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Altro che indipendenza: ecco i veri dettagli dell’accordo tra Ducato e Duvel

Che un birrificio artigianale venda all’industria è un fatto comprensibile, per molti versi anche accettabile. Ciò che è molto meno accettabile è che un’operazione del genere venga tenuta nascosta a tutto il movimento – dunque anche a clienti e fornitori – e che si accompagni a una serie di affermazioni ingannevoli. È quanto accaduto con la vicenda riguardante il Birrificio del Ducato, che qualche giorno fa ha ufficializzato, con estremo ritardo, l’accordo raggiunto con Duvel. Un accordo che secondo le dichiarazioni del produttore emiliano avrebbe dovuto prevedere esclusivamente la cessione del 35% delle quote societarie, così da lasciare il controllo aziendale nelle mani della vecchia proprietà (il duo Giovanni Campari – Manuel Piccoli). Un concetto che il Ducato ha mostrato di avere ansia di ribadire a più riprese nel suo comunicato, tanto da esprimerlo con alcuni passaggi scritti a lettere maiuscole. Ma al di là della maldestra scelta stilistica, c’è un problema ben più grave: quanto affermato dall’azienda non risponde a verità. E possiamo dimostrarlo.

La storia che l’ingresso di Duvel in società non avrebbe portato cambiamenti aveva lasciato diffidenti molti, tra cui il sottoscritto. Per quanto mi riguarda questo scetticismo era suffragato da un’informazione ricevuta per via traverse: la partnership con Duvel non si sarebbe limitata alla cessione del 35% delle quote, ma avrebbe previsto una sorta di opzione sull’acquisto del resto del Birrificio del Ducato. Un “dettaglio” che cambia totalmente il senso dell’operazione, ma che Giovanni Campari si è subito affrettato a smentire definendo certe voci pure illazioni. Peccato che siano disponibili dei documenti che mostrano una realtà ben diversa da quella sostenuta dal fondatore dell’azienda emiliana.

L’atto fondamentale in questo senso è lo statuto della società Gruppo Italy srl, detenuta dalla holding Ducato srl e finalizzata alla produzione di birra. Per quanto sia pubblico, non posso riportare estratti dell’atto, ma posso raccontarvi come stanno le cose e se proprio volete verificare di persona, vi basterà investire 10 euro e scaricare tutta la documentazione dal sito Registro Imprese della Camera di Commercio. Lo statuto in questione è insolitamente dettagliato (consta di una ventina di pagine) e analizzandolo nel dettaglio si possono trarre due conclusioni: una sicurezza, riguardante il concetto di indipendenza, e una ragionevole presunzione, riguardante la posizione che Duvel potrà assumere nei prossimi anni in seno al Birrificio del Ducato. Andiamo con ordine.

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La sicurezza: il controllo dell’azienda non è affatto in mano alla vecchia proprietà

Nel comunicato ufficiale pubblicato negli scorsi giorni, Campari e Piccoli hanno rivendicato il pieno controllo in ogni aspetto aziendale e produttivo, facendo riferimento alle quote in loro possesso: poiché Duvel ha in mano solo il 35% del Ducato, si trova in una posizione di subordinazione. Di logica non fa una piega, ma il problema è che possono esistere degli accordi, indicati nello statuto, che cambiano completamente le carte in tavola. Ed è proprio ciò che troviamo nel nuovo statuto di Gruppo Italy, dove viene assegnato a Duvel un diritto di veto su un’infinità di materie. Il comma 6 dell’articolo 24 afferma infatti che per tantissime questioni qualsivoglia delibera può essere adottata solo con il voto favorevole di un consigliere designato dal socio Duvel. Considerate che al momento i consiglieri sono tre: Giovanni Campari, Manuel Piccoli e, per Duvel, Michel Luc Moortgat. Capite cosa significa? Che se l’unico consigliere di Duvel non è d’accordo, Campari e Piccoli non sono liberi di prendere alcuna decisione. Altro che indipendenza e pieno controllo!

Come accennato, le materie sulle quali insiste il detto comma sono tantissime e solo apparentemente lontane dalla stretta attività brassicola. Ad esempio il veto può essere esercitato sull’approvazione e la modifica del budget, sull’interruzione di operazioni commerciali rilevanti, su proposte di fusioni o variazioni del capitale sociale, sulle nomine dei dirigenti e su spese non incluse nel budget e superiori a 30.000 euro. Sono quasi tutti temi economici e finanziari, ma è chiaro che possono avere ripercussioni reali su ciò che succede in sala cotte. Pensiamo soltanto alle spese programmate per le materie prime: in linea di massima Duvel potrebbe imporre di acquistarle presso fornitori più economici, portando l’attenzione per la qualità in secondo piano. Sia chiaro, è solo un’ipotesi, ma del tutto verosimile per come è stato redatto lo statuto. Ciò che è importante è che Duvel, nonostante possegga solo il 35% delle quote, ha un potere decisionale molto superiore a quello che i numeri sembrano suggerire.

