con grande dignità. Bisogna stringere i denti (e la cinghia) e sperare che questo momento passi velocemente.

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Delle difficoltà che attagliano il comparto della birra artigianale ve ne accorgerete nei prossimi giorni leggendo Cronache di Birra. Venerdì scorso ho già rinunciato a scrivere dei prossimi eventi birrari, per motivi assolutamente ovvi. Ho ancora materiale per presentare alcune nuove birre italiane, ma chiaramente con i locali chiusi i birrifici eviteranno di lanciare sul mercato prodotti inediti. Scordatevi report di viaggi per qualche mese e vedrete che anche le notizie generali arriveranno con il contagocce. Magari pubblicherò qualche pezzo in più dedicato alla cultura birraria in generale: ecco, possiamo sfruttare il momento per approfondire alcune tematiche, pur restando chiusi dentro casa. Per il resto non rimane che fare buon viso a cattivo gioco e cercare di girare a nostro vantaggio i limiti imposti dall’emergenza Coronavirus.

Abbiamo rinunciato già a molte cose, forse a questo punto conviene rinunciare a quasi tutto, come sta suggerendo la Regione Lombardia proprio mentre scrivo. L’obiettivo infatti è uscire da questo periodo, che per alcuni è un vero e proprio incubo, nel più breve tempo possibile. Sicuramente non torneremo improvvisamente alla normalità, così come non è escluso che in futuro ci troveremo di nuovo in situazioni analoghe – purtroppo è una delle conseguenze del riscaldamento globale. Ma invertire la tendenza significherebbe dare ossigeno a tanti professionisti del settore. E uscire da questo momento ci spingerà magari ad apprezzare il valore delle piccole cose, come potersi recare al pub dopo lavoro, sedersi al bancone e gustare la birra appena ordinata, anche se ha qualche difetto, anche se non è proprio la birra più buona del mondo.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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3 Commenti

  1. Qualche birrificio effettua consegne a domicilio (per loro è consentito spostarsi essendo la consegna un motivo di lavoro). Non faccio nomi per non fare pubblicità ma suggerisco di investire il budget normalmente speso al pub in qualche cassa di bottiglie. Informatevi riguardo a birrifici/brewpub della vostra città. E’ un modo per sostenere il settore.

      • Risposta privata: se intendi fare dei nomi nel tuo articolo ti segnalo che qui a Pavia c’è il birrificio Bad Guy che fa la consegne porta a porta. Se invece tieni toni generici…come non detto, buona scrittura e non dimenticare gli homebrewer che costretti a casa rimpiangeranno di non avere decine di fermentatori per fare cotte in parallelo!

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