Su Cronache di Birra ci occupiamo regolarmente di segnalare le aperture dei nuovi produttori in Italia – l’ultimo aggiornamento risale proprio a ieri. Tenere traccia di tutte le novità è però praticamente impossibile e non è un caso che nel 2012 “bucai” il debutto di Birra Olmo, beer firm della provincia di Padova. Da qualche settimana l’azienda opera su un impianto di proprietà, che le ha permesso di cambiare status in birrificio vero e proprio. Questo importante passaggio è stato però vissuto dai soci come un momento di completa rottura con il passato, al punto che hanno deciso di cambiare nome in birrificio Crak. È stata una scelta che mi ha parecchio incuriosito e che ha rappresentato il pretesto per un’intervista, incentrata su questa trasformazione e sul sempre controverso fenomeno delle beer firm. Alle mie domande ha risposto lo staff di Crak al gran completo: Anthony, Marco e Claudio, che ringrazio caldamente.
Ciao ragazzi, ecco la prima domanda. Il birrificio Crak è uno degli esempi – forse ancora troppi pochi in Italia – di azienda brassicola che nasce come beer firm e dopo qualche anno si struttura con un impianto di proprietà. Per cominciare allora potete raccontarci com’è iniziata l’avventura di Birra Olmo?
La nostra avventura nasce nel 2012 come segno di ribellione nei confronti delle brodaglie anonime e standardizzate con le quali l’industria della birra voleva omologare i nostri gusti. Dopo anni passati a giocare con un kit da homebrewer piuttosto malmesso, abbiamo deciso di fare sul serio, convinti di contribuire attivamente alla rivoluzione artigianale che i grandi mastri birrai italiani avevano fortunatamente iniziato.
All’inizio non è stata assolutamente una passeggiata. Complice la nostra inesperienza ci siamo affidati a birrifici non adeguati (per essere politically correct) che ci lasciavano, inoltre, poco spazio di manovra: così le prime cotte sono state un mezzo fallimento. Questo ci è servito da lezione: non è facile proporre birre di qualità, anche se si vendono sempre e comunque in un lampo fra amici, conoscenti e curiosi. Di sforzi ne abbiamo sprecati molti, visto che nessuno torna a bere una birra se i ricordi che ti lascia non sono esattamente piacevoli. Ci siamo rimboccati le maniche, ci siamo appoggiati ad altri birrifici, abbiamo trovato maggiore disponibilità e collaborazione, abbiamo fatto scorta di errori dai quali imparare, e da quel momento è stato tutto un crescendo.
Quando siete partiti avevate già in mente di trasformarvi in birrificio nel medio termine o è stata una decisione presa in corsa?
Avere un nostro impianto è sempre stato il nostro obbiettivo, ma avevamo soltanto i soldi per comprare una buona pinta di birra, non un intero impianto. Fin da subito, quindi, abbiamo tracciato la rotta per realizzare questo sogno, anche se dobbiamo dire la verità, speravamo di riuscirci in meno tempo. Comunque la cosa importante è che oggi, entrando in birrificio, ci troviamo di fronte ad una sala cottura da tre tini, che può produrre fino a 4.000 litri di birra a cotta: fa sempre una certa impressione.
Probabilmente a oggi la vostra è l’unica realtà italiana che ha cambiato nome passando dallo status di beer firm a quello di birrificio. Da dove nasce la scelta di abbandonare Birra Olmo e chiamarvi Birrificio Crak? Non rischiate di perdere tutto ciò che avete costruito in questi anni in termini di visibilità e fidelizzazione della clientela?
Cambiamo per rimanere noi stessi! Ci spieghiamo meglio: comunicare un momento di rottura con il passato come il passaggio da beer firm a birrificio non è una cosa semplice ed immediata. Non vogliamo rimanere intrappolati nel passato. Ora siamo diversi, il destino è in mano nostra, nel bene o nel male. Il nome Olmo non ci rappresenta più, non esprime fino in fondo in nostri valori. Siamo fatti così, se c’è una cosa che non ci soddisfa fino in fondo non l’accettiamo solo perché è l’abitudine di molti, ma lottiamo per cambiarla, la vita è troppo breve per non provarci.
Per quanto riguarda la visibilità probabilmente ne abbiamo addirittura tratto qualche vantaggio a giudicare dai primi riscontri, anche se è ancora presto per dirlo. Comunque abbiamo deciso di dedicare una delle nostre birre a quella che è stata la nostra scuola e a tutti coloro che ci hanno permesso di arrivare fino a qui, chi vorrà bersi una Olmo potrà farlo ancora, ma sarà la Olmo di Crak.
Cambiando nome avete anche cambiato birre? Crak è un progetto di totale discontinuità rispetto a Birra Olmo?
Qualche birra manterrà il nome (quelle più rappresentative) ma tutte avranno un carattere diverso. Il cambio di tutte le nostre ricette è stato una naturale conseguenza delle esperienze di Marco, che ha preso il comando della sala cottura fresco di un importante periodo inglese da Buxton Brewery. Inoltre aver svolto 6 mesi di gavetta da Brewfist gli ha permesso di capire chiaramente che le dinamiche di un birrificio sono ben diverse da quelle legate al fare birra nel garage di casa.
Oggi in Italia molti di coloro che hanno una beer firm preferiscono rimanere tali piuttosto che acquistare un impianto. Secondo la vostra esperienza quante possibilità ha una realtà del genere di crescere negli anni?
Non esistono regole fondamentali per il successo, oggi forse c’è ancora la possibilità di far qualcosa di importante anche rimanendo beer firm. Sicuramente lo spazio a loro disposizione si sta riducendo, ma sappiamo bene che con la passione si possono spostare le montagne.
E che ne pensate della generale avversione che molti birrai provano nei confronti delle beer firm?
Dalla nostra esperienza personale ti confermiamo che c’è una sorta di “razzismo” nei confronti delle beer firm. In molti casi, secondo noi, è un’avversione che trova giuste fondamenta, quello su cui non siamo d’accordo è che questa avversione ci sia a prescindere. Ci sono casi di beer firm ammirevoli con un progetto valido e con persone che trasudano passione, ma che non hanno le possibilità di nascere come birrificio. Quest’ultime le apprezziamo molto di più di quei birrifici nati dai soldi dei padroni, che investono per cavalcare l’onda di quello che considerano semplicemente un business.
In ultimo ho letto recentemente dell’iniziativa Crak Fresh. Potete spiegare di cosa si tratta?
Teniamo molto a questa iniziativa. Ci siamo chiesti: perché solo chi beve birra in bottiglia può conoscere la data di imbottigliamento o di scadenza, mentre chi beve birra alla spina deve acquistare alla cieca?
Per questo motivo doteremo ogni nostro fusto del proprio medaglione con timbrata la data di infustamento, da staccare ed applicare alla spina a ogni cambio. Pensavamo questa potesse essere un’arma a doppio taglio per la distribuzione, ma ci teniamo a ringraziare Mauro Gobbo per averci appoggiato fino in fondo in questo progetto che finalmente abbiamo avviato.
Le prime produzioni di Crak dovrebbero essere disponibili proprio in questi giorni. La scelta di completa rottura con il passato porterà vantaggi? Oppure sarà semplicemente un boomerang? Voi che ne pensate?
Provate Guerrila e Mundaka e, in base alla mia modesta esperienza di trincatore seriale, mi sono piaciute.
Duri ai banchi!
[…] una loro stessa ammissione su Cronache di Birra, il passato da beer-firm non è stato sempre soddisfacente: “complice la nostra inesperienza […]