Nel 2015 accade un evento molto importante per il nostro movimento brassicolo: nella sua revisione delle Style Guidelines, il BJCP (Beer Judge Certification Program) citò le Italian Grape Ale, definendo il primo stile birrario di origine italiana. Fu un riconoscimento “parziale” – la categoria fu inserita nell’appendice B dedicata agli stili locali candidati a diventare ufficiali – ma tanto bastò per accendere i riflettori su una specialità che stava cominciando a diffondersi tra i birrifici italiani. A sua volta quella storica novità contribuì a fornire impulso alle Italian Grape Ale, che in pochi anni raggiunsero la tripla cifra e iniziarono a catturare l’attenzione degli osservatori internazionali. In questi anni lo stile ha assunto un’identità molto forte, sia in Italia che all’estero, tanto che il BJCP sembra pronto a “promuoverlo” nella prossima revisione del suo documento, attesa a breve. Tutto bene, dunque? Decisamente no, perché c’è il rischio concreto che le future Style Guidelines riportino la semplice dicitura “Grape Ale”, senza l’aggettivo “Italian”. Una scelta incomprensibile ed estremamente dannosa, per contrastare la quale è stata lanciata una petizione online.
Vale la pena sottolineare che il problema è stato sollevato da Gianriccardo Corbo. Per chi non lo conoscesse, Gianriccardo non è solo uno dei migliori degustatori che abbiamo in Italia, ma anche colui che più di tutti si è speso in prima persona per far accreditare le Italian Grape Ale nelle Style Guidelines del 2015. Il suo contributo è stato fondamentale per il riconoscimento del primo stile birrario legato al nostro paese, dunque la petizione in questione ha una valenza di primaria importanza. In un post su Facebook ha spiegato brevemente la situazione:
Da recenti discussioni col BJCP è emerso che ci sono probabilità che venga cambiato il nome delle “Italian Grape Ale” in “Grape Ale” per accogliere i desiderata e l’interesse di altri Paesi che producono birre con mosto d’uva con vitigni non italiani. Ho già esposto le mie ferme contestazioni al comitato delle linee guida agli stili del BJCP oltre che al presidente ma è importante che il movimento italiano esprima la sua contrarietà a questa ipotesi.
La volontà del BJCP è totalmente inspiegabile e va contro i criteri stessi delle Style Guidelines, dove abbondano i riferimenti alle nazioni di origine degli stili birrari. La motivazione alla base della decisione, cioè assecondare le richieste delle nazioni in cui si producono Italian Grape Ale con vitigni non italiani, è semplicemente inaccettabile. La birra è di per sé una bevanda libera, democratica, reinterpretabile all’infinito. I riferimenti geografici nei nomi degli stili birrari non indicano tanto la provenienza degli ingredienti, quanto un modo “locale” di intendere la bevanda. Le American Pale Ale non hanno perso l’aggettivo “American” solo perché qualcuno ha cominciato a brassarle con luppoli neozelandesi o giapponesi, o addirittura con Cascade coltivato in Europa. Con l’espressione American Pale Ale si intende una birra con precise caratteristiche, non riconducibili esclusivamente all’origine delle sue materie prime.
Esistono tantissimi esempi di stili che sono stati reinterpretati in tutto il mondo con ingredienti di provenienza diversa rispetto al modello iniziale, ma non per questo hanno perso il loro riferimento geografico. Quante Munich Helles vengono prodotte senza utilizzare materie prime bavaresi? Perché le linee guida degli American Barleywine prevedono l’uso di qualsiasi varietà di luppolo e non solo di quelle statunitensi? Cosa spinge a definire una birra Flanders Red Ale anche se è prodotta con ingredienti non provenienti dalle Fiandre? E potremmo continuare con domande del genere per ore. Fino a oggi il BJCP ha lavorato al contrario: non ha mai eliminato il riferimento geografico d’origine di uno stile, semmai ha aggiunto denominazioni locali in caso di reinterpretazioni consolidatesi nel tempo, come accaduto per tanti stili nati nel Regno Unito (English e American IPA, English, American e Baltic Porter, ecc.). Perché solo con le Italian Grape Ale sta pensando di agire in maniera inversa?
Il percorso che il BJCP ha intenzione di intraprende in questo caso è molto strano. Non vogliamo avanzare ipotesi di gelosia – chiamiamola così – nei confronti di una scena brassicola giovane ed emergente come quella italiana, perché suonerebbe vagamente vittimista. Dunque alla base ci deve essere sicuramente un errore di valutazione, una leggerezza, un refuso. Un errore che sarà corretto in corso d’opera, prima della pubblicazione delle nuove Style Guidelines. In caso contrario sarebbe davvero incredibile che il BJCP si assuma la responsabilità di cancellare il legame dello stile con la nazione che più di altre vi ha puntato nell’ultimo decennio: senza l’opera portata avanti dai birrifici italiani non esisterebbero i presupposti per codificare una specialità che segna l’incontro tra la birra e il vino. Vino che è profondamente radicato nella nostra cultura e che dunque rafforza il ruolo dell’Italia come nazione di riferimento per le Grape Ale.
