Un paio di settimane fa su Cronache di Birra ci siamo interrogati sul futuro del settore nazionale, proponendo e rispondendo a quattro domande di ampio respiro. Tuttavia un’indicazione importante sulle prossime evoluzioni della birra artigianale in Italia può arrivare dalla politica, sempre più attenta a un segmento che fino a qualche anno fa era totalmente ignorato. Negli scorsi giorni sono state rilanciate sul web alcune proposte provenienti da due esponenti di altrettanti partiti italiani: Giuseppe L’Abbate del Movimento 5 Stelle e Alberto Pagani del Partito Democratico. Analizziamole punto per punto per capire quali idee possono risultare vincenti e quali meno.
Giuseppe L’Abbate (M5S)
Riduzione delle accise per i piccoli birrifici
La prima proposta di L’Abbate – che è anche capogruppo della Commissione Agricoltura – è una riduzione dell’aliquota ordinaria per i birrifici con una produzione annua inferiore ai 200.000 hl l’anno (praticamente tutti quelli che comunemente definiamo “artigianali”). In pratica si tratterebbe di uniformarsi a quanto già accade in 20 paesi dell’Unione Europea, come ad esempio la Francia.
Personalmente ritengo che questa sia l’unica proposta che valga la pena cavalcare nella complicata disputa sulle accise, poiché fino a oggi ogni tentativo di bloccare gli aumenti è miseramente fallito. Invece di sperare che il Governo si mostri finalmente sensibile al discorso nel suo complesso, forse avrebbe più senso puntare a una disciplina diversificata (e più giusta) nei confronti dei soli microbirrifici. È la posizione che sta sostenendo da tempo Unionbirrai e che finalmente comincia a fare breccia anche tra le proposte della politica.
Accertamento dell’accisa al momento del confezionamento
Altro punto fondamentale individuato in passato da Unionbirrai è lo spostamento dell’accertamento dell’accisa a valle del processo produttivo, al fine di evitare che gli sprechi fisiologici risultino tassati come se finissero sul mercato. Questo aspetto può sembrare irrilevante per una grande industria, ma ha il suo peso per aziende che operano in condizioni artigianali o quasi artigianali. È quindi molto confortante sapere che la posizione di L’Abbate è esattamente allineata alle esigenze dei microbirrifici.
Aggiornamento delle tabelle delle aliquote iva
Su questo punto il sito de L’Abbate non spiega molto, se non che è indirizzato a ridurre la confusione in materia. In attesa di saperne di più sospendiamo il giudizio al riguardo.
Rilancio della filiera
In questa categoria L’Abbate inserisce diversi interventi:
- Sostegno ai programmi sperimentali indirizzati alla reintroduzione della coltivazione del luppolo in Italia.
- Istituzione di un tavolo di concertazione per classificare le “colture minori” al fine di dotarle di difesa fitosanitaria adeguata.
- Abilitazione di almeno un laboratorio al rilascio del certificato per la commercializzazione del luppolo, come previsto dalla normativa europea.
- Creazione di una eventuale disciplina delle “quote di produzione” da rispettare e degli eventuali aiuti comunitari alla produzione del luppolo.
Come spiegato dallo stesso L’Abbate, qui la sua proposta è finalizzata alla produzione interna di malto d’orzo e luppolo, due ingredienti fondamentali per la birra. Per quanto i vari punti rientranti in questa categoria possano apparire incoraggianti, ritengo che sia ancora drammaticamente presto per concentrarsi su attività che in Italia hanno ancora i caratteri della sperimentazione. Dunque è corretto sostenere start up che vogliano operare in questo settore, ma non bisogna dimenticare che il sostegno al settore deve andare anche a chi continua a utilizzare (ottimi) ingredienti stranieri. Cosa che tra l’altro avviene in tutti i paesi con alle spalle una tradizione brassicola millenaria.
Alberto Pagani (PD)
Proposta di legge sulla tutela della birra artigianale italiana
Sin dal titolo la proposta di Pagani non può che apparire di importanza capitale. Spesso però il problema è come una buona intuizione viene messa in pratica, e in questo caso la tutela del segmento dei microbirrifici è realizzata mediante la valorizzazione di due tipologie di prodotto: la Birra Artigianale Italiana e la Birra Agricola Artigianale Italiana. Questo passaggio è estremamente delicato, perché in passato abbiamo visto come al concetto legislativo di “birra artigianale” (per fortuna mai realizzatosi) si è cercato di associare quello di materie prime di provenienza nazionale – virtualmente tagliando fuori tutti quei microbirrifici (cioè il 99%) che impiegano malto o luppolo straniero.
