Se dobbiamo individuareĀ il sapore che ha caratterizzato la rivoluzione della birra artigianale, non possiamo esimerci dall’indicare l’amaro. Merito del luppolo, trascurato per anni dall’industria e diventato protagonista nelle produzioni di tanti microbirrifici, al punto da decretare il successo degli stili piĆ¹ amari, in primis quello delle India Pale Ale. Ora che su questo fronte ĆØ stato detto (e bevuto) di tutto, nell’ambiente si sta cercando di capire quale sarĆ il gusto che distinguerĆ i prossimi anni di birra artigianale. In molti indicano l’acido, teoria suffragata dalla riscoperta delle fermentazioni spontanee e dall’ascesa di Wild e Sour Ale e dell’uso delĀ legno. Ma se invece dell’acido il sapore del futuro fosse il salato?
Sebbene l’impiego di sale nel mondo della birra sia piĆ¹ unico che raro, negli ultimi tempi questo ingrediente ĆØ utilizzato con sempre maggiore frequenza dai birrifici di tutto il mondo. La conseguenza ĆØ che un gusto finora rimasto sconosciuto nel panorama organolettico delle birre – pur con alcune eccezioni – si sta facendo strada, offrendo a consumatori e appassionati qualcosa di nuovo e decisamente originale a livello gustativo. Insomma, sembrerebbe che l’assaggio della birra non debba piĆ¹ muoversi solo lungo l’alternanza dolce-amaro, con la presenza dell’acido in produzioni particolari. Il salato si candida realmente a nuova tendenza del settore.
Tutto probabilmente ĆØ cominciato con il rinnovato interesse per le Gose, le birre “salate” tipiche dell’area di Lipsia (ma originarie di Goslar). Come forse saprete, rappresentano uno degli stili birrari piĆ¹ insoliti in assoluto: sono birre di frumento, ma a differenza delle normali Weizen prevedono l’aggiunta di lattobacilli, coriandolo e, ovviamente, sale. Il risultato ĆØ quindi un mix imprevedibile: sono produzioni acidule, speziate e salate allo stesso tempo, che possono disorientareĀ piĆ¹ di un palato. Ma che proprio per questo motivo hanno cominciato a intrigare i birrai di tutto il mondo: in un post di due anni fa documentammo come questa tipologia fosse diventata uno stile in ascesa anche in Italia, con una serie di interpretazioni diverse concentrate in pochissimi mesi.
La rinascita delle Gose ha spinto i birrai a confrontarsi con un ingrediente inusuale per la produzione brassicola, ma molto comune in tutti i settori alimentari. Deve essere stata questa la molla che ha fatto scattare una certa attenzione nei confronti del sale, al punto che diversi birrifici hanno cominciato a utilizzarlo anche fuori dallo stile delle Gose. L’esempio piĆ¹ recente lo abbiamo avuto con l’ultima creazione di Birra dell’Eremo, che come vi ho raccontato la scorsa settimana puĆ² essere considerata unaĀ Pumpkin Ale “salata”: oltre alla zucca, la SalinzuccaĀ prevede infatti l’aggiunta di semi di zucca salati e fior di sale di Trapani.
Restando in Italia, qualche mese fa ĆØ stato invece Turbacci a lanciare una birra salata: la Victor ĆØ una Smoked Stout piuttosto robusta (7,5%), che come ingrediente specialeĀ contempla l’impiego di sale marino. E come non citare allora la recentissima Ciocch di Lambrate? Il produttore milanese ha realizzatoĀ questa bassa fermentazione (chiara) aggiungendo cacao e sale rosa dell’Himalaya. E anche L’Olmaia si ĆØ da poco iscritto a questo esclusivo club, con la sua Jardeko aromatizzata con sale di zenzero. Se considerate che tutte queste birre sono uscite negli ultimi tempi – e forse ne dimentico qualcuna – capite perchĆ© parlo di un trend in ascesa.
Un trend che ovviamente non ĆØ solo italiano. Risale a circa un anno fa questo articolo apparso sul sito californiano Bon AppĆ©tit e dedicato proprio al crescente uso di sale da parte dei birrifici artigianali. Gli esempi sono tantissimi: dalla Salted Belgian Chocolate Stout di New Belgium alla Snorkel di Jester King (brassata con ostriche, funghi e sale marino); dalla Mad Beer Salt di Mikkeller alla Salted Caramel Prim & Porter di Former Future (birrificio di Denver). Senza menzionare naturalmente tutte le varie Gose create da tanti giovani birrifici, interessati a recuperare le tradizioni brassicole europee e a giocare con ingredienti insoliti.
