Sabato scorso è apparso su Il Fatto Quotidiano un interessante pezzo a firma Davide Berselli, nel quale si analizza l’ultima trovata di Grimbergen. È infatti notizia recente che i frati dell’omonima abbazia, situata nella regione belga del Brabante, abbiano intenzione di riprendere l’attività brassicola e di recuperare una loro antichissima ricetta. Grimbergen è in effetti un marchio regolarmente presente sul mercato, ma attualmente di proprietà delle multinazionali Heineken e Carlsberg come conseguenza di accordi e passaggi di mano cominciati sin dal 1958. In realtà occorre tornare ai tempi della Rivoluzione Francese per risalire all’ultima testimonianza di produzione birraria all’interno dell’abbazia: la ricetta originale della birra, ormai andata perduta, affonda le radici in un passato molto lontano. Ma quanto è vera questa storia? Non potrebbe essere l’ennesima strategia di marketing dell’industria, analoga a quelle di tanti altri marchi?
Sono queste le domande sostanziali che si è posto Berselli nel suo articolo, le stesse che probabilmente avranno formulato tutti coloro che hanno letto la notizia di Grimbergen. Come spiega l’autore, infatti, sono diversi i dettagli che non tornano. Innanzitutto le motivazioni che hanno spinto i religiosi a riprendere l’attività brassicola: il pretesto nasce dalla delusione che mostrano i turisti quando visitano il monastero e scoprono che all’interno non viene prodotta alcuna birra. Una spiegazione molto debole, non certo capace di giustificare la progettazione di un intero birrificio a carico della comunità dei religiosi. Come riuscire poi a far convivere il nome dell’abbazia con il marchio Grimbergen, attualmente di proprietà delle due multinazionali? Le conclusioni a cui arriva Berselli sono le stesse che potrebbe insinuare qualsiasi osservatore un minimo smaliziato: tutta la vicenda potrebbe rivelarsi una semplice operazione commerciale da parte di Carlsberg e Heineken.
Pensateci bene: la storiella della ricetta perduta, che i frati dovranno riscoprire consultando 35.000 tomi e pergamene in fiammingo antico, è un perfetto strumento di marketing. Già immagino i canali social dell’industria che seguono passo dopo passo il lavoro dei monaci, la loro opera di recupero tra volumi ingialliti e polverosi, fino al traguardo finale: la messa appunto della loro nuova birra, creata sulle caratteristiche di quella che veniva prodotta in loco prima della Rivoluzione Francese. E nel frattempo le aspettative che crescono, la notizia che viene condivisa dagli utenti e l’attesa che raggiunge livelli altissimi proprio a ridosso del lancio sul mercato. Una perfetta impalcatura per una campagna virale di successo.
Certo, queste sono solo illazioni, eppure non sono pochi gli indizi che ci spingono a credere che la notizia di Grimbergen non sia altro che un esercizio retorico finalizzato al lancio di un nuovo prodotto crafty dell’industria. Ed è proprio il legame con le tradizioni e con un modo antico di fare birra che le multinazionali stanno sfruttando in questo momento. Meglio ancora se sono coinvolti i monaci: l’idea che i frati si occupino dell’attività brassicola è una suggestione che fa sempre colpo nel pubblico generalista. Anche quando non è vero, come nel controverso caso dello spot televisivo di Leffe, con Alessandro Borghese che fa visita a dei religiosi che probabilmente neanche sanno che forma ha un fermentatore.
Gli esempi della nuova (vecchia?) strategia comunicativa dell’industria non si esauriscono certo con Grimbergen e Leffe. Ricordate la storia dell’H41 di Heineken? Un paio di anni fa la multinazionale olandese lanciò sul mercato questo particolare prodotto, caratterizzato da un lievito insolito: un rarissimo ceppo rinvenuto in Patagonia, capace di conferire alla birra “un gusto pieno e rotondo, con note speziate bilanciate da leggeri sentori fruttati”. In quel caso non c’erano frati di mezzo, ma troviamo alcuni concetti in comune con quelli appena illustrati: una storia di ricerca in un contesto distante dal nostro – qui dal punto di vista spaziale, per Grimbergen temporale – e un modo di fare birra diverso dal solito, legato a una concezione “ancestrale”. All’epoca l’H41 fu lanciata con un grande spiegamento di forze, ma a distanza di due anni è difficile capire se abbia fatto breccia tra i consumatori.