Per fortuna la proposta di legge di Pagani non devia verso aberrazioni del genere, risultando in una sorta di incrocio tra la definizione americana di craft brewery e quella “ufficiosa” di birra artigianale redatta da Unionbirrai. Questi allora i criteri che identificano produzioni appellabili Birra Artigianale Italiana:
- Assenza di pastorizzazione.
- Non più di due operazioni di filtraggio.
- Assenza di conservanti e additivi chimici.
- Prodotta da un birrificio che non sia di proprietà di grandi industrie per quote superiori al 25% del capitale.
- Presenza in etichetta del luogo di produzione e dei materiali (credo sia un refuso e si intendano gli ingredienti) utilizzati per la produzione.
Nonostante alcuni di questi criteri necessitino di perfezionamenti e ulteriori integrazioni, direi che sono totalmente condivisibili: in altre parole siamo al cospetto di uno dei primi tentativi di definire la birra artigianale in Italia dal punto di vista legislativo. Una chimera rincorsa da tanti nell’ambiente e che mai come oggi appare importante a fronte dei tentativi dell’industria di invadere il mercato artigianale.
Molto importante anche l’ultimo punto a favore dei consumatori, che tra l’altro potrebbe una volta per tutte frenare quelle beer firm che provano a spacciarsi come birrifici riportando solo il codice accisa dal reale produttore della birra.
Birra agricola artigianale italiana
Interessanti anche le novità previste per la birra agricola, che deve rispettare gli stessi criteri precedenti, aggiungendone ovviamente altri:
- Il 65% delle materie prime – esclusa l’acqua, non è specificato ma credo sia sottinteso – deve provenire dall’attività agricola dell’azienda produttrice.
- Tale prodotto deve accompagnarsi a un certificato che garantisca che sia lo stesso coltivato dall’agricoltore/produttore a monte del processo di trasformazione.
La prima novità è l’innalzamento della quota minima di materia prima propria, che dall’attuale 51% passa al 65%. Ma forse ancora più importante è il secondo punto, perché offre garanzie al birrificio agricolo e in cascata al consumatore: oggi infatti l’azienda agricola invia l’orzo al maltificio, ma non sempre ha gli strumenti per assicurarsi che il malto ricevuto dalla lavorazione provenga dal suo orzo.
In conclusione direi che possiamo accogliere le proposte dei due parlamentari con buone speranze e un grande sospiro di sollievo. Dopo anni in cui la politica si è avvicinata al nostro mondo con poche conoscenze e idee strampalate (se non dannose), finalmente possiamo affermare che c’è maggiore consapevolezza delle vere problematiche dei microbirrifici. Non so se queste proposte avranno un seguito, ma ormai è sicuro che prima o poi ci sarà  una legge che regolamenterà – in un modo o nell’altro – la birra artigianale italiana. Restiamo vigili per assicurarci che ogni decisione sia presa con totale cognizione di causa.
ottimi spunti.mi lascia solo un po’ perplesso il punto riguardante l’Assenza di conservanti e additivi chimici. Se per additivi chimici si intende anche il banale acido lattico non fanno birra artigianale nemmeno gli Homebrewer.
Non è chiaro se l’innalzamento al 65% per la birra agricola sia solo una questione di dicitura in etichetta o se abbia anche valenza fiscale. Cioè bisogna capire se un birrificio agricolo (che attualmente può esserlo se usa il 51% da produzione propria) può continuare a rimanere tale mantenendo la soglia del 51% o se deve salire al 65%. Perchè magari molti birrifici agricoli se ne fregano della dicitura in etichetta, e preferiscono continuare a rimanere sulla soglia attuale.
Sì probabile che la soglia sia solo per questione di etichetta
C’è però anche da dire che se uno ha l’orzo ma lo fa maltare fuori (spesso grandissime malterie) per farsi fare tutto il proprio malto deve avere un minimo non piccolissimo di materiale, se chiede di maltare solo anche qualche tonnellata di orzo – se non a costi assurdi- entrerà “nel mucchio” dei conferitori, ricevendo malto non suo..e qualche piccola azienda cerealicola con vera passione per la birra così non potrebbe ottenere il termine ‘agricola’