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Un focus sulle Maibock, le classiche birre tedesche di maggio

Nella cultura brassicola tedesca esistono due stili che fanno esplicitamente riferimento a un preciso mese dell’anno. Il più famoso è quello delle Märzen, birre che in passato venivano realizzate nell’ultima finestra utile prima dell’arrivo del caldo (marzo, per l’appunto) e poi lasciate maturare al fresco delle grotte fino a ottobre, quando finalmente si poteva riprendere l’attività brassicola. L’altra tipologia birraria legata a un preciso periodo dell’anno è quella delle Maibock, declinazione primaverile delle birre forti e alcoliche della Germania. Il nome significa letteralmente “Bock di maggio” e rappresentano una variazione delle Bock più indicata per la stagione di passaggio, in cui – come purtroppo stiamo verificando in questi giorni – il meteo risulta sempre molto variabile. È uno dei sottostili meno diffusi e indagati dai birrifici italiani (e non solo), dunque vale la pena conoscerlo meglio proprio in concomitanza del mese per cui nasce.

Tra tutte le varie ramificazioni assunte dalla famiglia delle Bock, le Maibock sono apparse solo in tempi relativamente recenti. Sono infatti di colore dorato o leggermente ambrato e da un punto di vista cromatico si contrappongono alle scure Dunkles Bock e Doppelbock (quest’ultime nella loro incarnazione più tradizionale). Come altri stili chiari (Pils, Helles, Dortmunder Export, ecc.) la loro produzione fu infatti possibile solo con l’avvento dei malti chiari, quando cioè la Rivoluzione industriale permise di applicare le innovazioni tecnologiche all’attività delle malterie di tutto il mondo. Nelle sue Style Guidelines il BJCP le riporta con il nome Helles Bock, specificando che sono anche conosciute come Maibock.

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Rispetto alle Bock scure delle origini, l’impiego di malti chiari (di norma il Pilsner) lascia emergere in maniera più netta il contributo del luppolo, riconoscibile dalle note erbacee, speziate e floreali tipiche dei classici cultivar tedeschi. Tuttavia la resa organolettica del grist non passa certo in secondo piano, sia per l’impiego di altri malti (Vienna, Monaco, talvolta Crystal), sia per il ricorso alla decozione, che dovrebbe contribuire a sviluppare una maggiore ricchezza della componente maltata. Rispetto alle Dunkles Bock, invece, la bollitura è più breve per evitare di scurire il mosto. Sono birre dal corpo medio: risultano tendenzialmente scorrevoli, ma anche morbide e prive di spigoli.

Le Maibock non sono dolci come le altre Bock perché risultano moderatamente secche e il luppolo assicura anche un discreto livello di amaro, però hanno un ingresso decisamente abboccato che garantisce equilibrio. Sono quindi birre molto bilanciate, che si muovono lungo uno stretto sentiero tra ricchezza dei malti, prestanza alcolica (6%-7%), contributo dei luppoli e freschezza della bevuta. È ciò che ti aspetti di bere in primavera tra le valli bavaresi, quando l’arrivo della bella stagione invita a uscire di casa, ma ancora non fa abbastanza caldo per restare ore seduti nei biergarten locali. Uno stile di mezzo per la mezza stagione.

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Probabilmente è proprio questa anima ambigua a penalizzare le Maibock, che non incarnano certamente lo stile prediletto dei birrifici italiani, nonché dei locali. Se è vero che il suffisso “bock” identifica birre piuttosto dolci e talvolta stucchevoli – soprattutto nelle loro incarnazioni originali della Germania – la versione primaverile dello stile è invece molto distante da certi estremi e senza dubbio più bevibile. La pulizia del processo fermentativo (sono consentite leggere note di esteri, ma in realtà quasi mai sono avvertibili) e la discreta secchezza generale sono elementi che aiutano la resa della parte luppolata, che comunque risulta supportata dal contributo dei malti. Le caratteristiche generali dello stile non sono poi così lontane da ciò che i pub propongono in questo periodo dell’anno.

Come accennato in apertura le Maibock italiane sono poche e ancora di meno quelle degne di nota. Su Beer Zone ne sono elencate appena 10, tra cui si segnalano la Heller Bock di Elvo, La Doppio di Aleghe, la 44° 11° di Malcantone, la Mùvara di Mezzavia, la Pomice di Lariano, la My Bo di Bellazzi, la Gelinda di Altavia (è una natalizia) e la Mygym di Doctor B. Discorso a parte merita la Khe Bock di Birrone, recente produzione che il birrificio veneto ha inserito nel terzetto di Lager dedicato alla decozione. Da notare che almeno la metà di queste birre sono state lanciate negli ultimi anni, quando cioè è ripreso l’interesse per le basse fermentazioni dell’area tedesca e mitteleuropea.

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Nonostante la timidezza dei birrifici italiani rispetto allo stile di maggio, confermato anche dalle scelte di molti produttori stranieri, una Maibock ha contribuito a creare il mito di un mostro sacro della rivoluzione craft americana. Si tratta della Dead Guy Ale (6.8%) del birrificio Rogue, probabilmente una delle birre più iconiche in assoluto, nonché un’inossidabile evergreen per l’azienda di Newport, in Oregon. La sua versione originale fu lanciata all’inizio degli anni ’90 per Casa U-Betcha, un ristorante tex-mex di Portland. Dedicata al Giorno dei morti della tradizione sudamericana, era una molto diversa da quella che poi raggiunse la fama, poiché la ricetta prevedeva l’aggiunta di pepe in infusione. Il nome e la grafica dell’etichetta (uno scheletro intento a bere birra seduto su una botte, in pieno stile Día de los muertos) piacquero a tal punto che Rogue, una volta conclusa la partnership con il locale di Portland, li utilizzò per una sua nuova birra. Il birraio John Maier prese a modello le Maibock della Germania, tuttavia le reinterpretò usando il Pacman, il lievito ad alta fermentazione coltivato nel birrificio.

Anche se la Dead Guy Ale di Rogue è una Maibock sui generis, il suo successo dimostra come questo stile possa convincere i consumatori, soprattutto in un periodo in cui si stanno riscoprendo le basse fermentazioni. Lungi dall’essere birre buone per tutte le stagioni, possono però rappresentare un giusto compromesso in determinati momenti dell’anno e, volendo, diventare “all year round” per chi cerca un tenore alcolico più alto della media anche nei mesi più caldi.

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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