Abbiamo contattato Gianriccardo Corbo per chiedere se volesse aggiungere qualcosa a quanto già dichiarato su Facebook e nelle motivazioni alla base della petizione online. Di seguito le sue dichiarazioni:
A prescindere da ciò che il BJCP deciderà , il movimento birrario italiano continuerà a chiamare questo stile Italian Grape Ale. Ma è pur vero che il riconoscimento pieno del nostro stile da parte del BJCP contribuirebbe a diffondere la cultura birraria italiana all’estero e soprattutto a rendere noto agli appassionati di tutto il mondo che questo stile è nato in Italia, il posto più ovvio dove potesse nascere. Raccogliere un elevato numero di firme con questa petizione significa dimostrare che la IGA è ormai parte della cultura birraria italiana popolare e non più dei soli addetti ai lavori.
Personalmente ho sempre sostenuto le Italian Grape Ale come espressione del nostro comparto della birra artigianale. Uno stile che, al pari del movimento brassicolo da cui trae origine, è estremamente legato al territorio e contraddistinto da estro e fantasia, come ebbi modo di raccontare a una platea internazionale durante il BrauBeviale del 2019. E che inoltre vede Cronache di Birra tra i promotori del progetto dedicato alle Italian Grape Ale, presentato con un evento ad hoc durante la recente Italy Beer Week.
Come appassionati di birra non possiamo accettare che il BJCP cancelli il riferimento all’Italia nella prossima revisione delle Style Guidelines. Sarebbe un affronto per un intero movimento brassicolo, uno spregio nei confronti del lavoro compiuto da tanti birrai italiani, ma soprattutto un tradimento al primo obiettivo dello stesso BJCP, cioè “incoraggiare la consapevolezza, la comprensione e il riconoscimento della diversità della cultura brassicola mondiale”. Il merito da ascrivere alle Style Guidelines è la loro grande capacità di sottolineare il valore storico di ogni stile, un elemento che va ben oltre lo scopo primario del documento – fornire linee guida per i concorsi birrari. Sarebbe imbarazzante se tale pregio venisse disperso per una cieca presa di posizione contro le Italian Grape Ale.
Se concordate con quanto espresso vi invitiamo a sottoscrivere la petizione e a condividerla con quanti potrebbero essere interessati a fare lo stesso.
Mi sa che la pandemia ha fatto male al cervello di qualche giudice-redattore.
Snaturano il concetto stesso di stili autoctoni che poi si diffondo per il mondo. Come fai notare tu.
Delegittima il senso del prontuario. Allora famo ognuno come je va e ogni nazione ha le italian pale ale (tristemente già visto nella gdo), le american kolsch, le french bock… belgian sahti. Folle!!! C’è un limite a tutti.
Mò chiamo Giggino Di Maio e ci pensa lui 😀
Non è il BJCP a definire gli stili e nemmeno ad elencarli. Il BJCP è solo una raccolta di categorie birrarie, valide per appunto categorizzare le birre nei concorsi. Questo scrivono gli autori stessi nella prefazione del documento. Quindi non può definire cosa è stile e cosa non lo è e nemmeno decidere il nome di uno stile. Questo è unicamente compito della storia. Oltretutto le IGA non sono uno stile, ma invece una categoria e la storia già sa che sono nate in Italia. Pertanto non me ne preoccuperei più di tanto. Ovviamente se un birrificio decide di produrre una Ale con mosto di vino non Italiano, non può essere definita Italian, ma non essendo stile, non viola nessuna definizione tipologica. A mio parere l’allarmismo è generato solo dalla confusione che circola in merito a questa categoria birraria. Davvero preferireste che un birrificio ad esempio Francese facesse una Ale al mosto di Bordeaux definendola Italian?
Ah, nel frattempo proporrei di togliere dal BJCP le American Brown Ale, le American Pale Ale, le American Ipa, etc. E forse le belgian pale ale, le irish stout, le german pils…
Il punto è che il BJCP non definisce ne stili, ne provenienze. L’Italian grape Ale è una cosa, un grape Ale è un’altra cosa. Così come American Pale Ale e Pale Ale Inglesi sono cose diverse. Noi Italiani siamo i primi a pretendere di fare Belgian Pale Ale con malti e luppoli Italiani. Esattamente come scrivi tu, ognuno fa già come je va. Ci sono enti preposti a definire cosa siano gli stili e il BJCP non è uno di questi. Sarebbe molto peggio se qualsiasi grape Ale venisse automaticamente definita Italian, anche se fatta con mosto di vino Cileno.
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