Ma perchĆ© un birraio dovrebbe aggiungere sale in uno stile che non ĆØ salato di definizione? Secondo l’articolo giĆ menzionato gli obiettivi sarebbero almeno tre: enfatizzare l’aroma di luppolo, ammorbidire gli spigoli gustativi e aumentare la profonditĆ organolettica. Phil Wymore, birraio di Perennial Artisanal Ales, ci tiene perĆ² a precisare che la birra non deve risultare salata, altrimenti significa che si ha esagerato con l’ingrediente: l’effetto finale dovrebbe sempre essere il bilanciamento tra tutte le componenti. E come linea guida per l’impiego di sale nella birra mi pare perfetto.
L’evoluzione della birra artigianale sta dunque portando alla ribalta un sapore che non ĆØ proprio della nostra bevanda. Ma le produzioni con un uso ragionato di sale risultano molto meno ostiche di quelle acide, che invece sonoĀ ardue da approcciare per i palati meno allenati (e non solo). Ć questo il motivo per cui il salato potrebbe scippare all’acido il titolo di “next big thing” del settore, ma per capire se questo accadrĆ realmente non resta che aspettare. E intanto bere.
Cosa ne pensate delle Gose e piĆ¹ in generale delle birre salate? Sapete qual ĆØ stata la prima birra italiana a usare sale (in particolare sale nero delle Hawaii)?
Nelle torte il sale per enfatizzare il sapore dolce ĆØ un must, quindi il suo ‘impiego in una birra anche dolce non ci vedo nulla di strano. Butto lƬ un quesito (premessa: sono un “semplice bevitore” che mai ha fatto hombrewing o prodotto nulla). Usare dal nero delle Hawai (Saltinmalto) o quello rosa dell’Himalaya (come ha fatto Lambrate) aggiunge davvero qualcosa a livello organolettico rispetto ad un uso di analoghe quantitĆ di sale comune ? Oppure, anche in ragione della quantitĆ limitata, l’ingrediente particolare non incide ed ĆØ solo una manovra commerciale finalizzata a generare impatto perchĆ© fa piĆ¹ figo dire “ho usato sale speciale” invece di affermare “ci ho buttato due etti di banalissimo sale marino” ?
Non sono la persona piĆ¹ adatta per rispondere alla tua domanda (sarebbe meglio un birraio), ma secondo me il tipo di sale, entro certi limiti, ha un impatto decisivo. Se non ricordo male la prima birra salata italiana (quella che cito nella domanda finale) fu in origine prodotta con sale nero delle Hawaii, salvo poi optare per quello di Cervia. Beh io la differenza la notai in maniera piuttosto netta.
Se non sbaglio la prima ĆØ la SALTINMALTO del BidĆ¹ assaggiata in un lontano Salone del Gusto ma non mi ricordo l’anno.
Bingo, complimenti! Credo fosse il 2009 o fine 2008. Siamo vecchietti š
Ma perchĆØ buttare qualche manciata di sale “ad minchiam” in stili che non lo prevedono? PerchĆØ bisogna per forza cavalcare una moda o tendenza? Credevo che il movimento artigianale italiano avesse raggiunto un minimo di maturitĆ , ma forse mi sbagliavo. Non si riesce proprio a resistere alla tentazione di adottare l’ingrediente “insolito”…
Michele se hai letto l’articolo non ĆØ solo un trend italiano (ammesso che possiamo definirlo un trend).
Ho letto, ho letto.
Ricordo che anni fa anche il Birrificio Prato Rosso produceva una birra con una nota salina ben presente ma equilibrata.. fu la mia scoperta del sale nella birra, gusto che francamente non ho piĆ¹ ricercato. Discorso diverso per il luppolo, il quale ritengo che sia stato poco utilizzato dall’industria, non tanto per questione di stile e gusti ma per un condizionamento economico. Il luppolo costa e quello di qualitĆ costa molto! Abbiamo giĆ visto come l’industria abbia interesse a piegare il gusto dei consumatori in base al vantaggio economico e figuriamoci per un prodotto di largo consumo come la birra. Dimostrazione ĆØ data dal fatto che certi stili (IPA, APA,..) sono emersi con lo sviluppo del settore artigianale … il quale ora (in modo un pĆ² inatteso) sta condizionado l’industria.