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Comfort beer: quando il piacere di una bevuta va oltre la birra

Qualche giorno fa, leggendo Boak & Bailey’s Beer Blog, mi sono imbattuto nell’espressione “comfort beer”, che trae chiaramente ispirazione della più diffusa “comfort food”. Come spiega Wikipedia, il comfort food è un cibo che restituisce al consumatore un senso di benessere psicologico e che talvolta si arricchisce di valori sentimentali e nostalgici. Studi hanno dimostrato che il suo consumo è spesso una risposta a uno stress personale, quindi è normale che come concetto si sia sviluppato con la crescente frenesia della nostra società moderna. Ma ciò che a noi più interessa è se una simile definizione si può declinare anche al nostro mondo. La risposta direi che è assolutamente sì, poiché chiunque di noi nella sua carriera di bevitore si sarà accorto che esistono birre capaci di regalare sensazioni analoghe. Cerchiamo allora di illustrare meglio questa idea.

Partiamo allora cercando di esaminare i tipi di birre che possono rientrare nella suddetta espressione, legandole a precisi contesti. Il filo conduttore è la loro capacità di regalare una sensazione di benessere psicologica al di là del loro mero valore organolettico. Ragionandoci ho isolato le seguenti tipologie.

La birra defaticante

La propensione dei microbirrifici verso le sperimentazioni più assurde è dura a morire e può accadere di ritrovarsi al pub e inanellare una serie di assaggi deludenti: prima una simil Gose senza arte né parte, poi una IPA al mandarino completamente sbilanciata, quindi un’Imperial Stout alle alghe marine di cui non berresti più di mezzo sorso. In quei momenti capisci che è il caso di cambiare rotta e vai sul sicuro, ordinando la classica Pils che hai imparato ad amare anni fa. Ti accorgi che non solo è buonissima, ma ti rimette anche in pace con il mondo brassicolo. Il benessere che si ottiene in quel momento va ben oltre il valore intrinseco della birra, perché oltre a regalarti ottime sensazioni gustative, riesce contemporaneamente a rilassare il palato ma soprattutto il cervello.

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La birra associata a momenti piacevoli

Talvolta la Pils citata poco sopra può essere sostituita da una Keller della Franconia o da una classica Bitter inglese. In questo caso oltre al potere defaticante della birra entra in gioco un’altra sensazione positiva, che può essere associata a un viaggio birrario compiuto in passato. Nelle migliori occasioni sorseggiare un’ottima Zwickel nella birreria sotto casa può immediatamente catapultarci con la mente in un biergarten dell’alta Baviera, così come gustare una tradizionale Pale Ale può ricordarci le sere passate negli incantevoli pub di Londra. Queste suggestioni chiaramente offrono un valore aggiunto alla semplice bevuta, perché ci regalano sensazioni positive. Non siamo ancora in una sfera prettamente nostalgica, ma il punto in comune è il ricordo di momenti passati.

La birra nostalgica

Entra in gioco la nostalgia quando invece ci ritroviamo a bere una birra con la quale siamo cresciuti come appassionati e che ha segnato la nostra “carriera”. In passato attribuivamo a tale prodotto un valore ben superiore a quello effettivo, poi col tempo abbiamo imparato che non è quella incredibile perla brassicola che credevamo essere. Ma poco importa: l’importante è che sia una birra onesta, capace di ricordarci da dove veniamo e quanti anni (tanti!) sono passati dai primi assaggi. Chiaramente in questa categoria rientrano produzioni molto personali, perché personale è il percorso intrapreso da ognuno di noi.

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La birra che scalda il cuore (e non solo)

Siete a casa, stanchi morti dopo una dura giornata di lavoro e fuori piove e fa freddo. Il vostro unico desiderio è buttarvi sul divano, accendere la tv o aprire un libro e stapparvi una birra che sia capace di scaldarvi. E la scelta è quasi automatica: prendete dalla cantina quell’intramontabile trappista belga oppure quell’eccezionale Barley Wine inglese. Già dal primo sorso vi sentite perfettamente a vostro agio: gli aromi complessi, il calore dell’alcool e il corpo vellutato vi restituiscono un piacere totale, che non si riduce al semplice consumo della birra. La giusta ricompensa a fine giornata.