Tuttavia non occorre fare un salto indietro di due anni per trovare altri esempi del genere. Un paio di settimane fa Budweiser ha annunciato per il prossimo settembre l’uscita di una nuova birra, battezzata Freedom Reserve Red Lager e ideata sulla ricetta personale di George Washington. È infatti risaputo che il primo Presidente degli Stati Uniti era un homebrewer: quale migliore opportunità per imbastire una trama da dare in pasto al pubblico e capace di sostenere il lancio di un nuovo prodotto? Secondo Budweiser la birra di Washington era molto leggera, realizzata con l’aggiunta di melassa e caratterizzata da un breve periodo di fermentazione. La versione incarnata dalla Freedom Reserve Red Lager sarà diversa: più alcolica (5,4%) e con una percentuale di malto tostato per restituire il gusto caramellato della ricetta originale. Ma nonostante le differenze, permetterà ai consumatori di assaggiare un prodotto diverso dal solito e scaturito da una ricerca che guarda al passato – o almeno questo è il messaggio che vorrebbe veicolare Budweiser.
Quindi se sei un’industria e hai in mente di lanciare un nuovo prodotto sul mercato, ti basta guardare al passato e inventarti qualche storiella interessante, infilandoci dei religiosi o quantomeno l’idea del recupero di antiche tradizioni. E se proprio non ti viene in mente nulla, puoi sempre scegliere la via intrapresa recentemente da Nastro Azzurro per la sua nuova Prime Brew. Parliamo di una Premium Lager non filtrata realizzata al “grado primitivo di fermentazione”. Cosa significa? A distanza di giorni ancora non è chiaro: presumibilmente non si ricorre alla tecnica dell’high gravity, ma in realtà la stessa azienda non esclude diluizioni. In compenso però anche qui non manca una bella narrazione, a tratti esilarante. Ecco cosa si può leggere sul sito di Nastro Azzurro:
Nastro Azzurro Prime Brew nasce dal talento di un giovane mastro birraio che ha avuto l’intuizione di interrompere il processo produttivo nel momento in cui la birra raggiunge il suo gusto più intenso. Il risultato è una Lager speciale, non filtrata, prodotta al grado primitivo di fermentazione. Una nuova esperienza di gusto, direttamente dal birrificio.
Ringraziamo il giovane mastro birraio per la sua intuizione e attendiamo la prossima favoletta della multinazionale di turno…
Belle analisi di strategie pubblicitarie…. ma non rischia il mondo dell’artigianale di passare per eccessivamente esoso vista la “ricerca” che stanno facendo le varie aziende per fare un prodotto più “buono” e quindi che, per la percezione del consumatore generalista, sia altrettanto valido di un’artigianale ma meno costoso?
Quante persone possono capire la differenza?
Le acque diventano sempre più torbide.
Esatto, per questo occorre spiegare bene le differenze tra i due mondi. Ad esempio dietro un’attività di ricerca può esserci – che so – un’autentica passione per un antico stile birrario o solo il desiderio di creare una narrazione per vendere. Chiaramente le due strategie non sono appannaggio solo di una o l’altra “famiglia”
Mi trovi d’accordo, ma il mondo artigianale mi sembra un po’ timido rispetto all’aggressività del mondo industriale. Chessò, una pubblicità altrettanto aggressiva su tv o altri media per contrastare queste campagne di disinformazione oppure è veramente difficile anche per gli operatori del settore trattate con il pubblico. Ci vogliono investimenti in capitale per diminuire la credibilità di queste multinazionali.
O si allarga seriamente la base di persone informate o nell’acqua torbida ci si affoga un po’ tutti.
L’unico soggetto che potrebbe farsi portavoce di una campagna simile è Unionbirrai, ma direi che siamo distanti anni luce dal momento in cui l’associazione avrà le risorse per una cosa del genere
Esilarante la “supercazzola” di Nastro Azzurro!
Ma quale supercazzola?? Torna tutto invece: se interrompi “al grado primitivo” la fermentazione di una lager, effettivamente la birra “raggiunge il suo gusto più intenso”…di diacetile!
“Una nuova esperienza di gusto”…burroso.
Geniali, siete voi che non capite nulla di strategie pubblicitarie.
Questa articolo me ne ricorda un altro, di parecchio tempo fa, dove si diceva che il birraio, del birrificio in questione, si alzava presto la mattina per andare nei boschi circostanti a raccogliere le erbe con le quali aromatizzava le proprie birre. In pieno stile Panoramix. Fino che ci saranno creduloni ci saranno panzane.