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Come un piccolo paese montano è rinato grazie alla birra: intervista a Enrico Ponza di Antagonisti

Melle è un paese di circa 300 abitanti della bassa Valle Varaita, situato ai piedi del passo del Colle dell’Agnello tra la provincia di Cuneo e al Francia. Quando vi arrivo in bicicletta, la clientela che trovo al bar Birroschio non è quella che mi sarei aspettato da un paesino di montagna: mi stupisce il quantitativo di giovani e il loro essere variopinti, come se fossimo nel quartiere Bolognina di Bologna. Qui incontro Enrico Ponza, per tutti Chicco, cuore, mente e braccia del progetto Antagonisti – per capirci, l’indomani mattina lo troverò allo stesso bar in veste di barista – una realtà unica nel suo genere in Italia. Antagonisti è infatti un collettivo che gestisce diversi spazi a Melle – dal Birroschio all’ostello, passando per orti comunitari e iniziative culturali – con l’obiettivo di far rivivere il paese e costruire una comunità giovane e attiva attorno alla montagna. Ma è anche una beer firm, che utilizza la birra artigianale come strumento per perseguire i propri obiettivi.

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Chicco, mentre beviamo la vostra F**k Declaration (una IPA moderna con luppoli neozelandesi), raccontami di te e di come nasce Antagonisti.

Sono nato a Melle e a diciotto anni sono “scappato” verso Torino, dove mi sono laureato in Tecnologie Agroalimentari. Facevo l’homebrewer e la mia passione era la birra. Poiché in quegli anni non esistevano corsi da mastro birraio o centri di formazione nel settore, ho studiato sia su libri come il vecchio Kunze (Technology Brewing and Malting di Wolfgang Kunze ndR), tradotto dal tedesco all’inglese, sia sul campo. Ho fatto per quasi tre anni il birraio presso il Birrificio Boero, una realtà poco distante da qua. Negli anni ho lavorato anche per i birrifici La Piazza e Soralamà e in un secondo momento ho collaborato con la Simatec occupandomi dell’avviamento degli impianti. Nella mia formazione ha avuto sicuramente un peso la vicinanza con Luca Giaccone, grazie alle sue conoscenze e alla sua guida sono riuscito a introdurmi nel mondo della birra.

Dopo sette anni di esperienze ho deciso che era il momento di ritornare a casa e assieme a Fabio Ferrua, anche lui nativo di Melle trasferitosi a Torino, abbiamo deciso di aprire il primo Birroschio (birra + chiosco) nella parte alta del paese. Quel locale era molto differente da quello di oggi: era aperto solo durante i tre mesi estivi e serviva escclusivamente una nostra birra, la Bulan, una Saison nata dopo un nostro viaggio brassicolo in Belgio e dopo una visita da Dupont. L’idea iniziale era quella di cominciare come beer firm per poi diventare birrificio vero e proprio; poi però il progetto cambiò, sia per evitare di indebitarci pesantemente, sia soprattutto perché per noi la birra doveva essere solo una parte della strategia per il ritorno a Melle. Nel 2014 abbiamo aperto il primo locale: un pub (oggi è l’Osteria Antagonisti) che aveva le nostre birre alla spina, permettendoci negli anni di arrivare ad avere sette birre a catalogo. Nel 2015 abbiamo aperto il secondo spazio, l’attuale Birroschio, che è una gelateria e focacceria ed è il locale in cui ad oggi vendiamo la maggior parte della nostra birra.

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Spiegami più dettagliatamente qual è stato in questi anni il rapporto di Antagonisti con la produzione brassicola.

Come dicevo, in passato arrivammo ad avere sette linee in gamma, un numero notevole per una beer firm. Poi nel tempo le referenze sono diminuite, sia per una più facile gestione delle scorte e della produzione, sia perché la birra non era più il nostro punto focale ma il nostro strumento per comunicare chi siamo e cosa facciamo. All’inizio producevo le birre presso Soralamà o La Piazza dove lavoravo, adesso sono otto anni che le realizziamo dal Birrificio La Granda. Nel frattempo le referenze sono diventate quattro fisse più una che produco una volta all’anno. Si tratta di un’ambrata in stile belga, tendenzialmente dolce e mediamente alcolica (6%), che si contraddistingue per l’impiego di zucche di Savigliano. Le zucche provengono da un progetto agricolo con programmi di introduzione al lavoro di persone con disabilità, in cui la coltivazione avviene manualmente, supportata solo da trazione animale.

A un certo punto ho quasi pensato di smettere di produrre birra e vendere quella di altri birrifici locali, perché, come spiegato, nella nostra visione la birra è essenzialmente un traino per comunicare e portare le persone da noi. Poi però i nostri clienti si sono affezionati al marchio, tanto da acquistare la birra anche per sostenerci. A differenza di chi ha la birra come suo core business, non ci interessa espandere il nostro mercato. La birra rimane un punto di riferimento e lo strumento grazie al quale siamo tornati a Melle, ma non è esclusiva nella nostra visione.

 

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Il rapporto con la comunità locale è per voi fondamentale, ma come furono gli inizi? Come avete convinto le persone a bere le vostre birre?

Ricordo ancora il primo giorno che abbiamo aperto e abbiamo iniziato a spillare la nostra birra: puoi immaginare come l’abbiano presa gli abitanti. Vendevamo solo una Saison, totalmente lontana da ciò che avevano bevuto fino a quel momento, poiché i birrifici artigianali locali proponeva quasi esclusivamente basse fermentazioni di stile tedesco. Come seconda birra producemmo una IPA e anch’essa spiazzò il pubblico con sapori e profumi a cui nessuno era abituato.

