Durante il mio primo viaggio a Praga, deciso a provare tutto in fatto di birra, in un ristorante di Malá Strana indicai alla cameriera la voce “mlíko” sul menù, pur non sapendo cosa aspettarmi. Dalla sua faccia avrei dovuto capire che non era una richiesta usuale per un forestiero, e soprattutto – avrei scoperto dopo – che il mlíko non è qualcosa con cui accompagnare i pasti. Ma per curiosità, paura di passare per ignorante e qualche scoglio linguistico, confermai la scelta fingendo sicurezza. Al vedere arrivare un boccale pieno quasi esclusivamente di schiuma mi chiesi perché una cosa del genere fosse a menù, e perché mai qualcuno la dovrebbe ordinare. Il dubbio mi è rimasto per anni, fino a che una divulgazione più massiccia (del marchio Pilsner Urquell in primis) e successivi soggiorni in Cechia hanno fatto luce su quella che è una piccola tradizione locale.
Chi ha notato un’assonanza tra la parola “mlíko” e l’inglese “milk” ci ha visto giusto: la metafora tra un un bicchiere di schiuma e uno di latte è immediata, e infatti i due termini sono etimologicamente imparentati. Ma il quesito rimane: perché qualcuno dovrebbe mai ordinarlo? Tutti conosciamo il ruolo positivo svolto dalla schiuma in un buon bicchiere di birra… ebbene, il mlíko ha senso di esistere per lo stesso motivo, solo portato all’estremo.
Riempito il bicchiere, una piccola parte di liquido si deposita sul fondo, al sicuro dall’ossidazione, grazie al preponderante cappello di schiuma da cui si è formato. Questo offre cremosità e preserva gli aromi (in particolare del luppolo boemo Saaz), dando un gusto più morbido, dolce e avvolgente. La parte tattile dell’esperienza di bevuta diventa prioritaria.
Pare che la tradizione sia nata nel XIX secolo, quando un boccale di mlíko veniva servito come dolce a fine pasto (o in accompagnamento ad esso) ed era apprezzato soprattutto dalle donne, statisticamente bevitrici meno avide di birra. Per molti è anche il bicchiere di fine serata, oppure quello offerto ai clienti dopo aver pagato il conto – un po’ come l’amaro nei ristoranti in Italia.
Il mlíko e gli altri metodi di spillatura ceca
Al di là della narrazione, c’è chi avanza l’ipotesi che il mlíko sia solo un’invenzione di Pilsner Urquell (che ricordiamo essere nata nel 1842), per rendere più variegata una proposta che di fatto prevede una sola birra. Il mlíko, infatti, rientra nei vari metodi di spillatura tipici della Repubblica Ceca, proposti ormai da tempo anche da altri birrifici e locali:
- Mlíko: boccale di solo (o quasi solo) schiuma, da bere in un singolo sorso, è solitamente venduto a prezzo inferiore rispetto a una birra spillata in modo classico. Tradizionalmente si otteneva aprendo appena il rubinetto della spina; oggi invece si adopera l’apposito rubinetto side-pull introdotto dall’azienda Lukr nel 1991.
- Hladinka: quello che definiremmo un boccale “normale”, dove il liquido la fa da padrone – pur con l’abbondante schiuma che ci si aspetta da una Pils.
- Šnyt: una via di mezzo, dove la schiuma occupa comunque gran parte del bicchiere. A livello pratico si può definire una birra piccola in un boccale grande, dove la schiuma offre sia il mantenimento degli aromi che maggior cremosità (con un po’ di fantasia si può associare alla spillatura a carboazoto delle Stout irlandesi).
I prossimi due metodi di spillatura non compongono ufficialmente il “listino” di Pilsner Urquell, ma sono proposti da diversi locali in giro per la Repubblica Ceca:
- Čochtan: solo liquido e niente schiuma. Sicuramente più dissetante, ma meno apprezzabile aromaticamente.
- Řezaný: un boccale di birra chiara coperto da schiuma di birra scura (spesso Kozel). Quest’ultima, scendendo, si ferma appena sotto la schiuma per via della diversa densità. L’effetto visivo, dato dal contrasto di colori, si fa apprezzare dai turisti (o almeno da quelli meno esigenti in termini gustativi).
Dalla Repubblica Ceca agli USA
Occorre specificare che la tradizione del mlíko era a un passo dall’oblio fino a non molti anni fa, e di conseguenza sembrava destinata a nascere e morire entro i confini nazionali. E probabilmente sarebbe andata così, e non fosse accaduto un evento capace di riportarla sotto i riflettori del movimento birrario internazionale (in aggiunta alla promozione fatta da Pilsner Urquell). Era il 2018 quando Erik Larkin, co-fondatore della Cohesion Brewing Company di Denver, al ritorno dal suo viaggio di nozze a Praga replicò nel suo birrificio il mlíko assieme ad altri elementi della cultura birraria e della spillatura ceca.
L’eco della tendenza non tardò a raggiungere l’intera nazione, toccando pub e birrifici da Ovest a Est. Il fenomeno (anche se i tempi all’epoca erano ancora acerbi per definirlo tale) alimentò decine di conversazioni su Reddit sull’argomento, nonché approfondimenti degni di nota come quello del New York Times (“Non è una spillatura sbagliata, è mlíko”) e del giornalista Evan Rail, californiano residente a Praga.
A essere rilevante è soprattutto il riadattamento locale del mlíko, a partire dall’americanizzazione del nome in “milk pour”. Non mancano sperimentazioni con diverse birre (dalle Bitter alle Stout) e in diversi bicchieri come il milk tube, introdotto dal birrificio Human Robot di Philadelphia e rintracciabile anche al Brieux Carré di New Orleans (col suo appuntamento settimanale Mlíko Monday) e persino in Canada presso il Barn Owl Brewing (British Columbia). L’elenco sarebbe lunghissimo – “… and counting” come direbbero da queste parti – tanto che l’azienda ceca Lukr ha iniziato a esportare gli appositi rubinetti side-pull negli Stati Uniti, con vendite annuali che si aggirano attorno ai 2000 pezzi.
E in Italia?
Da qualche mese le pubblicità di Pilsner Urquell sono arrivate anche in Italia, specialmente tramite la pagina Instagram del birrificio. Tuttavia, nonostante l’attuale riscoperta per gli stili di origine ceca, è difficile credere che il mlíko possa trovare terreno fertile in Italia in tempi brevi, così come in tanti altri Paesi europei dove la crociata sull’importanza della schiuma, che è spesso vista come un “tentativo di truffa del barista”, è ancora lontana dalla vittoria. Ma ora che la popolarità del mlíko è sempre più in mano alla scena artigianale americana, non è da escludere che la sua influenza possa accelerare il processo.
Nel frattempo qualcosa comincia a muoversi: per un periodo il Pils Pub di Milano ha inserito il mlíko nel suo menu, sebbene al momento non abbia più il rubinetto ad hoc per realizzarlo – attualmente quindi non è disponibile. In futuro però il locale ha intenzione di riproporlo, sperimentando la tecnica di spillatura anche con altri stili birrari.