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La ragionevole presunzione: Duvel è interessata ad aumentare in futuro le sue quote nel Birrificio del Ducato

Dallo statuto non emerge alcun esplicito piano da parte di Duvel per assumere il pieno controllo dei Ducato nei prossimi anni, eppure ci sono degli indizi che suggeriscono proprio questa evoluzione. Il primo arriva dalla composizione del consiglio di amministrazione (articolo 23), che è disciplinato dallo statuto esclusivamente in base alle quote che può detenere Duvel. Come abbiamo detto al momento consta di tre consiglieri (di cui uno di Duvel), ma nel momento in cui l’industria belga dovesse possedere il 50% dell’azienda, allora il numero dei consiglieri cambierebbe: diventerebbero cinque, di cui tre nominati da Duvel. Questo passaggio conferma quanto la vecchia proprietà sia ben lontana dall’avere il controllo del Birrificio del Ducato, ma c’è dell’altro. Lo statuto infatti disciplina anche la situazione in cui Duvel possegga il 70% delle quote: in quel caso la società belga potrebbe decidere liberamente il numero dei consiglieri e solo uno di loro sarebbe nominato dal Ducato. Il punto da tenere a mente non è tanto lo squilibrio previsto a favore di Duvel, quanto che lo statuto disciplini già in partenza fattispecie del genere. È insolito e palesa l’interesse di Duvel nell’aumentare le proprie quote in Ducato negli anni a venire.

Un secondo indizio arriva dal diritto di trascinamento, cioè la possibilità per (in questo caso) il socio di maggioranza di “trascinare” quello di minoranza in un’operazione negoziale. Con questa clausola, il beneficiario può ad esempio decidere di vendere le totalità delle quote dell’azienda, anche se una percentuale delle stesse sono di proprietà di un altro socio. Ebbene il comma 1 dell’articolo 11 dello statuto di Gruppo Italy afferma che Duvel potrebbe godere del diritto di trascinamento nel caso in cui possegga una partecipazione superiore al 70% delle quote. Ecco che torna quella percentuale già incontrata in precedenza e che viene confermato lo squilibrio a favore di Duvel.

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Infine il comma 6 dell’articolo 9 afferma che il socio Ducato non potrà trasferire a terzi la sua quota in Gruppo Italy fino al 31 agosto 2022.

Ciò che emerge da questi tre articoli è dunque una possibile evoluzione dell’accordo tra Duvel e Ducato. Sebbene non ci siano riferimenti diretti a una futura scalata di Duvel nella società, lo statuto è costruito proprio prevedendo una simile eventualità. Parlare di “semplici illazioni” è quindi riduttivo e superficiale, nonché quasi offensivo per l’intelligenza altrui.

Conclusioni

Spulciando lo statuto di Gruppo Italy è impossibile non giungere alla conclusione che la realtà è ben diversa da quella sostenuta da Campari e Piccoli. Contrariamente a quanto la ripartizione numerica delle quote può suggerire, la loro posizione nell’accordo con Duvel ne esce decisamente indebolita, mentre è ragionevolmente ipotizzabile che l’industria belga aumenterà il proprio controllo societario nei prossimi anni. Per come è redatto, lo statuto mostra un reale interesse di Duvel in questo senso. Alla luce di simili considerazioni, il comunicato pubblicato giorni fa dalla vecchia proprietà (nonché le dichiarazioni che ne sono seguite) può essere sconfessato in più punti. Ciò è molto grave, soprattutto in un periodo in cui il segmento artigianale sta cercando di dare valore al concetto di indipendenza.

Al “trauma” per la perdita del Ducato come birrificio artigianale, si aggiunge quindi la beffa per il modo incomprensibile con cui l’azienda ha gestito la comunicazione. Il primo errore, imperdonabile, è stato di rendere pubblica l’operazione solo a distanza di mesi (l’accordo risale a inizio dicembre 2016), nascondendo quanto era già avvenuto a clienti, fornitori, collaboratori e consumatori. Una presa in giro a tutti gli effetti, di cui nessuno sentiva la necessità. Nonostante avesse da tempo raggiunto l’accordo con un’industria del settore, il Ducato ha nascosto la verità e continuato bellamente a lavorare con distributori, locali ed eventi che fanno dei loro rapporti con i birrifici indipendenti il proprio fiore all’occhiello. Prendendosi gioco di tutti loro e in ultima istanza dei consumatori, che come al solito sono vittime di qualsiasi comunicazione falsa o elusiva.