Col tempo i nostri clienti si sono appassionati talmente tanto alle nostre birre che, quando abbiamo smesso di produrre la Bulan, un nostro cliente affezionato ha realizzato una finta epigrafe funebre. Abbiamo terminato la produzione quando siamo passati alle lattine perché il lievito che usavamo era molto vivo e temevamo che il prodotto potesse variare eccessivamente nel tempo.

Cos’è oggi Antagonisti e di cosa vi occupate?

La nostra idea, fin dall’inizio, è stata di lavorare sul territorio: ridargli vita, costruire comunità, creare valore insieme ai giovani. Con il tempo, il nostro esempio ha attratto ragazzi verso queste zone. Alcuni hanno lavorato con noi e poi sono rimasti anche dopo la loro esperienza, altri hanno scelto di trasferirsi in un contesto più rurale proprio perché ispirati da ciò che facciamo. Alcuni hanno aperto ristoranti o aziende agricole, altri attività curiose e innovative, come una ragazza che ha preso in affitto un bosco e si dedica alla raccolta della linfa di betulla. Avere un obiettivo comune, fare rete e condividere esperienze dà coraggio a molti giovani: sapere che qui c’è una comunità pronta ad accoglierti e sostenerti è un incentivo fortissimo.

Oggi contiamo diciotto dipendenti – un numero che cala durante l’inverno – ma negli anni sono passate da noi circa 160-180 persone. C’è chi è tornato a Melle dopo esperienze altrove e chi è arrivato da città come Milano o Torino. Alcuni hanno fatto scelte radicali, come Elena, la nostra collaboratrice che gestisce l’Ostello: da Londra si è trasferita qui e lavora con noi da otto anni. Due ragazzi, invece, dopo una stagione a Melle hanno deciso di lasciare Torino per trasferirsi definitivamente.

Il numero di abitanti del paese è rimasto stabile, ma ciò che è cambiato è l’età media: oggi la popolazione è più giovane, e questo offre una prospettiva di futuro. Spesso si associa la montagna alla solitudine o alla chiusura, ma il nostro obiettivo è l’opposto: aprirci e crescere insieme. Dal primo giorno ci siamo detti che l’unico modo di andare avanti era fare le cose in comunità. Anche il gelato che serviamo al Birroschio nasce da questa filosofia: lo produciamo insieme a Juri Chiotti, giovane chef che ha rinunciato alla stella Michelin per aprire un ristorante in Valle Varaita.

Tra il 2019 e il 2020 abbiamo inaugurato l’Ostello Antagonisti, per permettere a chi arriva a Melle di vivere la montagna senza limitarsi al turismo mordi e fuggi. Poi è nato il nostro orto, gestito dalla CSA (Comunità di Supporto all’Agricoltura), che rifornisce i nostri locali insieme ai produttori agricoli della zona.

D’inverno è un’altra storia: abbiamo qualche serra, ma i numeri calano drasticamente e, se dovessimo ragionare solo in termini imprenditoriali, dovremmo chiudere. Invece continuiamo, anche perché siamo diventati un punto di riferimento per gli anziani del paese: c’è chi viene da noi per piccole commissioni o semplicemente per farsi aiutare con il collirio o la pressione. Prenderci cura del territorio per noi significa occuparcene a 360 gradi.

La vostra comunicazione è molto curata, soprattutto se paragonata a quella di tanti birrifici. Come nasce e chi la gestisce?

Durante il Covid abbiamo deciso di investire sulla comunicazione. Giuliana, che all’epoca lavorava come cameriera e si era appena laureata in comunicazione, ha lasciato il servizio ai tavoli per dedicarsi interamente a questo aspetto. Da allora è lei a occuparsene, vivendo qui a Melle e riuscendo così a produrre contenuti autentici, che raccontano l’azienda dall’interno. È cresciuta insieme a noi e questo si riflette nel suo lavoro. I protagonisti delle nostre comunicazioni sono le persone che lavorano con noi: questo crea senso di appartenenza e permette ai clienti di riconoscersi in loro, di sentirli quasi come vecchi amici. Chi meglio di loro può raccontare i nostri valori? Non vogliamo comunicare un prodotto, ma un progetto: la birra è lo sfondo, il filo conduttore che unisce tutto.

Quali sono i vostri progetti per il futuro?

Vivere e sopravvivere – e lo dico sorridendo. Ci definisco adolescenti: abbiamo solo 11 anni e siamo ancora in fase di crescita. Insieme ai nostri partner – che mi piace chiamare “con-correnti”, perché si corre insieme – vogliamo contribuire a una piccola rinascita locale, un micro-rinascimento del territorio.

Il nostro obiettivo è superare la stagionalità: oggi viviamo soprattutto da maggio a settembre, mentre il turismo invernale, legato alla neve, praticamente non esiste più. Da due anni non nevica, e il cambiamento climatico ci costringe a ripensare tutto. Dobbiamo rendere il territorio produttivo anche al di fuori del turismo. Per questo stiamo ristrutturando una baita in una borgata ancora più isolata, che diventerà uno spazio per team building, soggiorni prolungati o percorsi formativi. Un luogo dove potersi ritirare nella natura, lontano da tutto, ma con la possibilità di creare nuove connessioni e nuove opportunità.

Fabio Marrale
Fabio Marrale
Già appassionato di birra, incontra casualmente la bici per potersi muovere liberamente tra i festival senza rischi per la patente, raddoppiando così le sue passioni. Continua ad allenare le gambe con viaggi alla scoperta di birre e birrifici e contemporaneamente perfeziona gusto e olfatto fino al completamento del corso di secondo livello di Unionbirrai.

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