L’Italia non è certo un paese all’avanguardia per gli studi sulla birra, tuttavia può vantare un soggetto che rappresenta una felice eccezione: il CERB, ossia il Centro di ricerca per l’eccellenza della birra. Fondato nel 2003 e diretta emanazione dell’Università degli Studi di Perugia, promuove da sempre attività finalizzate alla ricerca, sperimentazione, analisi e formazione nel settore agroalimentare, con particolare riferimento alla birra e alle sue materie prime. A fine giugno è stato celebrato il suo ventennale con un grande convegno tenutosi presso la Scuola di Lingue Estere dell’Esercito italiano a Perugia, che ha sede all’interno del suggestivo complesso monumentale di Santa Giuliana. Hanno partecipato esponenti della politica (compreso il ministro Lollobrigida tramite un messaggio scritto) e i principali operatori del settore birrario nazionale: Assobirra, Unionbirrai, Consorzio Birra Italiana e diversi birrifici, oltre ad alcuni importanti ospiti internazionali. L’evento ha fornito l’occasione per ripercorrere i venti anni del prezioso lavoro del CERB, illustrati in primis dalla direttrice Ombretta Marconi, e per fare il punto sulla filiera italiana della bevanda.
Nonostante il CERB sia un’eccellenza in Italia, la sua attività è spesso sottovalutata dal settore birrario nazionale. Per capire il valore del lavoro svolto negli anni, basta snocciolare qualche numero: pubblicazione di 70 studi su riviste internazionali peer-reviewed, partecipazione in 20 progetti di ricerca, supporto a 54 tesi di laurea e 15 tesi di dottorato sulla birra, 1.100 studenti formati nei corsi di formazione professionale. Il CERB collabora all’organizzazione ed erogazione del master in Tecnologie Birrarie del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali (DSA3), unico in Italia organizzato da un’Università, che ha registrato 37 partecipanti dal 2011 ad oggi. Il Master è un percorso formativo annuale di 1.500 ore divise tra formazione in aula, stage formativo su aziende nazionali o internazionali e tesi finale. Il centro inoltre aderisce all’EBC (European Brewery Convention), una rete internazionale di laboratori che lavora nello sviluppo di metodi per le moderne procedure di controllo della qualità nei laboratori di produzione di birra, malto e luppolo in tutto il mondo.
Tuttavia il CERB non si occupa solo di formazione, ma anche di consulenza per birrifici e altri operatori del settore. Offre infatti servizi relativi alla progettazione di impianti di maltazione e produzione della birra; avviamento di impianti e problem solving per birrifici e malterie. Negli anni il personale del CERB ha messo a punto oltre 130 prototipi di birra per i birrifici e un numero ancora più elevato per le attività di ricerca. È importante ricordare che il centro è totalmente indipendente a livello economico: non usufruisce di contributi pubblici o di finanziamenti da parte di soggetti, bensì si sovvenziona in maniera autonoma tramite acquisizioni a gara di contratti di ricerca pubblici e in forza della sua attività privata di consulenza ed analisi.
Le attività del CERB sono indirizzate sia al segmento della birra artigianale che ai grandi marchi industriali. Ciò vale tanto per i servizi di consulenza, quanto per gli studi di ricerca. Nel corso del convegno per i 20 anni del CERB, ad esempio, è stata presentata un’interessante ricerca sulla sostenibilità – tema su cui il centro si sta concentrando molto negli ultimi tempi – realizzata da Giovanni De Francesco, ricercatore del DSA3 che fa parte anche del gruppo di ricerca del centro. L’analisi si è focalizzata su due argomenti: la riduzione del consumo di acqua nel processo di maltazione e il riutilizzo del luppolo esausto dopo il dry hopping. Di seguito riportiamo solamente i dettagli di questa seconda linea di ricerca, perché più vicina alle esigenze dei microbirrifici italiani – la prima invece può essere interessante per le malterie.
Nell’ottica di ridurre gli sprechi e attivare parzialmente un regime di economia circolare, Giovanni De Francesco ha voluto indagare i margini di riutilizzo del luppolo dopo il dry hopping. I risultati sono stati più che confortanti: le analisi hanno rivelato come il luppolo esausto avesse ancora il 73% degli alfa-acidi e l’81% del totale
degli oli rispetto al luppolo fresco. Nello specifico:
Lo studio ha previsto la produzione di una birra con luppolo fresco confrontata con una birra prodotta con luppolo esausto avente lo stesso amaro, in questo caso l’obiettivo target era di 0,67 g/l di α-acidi. Il luppolo recuperato dal dry-hopping, come atteso, aveva un’umidità dell’81%. Pertanto, per ottenere un amaro di circa 30 IBU sono stati aggiunti 0,71 g/l di luppolo fresco contro i 4,3 g/l di luppolo esausto ad inizio bollitura. Per valutare anche il potenziale aromatico, il luppolo è stato aggiunto anche in whirlpool. In tal caso il calcolo per l’aggiunta è stato fatto in base alla quantità di oli. 4 g/l di luppolo fresco ad inizio whirlpool contro i 24,5 g/l del luppolo esausto. Le birre ottenute hanno avuto lo stesso amaro (34 IBU). Gli altri parametri tecnologici come pH, colore, schiuma, alcol sono risultati uguali.
La ricerca non si è fermata ai semplici dati numerici, ma ha voluto indagare anche eventuali differenze in termini organolettici. Le birre prodotte con luppolo esausto sono state confrontate con le stesse ottenute con luppolo fresco e sottoposte “alla cieca” a un panel di assaggio composto da 35 degustatori. In un test triangolare, solo 13 di loro hanno individuato differenze tra le birre. Le conclusioni sono le seguenti:
Questo risultato mette in evidenza come l’analisi della composizione degli oli essenziali evidenzia solo in parte il profilo gusto-olfattivo di birre caratterizzate dal luppolo. Infatti, le birre sono risultate avere un profilo simile all’assaggio sebbene la birra con luppolo esausto abbia presentato un contenuto dimezzato di composti del luppolo (451 µg/l vs 243 µg/l). Da evidenziare, tuttavia, che due composti decisivi per il flavour delle birre caratterizzate dal luppolo, linalolo e β-citronellolo sono risultati ampiamente sopra la soglia di percezione in tutte e due i casi sperimentali. Il lavoro proseguirà con altre prove cercando di fornire uno strumento pratico ai birrifici per il riutilizzo.
Il riutilizzo del luppolo per il dry hopping è una delle tante soluzioni che un birrificio artigianale, nel suo piccolo, può mettere in pratica per ridurre gli sprechi. È una linea di ricerca che probabilmente necessita di ulteriori approfondimenti, ma è interessante sapere che simili analisi sono possibili grazie a un soggetto che da vent’anni lavora nell’ambito della ricerca sulla birra. È una risorsa importante, che i birrifici artigianali italiani dovrebbero tenere sempre in considerazione.