Ma evidentemente aver nascosto l’operazione non è bastato, se poi al momento del comunicato ufficiale la stessa è stata dipinta in modo completamente diverso dalla realtà. Sono state definite illazioni delle considerazioni assolutamente legittime, è stata sbandierata un’autonomia decisionale che non esiste, sono stati tralasciati dettagli fondamentali dell’accordo con Duvel. Tutto per cosa? Per difendere una sorta di verginità ormai perduta? Per tenersi buoni degli interlocutori che ora ribollono di rabbia per il modo in cui sono stati trattati? Mi meraviglio che Duvel abbia dato il beneplacito a una strategia del genere, considerando che mai era successo in precedenza con le altre acquisizioni effettuate dalla società belga.

Lo ribadisco, come ho già fatto in passato. Perdere dei pezzi pregiati del movimento della birra artigianale è doloroso, ma ci può stare. Che un microbirrificio diventi grande e venda all’industria è una delle opzioni possibili e nessuno critica certe decisioni: sfido chiunque a compiere scelte diverse davanti a cifre a sei o sette zeri. Però ragazzi deve finire lì: portatevi a casa un contratto che vi farà vivere tranquilli per tanto tempo e stop. Non cercate di difendere un’innocenza che ormai avete perso, è inutile e pacchiano. Non cercate di rincorrere la parola “artigianale” se ormai la legge afferma che non vi spetta più. Ma soprattutto, non nascondete a tutto il movimento – a pub, distributori, operatori, appassionati e specialmente consumatori – gli accordi presi con l’industria e i dettagli degli stessi. È una mossa stupida, destinata a ritorcervisi contro e che vi espone a magre figure.

L’unico aspetto positivo, per quel che può valere, è che non ci sono più dubbi – se mai ci fossero stati – sullo status del Birrificio del Ducato. La sua non è più birra artigianale ormai da diversi mesi. Teniamolo bene a mente e andiamo avanti.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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10 Commenti

  1. Dicevo, nei miei commenti al tuo articolo precedente sull’argomento, che a mio parere la cosa veramente importante è la trasparenza. Ecco appunto… benissimo Ducato … benissimo … sentitissimi complimenti 🙁

  2. Sento una rabbia e un dispiacere molto forte in questo tuo articolo..ma ti capisco e lo condivido in pieno.
    Un birrificio così,come il Ducato intendo,non può più rappresentare la scena brassicola artigianale italiana e se ne esce anche con una figura molto poco rispettosa. Peccato..

  3. la cosa che mi da più fastidio è essere preso in giro…..uno può fare quello che vuole, basta comunicarlo con sincerità…pecccato, proprio un passo falso. grazie Andrea per informazione

  4. Venerdì, sabato e domenica è andato in scena a Salsomaggiore Terme, a pochi chilometri da Roncole Verdi, “bevi birra”, un festival dedicato alla birra “artigianale” al quale presenziava, con tanto di pubblicità sulle locandine, il birrificio del Ducato. Qualcuno è stato preso in giro?!?!?

  5. a mio personalissimo giudizio è andata meglio al Ducato che a BdB… si può dire di tutto ma i morgaart sono gente seria (e per anni hanno mantenuto vivi vari stili quasi in solitudine…). Le birre che hanno comprato non le hanno massacrate ma secondo me rese più accessibili (e mantenendo chicche di altissimo livello a livello buono). Il Ducato dopo grossi investimenti fatti si è evidentemente trovato in acque non tranquille… a dimostrazione che senza un progetto distributivo c’è poca speranza di sopravvivenza nel breve/medio periodo per molti/tutti i produttori.
    La realtà è ahime questa.. e quando si rischia di perdere tutto un cavaliere bianco (che è agli occhi di molti un po’ grigio se non nero) è l’unica cosa che resta… e poi si giudicheranno le birre che faranno: se buone bene, se cattive amen.

    • Tra le industrie che potevano acquistare il Birrificio del Ducato, Duvel era sicuramente tra le migliori possibili sul mercato. Sono d’accordo.

  6. Bravo Andrea, questo è giornalismo d’inchiesta! 🙂 Aspettiamo una presa di posizione forte di UB, ad esempio pubblicando una lista dei birrifici che sono usciti dal craft (secondo la definizione di legge) come si fa negli USA. Con una lista chiara e pubblica, chiunque si dovesse trovare in qualunque evento (fiera, festival, serata con il birraio etc.) dove comparisse un “fuori lista” associato alla parola artigianale potrà fare una segnalazione e screditare finalmente questi comportamenti “tossici” per la categoria.

  7. Io spero una cosa sola, se posso dire la mia: spero che Duvel abbassi i prezzi “folli” di Martini & Co. Chiedere 11 e passa Euro (ma ho visto anche € 18,00=) per una da 33cl. è pazzia pura che mia capita di fare una volta all’anno e stop.
    Hai visto mai che inizierò a berla più spesso, anche se non mi ha quasi mai entusiasmato?

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