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5 gustosi “fritti” della tradizione italiana da abbinare alle Berliner Weisse

Ah, Berlino! Una città dal fascino irredimibile, scena perfetta di film memorabili, esperimento politico-urbanistico con la ferita del Muro che l’ha resa monca e sofferente per quasi trent’anni. Luogo di parchi enormi e straordinari, di grandi iniziative culturali e, soprattutto, per quello che ci riguarda più da vicino, patria di uno stile birrario purtroppo negletto, quello delle Berliner Weisse. Che prendono titolo proprio dal toponimo della capitale tedesca e per decenni sono state annoverate tra i simboli e le peculiarità della città. Anche per le Berliner Weisse, come negli ultimi appuntamenti della nostra rubrica, l’idea è di proporre abbinamenti culinari non scontati, pescando in particolare nella generosa tradizione alimentare del nostro paese.

Storia e caratteristiche delle Berliner Weisse

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Birre di frumento, le Berliner Weisse sono probabilmente eredi delle Broyhan Altstile diffuso nel XVI secolo ad Hannover grazie all’inventiva di un birraio di nome Conrad Broyhan. Si affermarono lentamente nel corso del Settecento, con un picco di fama e diffusione durante il secolo successivo: addirittura le truppe napoleoniche ne lodarono le caratteristiche, attribuendole lo status di “champagne di Germania” (per vera ammirazione o irriverenza?). Come quasi tutte le birre che impiegano frumento, registrarono una rapida eclissi a partire dagli anni Cinquanta: vista l’epoca, probabilmente perché il cereale veniva salvaguardato per la panificazione; ma anche perché i gusti del pubblico stavano mutando, appagati dalla banalità delle Lager industriali.

Nella ricetta delle Berliner Weisse, il grist è formato da malto Pils e di frumento (dal 30% al 50% circa, ma in passato arrivava anche all’80%). La tradizione spesso non prevedeva la bollitura, perché si riteneva importante mantenere un ambiente non ostile alla proliferazione di microrganismi non convenzionali. Di conseguenza la luppolatura avveniva durante il mash (per decozione). La fermentazione era mista, con l’intervento di lieviti di alta fermentazione, spesso anche selvaggi, e batteri lattici. Questi ultimi venivano fatti proliferare grazie a particolari tecniche utilizzate nella preparazione del frumento e nell’ammostamento. Oggi, invece, i batteri lattici vengono inoculati nella quasi totalità dei casi: una scelta che, accompagnata dalla bollitura e dalla discutibile consuetudine di aggiungere frutta in purea pastorizzata, allontana le interpretazioni moderne dal modello stilistico più autentico, non di rado con ripercussioni negative in termini gustativi.

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Quando ben realizzate, le Berliner Weisse risultano acide e dissetanti, senza particolari picchi aromatici, ma ideali per essere bevute in maniera disimpegnata, con corpo snello e gradazione alcolica leggera. In questi casi la bevuta è valorizzata da un particolare fascino di antico. Date le caratteristiche della birra (alcol e corpo bassi, acidità spiccata), la soluzione migliore per l’abbinamento è una tavola imbandita per un aperitivo con cibi da stuzzico, poco strutturati e caratterizzati da tendenze dolci e untuosità.

Frittelle di zucca

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Partiamo dalla frittella salata di zucca, preparata con un veloce impasto di questo fantastico vegetale – la sua stagione di raccolta è molto lunga, partendo in alcune zone già da fine agosto – e la farina: un cibo semplice e di sostanza, che accompagna bene bevute e chiacchierate. Con una pietanza di questo tipo l’aspetto interessante dell’abbinamento è il gioco tra la mineralità della birra e le tendenze dolci della zucca, oltre alla capacità di detergere l’oleosità data dalla presenza di acidità e CO₂.

Mozzarella in carrozza

Proseguiamo con la mozzarella in carrozza, piatto della tradizione laziale e campana, che storicamente si preparava con gli ingredienti dell’“avanzo”: pane (una volta la mezza fetta della pagnotta, oggi pancarrè – dal francese pain carrè, pane quadrato), inframezzato da fior di latte/mozzarella e alici, coperto col pangrattato e poi fritto. Anche qui la birra fa un lavoro di servizio, ripulendo opportunamente il palato e baloccandosi con l’aromaticità dell’alice (la cui sapidità viene già smorzata dalle copiose tendenze dolci presenti) e il lattico del formaggio.

Ciccioli

Altra preparazione che abbiamo messo a tavola sono i ciccioli, famoso piatto emiliano (ma in realtà parte di numerose tradizioni contadine appenniniche), che si produce utilizzando il grasso della pancia del maiale, magari ancora con qualche roseo pezzettino di carne attaccato: perché non tutto il grasso è uguale – come vanamente, da anni, provo a spiegare al mio medico di base. Deve essere ridotto a piccoli lembi, sciacquato, salato e messo in una padella a cuocere lungamente con l’acqua e qualche foglia d’alloro: il primo olio che otterremo è il “fiore di strutto”, che solitamente viene messo in contenitori di vetro, dove  solidifica per poi essere usato come grasso di frittura o di conserva; lasciando cuocere ancora la parte solida, si ottengono i nostri ciccioli, che saranno pronti una volta addizionati di pepe, pestati e raffreddati. Accostati alle Berliner Weisse, l’effetto è quello di un incontro tra tipi rustici che trovano intelligentemente il modo di andare d’accordo: gasatura e acidità ovviamente nettano la grassezza, ma è il pepe a fare da anarchico sparigliatore, accentuando la sensazione di vivacità e l’effetto dinamico del sorso. Un abbinamento da osteria e da ripetizione compulsiva.

Capitone

Esattamente lo stesso esito che si configura nell’accostamento col napoletanissimo capitone, altra ricetta che abbiamo realizzato per la nostra tavola. La parola viene dal latino “caput”, cioè testa: è quella della femmina dell’anguilla, che viene mozzata per la preparazione (assieme a coda e viscere) in un rito quasi sacrificale, carico di simbolismi che mescolano riferimenti pagani e biblici. Poi si sciacqua, si taglia a pezzi, si infarina e infine si frigge. Anche in questo caso l’incisività e l’anima selvatica della birra incontrano con profitto la peculiare aromaticità del “serpente acquatico” e l’untuosità della sua preparazione, rendendo alla bocca una gran soddisfazione.

Crocché

Mantenendo il solco della grande tradizione partenopea, chiudiamo questa carrellata con il crocché, dal francese croquette, caratterizzato dall’esterno croccante e dal morbido interno, con un ripieno di patate bollite, sale, pepe, Parmigiano, prezzemolo e un tocchetto di provola. Sagomato come una sorta di “siluro arrotondato”, viene impastellato e passato nel pan grattato, prima della frittura. La Berliner Weisse, oltre la capacità di detergenza, trova un fertile sentiero di dialogo: contrapponendosi alle tendenze dolci del cibo e alla sua capacità accomodante, genera una bizzarra armonia e aggiunge quel necessario elemento di dissonanza che fomenta la sorpresa. Ne risulta una bocca con un particolare equilibrio, flebilmente erbacea e fortemente appagata.

Roberto Muzi
Roberto Muzi
Docente, degustatore e consulente di settore. Classe 1980, appassionato di fermentazioni e di tutto ciò che riguardo quello straordinario micromondo abitato da lieviti e batteri, è sommelier, scrittore, divulgatore birro-gastronomico e giurato in alcuni concorsi nazionali. Ama leggere e bere birra mentre segue il calcio: una semplice scusa, sciocca e inossidabile, per foraggiare il consumo pro-capite italiano.

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