La birra che è sempre un affare

Una delle pretese non obbligatorie del comfort food è che sia semplice da preparare. Questo aspetto è impossibile da declinare alla birra, ma secondo me ce n’è un altro che per le sensazioni che regala è molto simile. Mi riferisco al rapporto qualità/prezzo, soprattutto per quei prodotti che provengono da realtà brassicole con un lunga storia alle spalle. Quando il nostro portafoglio comincia ad accusare i prezzi delle bottiglie italiane e di altre nazioni, allora cominciamo a cercare qualcosa di più economico. Questo cambiamento di prospettiva contribuisce a far rientrare nel nostro radar prodotti meno costosi, ma che per un motivo o per un altro tendiamo a scartare: Helles o Pils tedesche o ceche, Belgian Ale appartenenti a marchi “troppo poco artigianali”, APA di birrifici americani che hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli. Quando poi le assaggiamo e ci ricordiamo quanto sono buone, allora otteniamo un piacere aggiuntivo: quello di aver acquistato un’ottima birra a un prezzo molto competitivo. Chiunque di noi ha birre che rientrano in questa categoria e che rappresentano un approdo sicuro nei periodi di magra.

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Queste sono le situazioni che secondo me identificano le comfort beer. Sebbene il concetto di base sia lo stesso, le differenze con il comfort food sono diverse. In particolare la definizione di quest’ultimo richiede che spesso sia previsto un elevato apporto calorico, mentre nel nostro caso può essere una leggera Pils quanto, effettivamente, un muscolare Barley Wine. Come abbiamo visto la facilità di preparazione può essere sostituita dal rapporto qualità/prezzo, mentre la nostalgia solo raramente gioca un ruolo principale, sebbene il legame col passato sia spesso necessario.

Avete altre tipologie di comfort beer da inserire? Quale birra assocereste personalmente a ogni categoria?

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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5 Commenti

  1. Io proporrei la “Birra Everest”, ossia quella che bevi dopo esserti fatto un volo trans-continentale e poi il viaggio via terra in una località semi-sperduta, fuori da ogni giro turistico, solo per andarla a bere sul luogo perché in giro è introvabile. Al netto del c**o che ti sei fatto per raggiungere il luogo e del jet-lag che ti sta ammazzando, la sensazione di appagamento è superiore a quella intrinseca della birra (tanto più che sai che ben difficilmente diventerà una “birra associata a momenti piacevoli” perché tornato a casa non la ritroverai più).
    Per la birra che scalda il cuore mi sembra riduttivo associarla solo ai Barley: dopo una giornata pesante anche una Bitter fatta bene (ma il discorso può valere per altri prodotti a bassa gradazione) può rappresentare una valida ancora di salvezza ^_^

  2. Io aggiungerei la “birra-sound”, cioè una birra che assaggiandola ti porta immediatamente a riconoscere il “marchio di fabbrica” del birrificio che la produce e che quindi ha un “sound” identificabile rispetto alle altre birre della gamma (mi vengono in mente De Dolle e Struise ad esempio), proprio come un gruppo musicale.
    Quanto alle categorie del post, la defatigante per eccellenza per me è una mild, si trova sempre pochissimo in giro ma almeno per me è da secchiate.
    Aggiungerei tra le “scalda-cuore”, una acida d’annata, impolverata e da aprire infatti non necessariamente per le grandi occasioni, ma anche per risolvere una serata “blue”.

  3. Io aggiungerei la “birra delle vacanze”.
    Adorando la Croazia e andandoci spesso, la prima cosa che faccio quando entro nel confine di questo magnifico Paese è fermarmi in un bar e bermi una bella “Ozujsko”, una birra che purtroppo si trova solo li.
    Da quel momento iniziano davvero le mie ferie

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