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Birra industriale spacciata per artigianale: come si giustifica il sequestro?

Nella giornata di ieri l’ambiente italiano della birra è stato sconvolto – beh sconvolto, diciamo che per 10 secondi abbiamo staccato le nostre labbra dal bicchiere 🙂 – dalla notizia del sequestro da parte della Forestale di un milione di bottiglie di birra industriale spacciata per artigianale. Avete capito bene: alla base della frode contestata ci sarebbe la presenza in etichetta dell’espressione “birra artigianale” per produzioni che non sono ascrivibili a questa tipologia. Il problema è che in Italia non esiste alcuna definizione di birra artigianale, dunque è naturale domandarsi come possa giustificarsi il sequestro. È chiaro che con premesse del genere la vicenda abbia sollevato in un istante dubbi e quesiti, a cui cercheremo di dare qualche risposta per limitare la confusione.

A coloro che hanno una buona memoria l’episodio ha ricordato quanto successe ad Almond ’22 del 2011. All’epoca il microbirrificio abruzzese fu multato proprio perché sulle sue etichette aveva scritto “birra artigianale” in mancanza di un’appropriata denominazione merceologica – quelle ammesse in italia sono “birra”, “birra speciale”, “birra doppio malto”, ecc. Se il criterio che ha portato al sequestro in questione fosse lo stesso, non c’entrerebbe nulla la dicotomia tra birra artigianale e industriale. È quindi semplicemente uno stratagemma del giornalista per rendere più interessante la notizia? Direi proprio di no. Le dichiarazioni della Forestale confermano invece quanto espresso in partenza:

I prodotti commercializzati sono genuini e non pericolosi e la grande distribuzione non è coinvolta in alcun modo nella frode. La condotta dei produttori e dei confezionatori delle etichette, non solo configura pubblicità ingannevole e concorrenza sleale, ma integra il reato di frode nell’esercizio del commercio, che prevede la pena della reclusione o della multa per chi consegna all’acquirente una cosa per origine, provenienza o qualità diversa da quella pattuita o dichiarata.

I nostri dubbi rimangono: il problema sarebbe proprio nella definizione di artigianale per un prodotto industriale. Ma com’è possibile se questa definizione legalmente non esiste? Forse la risposta va cercata altrove e cioè nelle caratteristiche dell’azienda oggetto del sequestro, non qualificabile come artigianale. Qui la legge italiana è chiara, perché prevede una definizione ben precisa di questa fattispecie. Nello specifico un’impresa artigiana non deve superare alcuni limiti, che sostanzialmente riguardano il numero totale di dipendenti e il settore di attività. Inoltre l’imprenditore artigiano deve, tra le altre cose, essere titolare e responsabile dell’impresa e svolgere il proprio lavoro in maniera abituale e prevalente.

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Dalle informazioni che ho raccolto da canali non ufficiali – ed è il motivo per cui, per ovvie ragioni, non farò nomi – l’azienda incriminata non rispetterebbe assolutamente questi criteri. Ci si potrebbe chiedere quanti dei birrifici che riteniamo artigianali li rispettino, ma questa è un’altra questione. Qui saremmo dunque al cospetto di un’azienda non artigianale che usa l’aggettivo “artigianale” per un suo prodotto, creando così un raggiro ai danni del consumatore.

Ma il discorso è ben più complesso. La legge italiana, infatti, crea un solco tra il prodotto finale e le modalità di realizzazione dello stesso. In altri termini, nonostante le modalità di produzione si distinguano tra artigianali e industriali, tale concetto non si estende al prodotto finito. Sembra assurdo ma è così. Di conseguenza la definizione “birra artigianale” sarebbe errata anche per i birrifici inquadrati come aziende artigianali. Probabilmente il riferimento allo status dell’azienda entra in gioco solo in presenza della corretta definizione merceologica, che è difficile pensare riportata in modo errato da un grande birrificio come quello coinvolto nella vicenda.

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È del tutto naturale perdere il filo di questi ragionamenti poiché il problema è sempre lo stesso: la disciplina che regolamenta questo aspetto è confusa e cervellotica. Non è un caso che a scanso di equivoci sia Assobirra che Unionbirrai consiglino di non scrivere “birra artigianale” in etichetta, anche in presenza della corretta definizione merceologica. Un suggerimento che mi vedrei bene dall’ignorare, anche perché uno dei tanti pezzi pubblicati ieri sui media italiani si conclude così:

Intanto, continua la campagna di controllo da parte del Corpo forestale, che ha posto finora, sotto la lente d’ingrandimento, una trentina di birre artigianali, prevedendo possibili ulteriori sanzioni, anche di carattere amministrativo, per l’illecito uso della denominazione di vendita birra artigianale, non contemplata nella normativa nazionale.

Che sia davvero arrivato il momento di definire a livello legislativo la birra artigianale?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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4 Commenti

  1. beh certo perchè la categoria legale merceologica è ‘formaggio di capra’ o ‘birra speciale’ sia per la multinazionale che per il malgaro di montagna con 3 caprette..qui è contestata si vede la denominazione aziendale o viene indicata birra fatta da un’azienda artigiana quando invece trattasi di industria..beh, ma ‘sto milione di birre che si fa? potrebbero fare un festival gratis dai..:P (ovvio che certe cose non le berrei nemmeno se mi pagassero)

  2. Scusate, il problema sta nell’uso del termine “artigianale” che può essere giustamente utilizzato solo da chi è iscritto all’Albo delle Imprese Artigiane. Questo principio riguarda tutti i prodotti “artigianali”, non solo la birra!

    LEGGE 8 agosto 1985, n. 443 (legge quadro dell’artigianato), art 5:

    “Nessuna impresa puo’ adottare, quale ditta o insegna o marchio, una
    denominazione in cui ricorrano riferimenti all’artigianato, se essa
    non e’ iscritta all’albo di cui al primo comma; …..
    Ai trasgressori delle disposizioni di cui al presente articolo e’
    inflitta dall’autorita’ regionale competente la sanzione
    amministrativa consistente nel pagamento di una somma di denaro fino
    a lire cinque milioni, con il rispetto delle procedure di cui alla
    legge 24 novembre 1981, n. 689.”
    Qualcuno, ogni tanto, dovrà pure applicarle le leggi in questo paese!

  3. Se non si snatura la natura del birrificio non mi sembra una brutta cosa…duvel cosi come palm mantengono alta la qualitá dei marchi craft che controllano e se sempre piu march craft in belgio,uk ed usa scelgono quella strada conviene a tutti evidentemente

  4. La cosa non mi sembra poi così strana, dopotutto come hai scritto in precedenza si tratta di :”un raggiro ai danni del consumatore.”

    Questo è più che sufficiente per far partire un sequestro da parte della repressione frodi o della forestale.

    però non stupiamoci sono migliaia i prodotti alimentari di scarsa qualità che vengono spacciati per prodotti di alta qualità, quindi l’unica riflessione che mi viene in mente è, perché le leggi vanno su una direzione opposta? (cioè meno trasparenza possibile?).

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