Se siete lettori assidui del sito ricorderete che a metà luglio vi proposi tre temi di viaggio birrario, uno dei quali dedicato agli Stati Uniti. Tra le tappe citate in Nord America avevo indicato l’Oregon, considerata una delle realtà più interessanti di tutti gli USA, abbinato magari a una visita a Seattle, nel vicino stato di Washington. Seguendo i social di Cronache di Birra negli scorsi giorni, avrete notato che la mia estate ha seguito più o meno lo stesso itinerario, ma in maniera più ampia: ha coperto gran parte della Pacific Northwest, toccando anche Vancouver prima di convergere verso i parchi della provincia canadese di Alberta. Non è stato un viaggio birrario in senso stretto, ma grazie anche alla disponibilità e alla curiosità dei miei compagni di ventura (non sono beer nerd come me!) la birra ha scandito ogni singola giornata passata in quella splendida regione. Nel pezzo di oggi cominceremo a ripercorrere il tour partendo proprio da Portland e dalla costa dell’Oregon.
Portland è la maggiore città dell’Oregon, ma ben lontana dall’idea di metropoli statunitense tipica dell’immaginario collettivo (gli abitanti sono poco più di mezzo milione). È un centro urbano con una sua curiosa identità, in cui sembrano convivere espressioni della provincia americana accanto a elementi sociali più moderni. “Keep Portland Weird” (“Fa sì che Portland rimanga bizzarra”) è il suo slogan, che ben riassume l’anima di una città in cui si si respira una grande libertà personale. È anche una delle beer city per eccellenza degli Stati Uniti, grazie alla presenza di decine di birrifici che puntellano il territorio urbano ed extra urbano. Un fenomeno che probabilmente deriva dall’attenzione nei confronti dei piccoli produttori indipendenti, vista anche la diffusione di torrefazioni, distillatori, food truck e sidrerie artigianali.
Rimanendo nei confini della birra, grazie alla sua sconfinata offerta Portland permette di conoscere sia birrifici dalla lunga militanza che produttori giovanissimi, trovando in entrambi i casi diverse incarnazioni delle maggiori tendenze del mercato. Nella mia prima sera in città ho avuto un assaggio di ambedue le fattispecie, grazie ad altrettanti locali posizionati nel cuore della downtown: Deschutes e Von Ebert. Deschutes (sito web) è un birrificio che è stato fondato esattamente 30 anni fa nella cittadina di Bend e per la Brewers Association è oggi il decimo produttore craft degli USA. È un’azienda che ha raggiunto dimensioni enormi, ciononostante gode ancora di un certo rispetto nella comunità degli appassionati. Nello splendido pub di Portland ho trovato davvero piacevole la Black Butte, una Porter che curiosamente rappresenta l’ammiraglia della casa, mentre mi hanno lasciato piuttosto indifferente la IPA Mirror Pond (non pulitissima) e la Passion Fruit IPA.
Von Ebert (sito web) è invece uno dei nomi in ascesa tra i produttori che hanno aperto in città negli ultimi tempi (è stato inaugurato solo la scorsa estate) e vede coinvolto Sean Burke, formatosi presso The Commons – birrificio estremamente quotato, che tuttavia ha chiuso i battenti a fine 2017. Il brewpub sorge all’interno di un edificio moderno, solo apparentemente anonimo (a prima vista ricorda un autogrill): gli interni sono spartani, ma è impossibile non apprezzare le ampie vetrate, la cura nei dettagli e uno scenografico soffitto a volta in legno. Le birre sono ispirate alle principali mode del momento, ma strizzano anche l’occhio agli stili europei (seppur in chiave moderna). Non a caso ho ordinato una Brut IPA (Sabrage, che non mi ha convinto fino in fondo) e una gradevole Farmhouse Ale. In entrambe le tappe non mancavano ovviamente birre hazy o create sul modello delle New England IPA, una costante di tutta la vacanza.
Il birrificio che mi è piaciuto di più a Portland è stato Great Notion (sito web), bellissimo brewpub situato nella zona di Alberta Street. Nella comunità dei beer geek gode di un’elevata reputazione grazie alle sperimentazioni del “guru” James Dugan, che sarebbe riuscito a coltivare un lievito peculiare recuperandolo dalle lattine di The Alchemist e Hill Farmstead. Leggende a parte, il locale si contraddistingue per una piacevole atmosfera, per un suggestivo dehors, per una cucina squisita e, soprattutto, per ottime birre. Non tutte ottime per la verità – quelle pesantemente aromatizzate con frutta e altri ingredienti non mi sono piaciute – ma se ci limitiamo alle IPA tendenti all’opalescente spinto, sono state sicuramente tra le migliori bevute del viaggio. È una destinazione consigliatissima, soprattutto in orario di pranzo.
Non si può dire che goda della stessa atmosfera il locale di Hair of The Dog (sito web), situato sulla sponda orientale del fiume Willamette, praticamente alla fine del ponte Morrison. L’ambiente è spartano in senso letterale e l’odore di legno marcio (e non solo) non aiuta. Qui, per la prima e unica volta durante tutta la vacanza, ho ordinato un flight da degustazione con quattro birre della casa. È una soluzione teoricamente comoda e molto utile, ma alla quale ricorro di rado perché preferisco sempre visitare un locale bevendo la propria birra nel formato “normale”. La tappa non mi ha fatto impazzire: direi che le creazioni di Hair of The Dog si esprimono decisamente meglio in bottiglia. A proposito di bottiglie, in uno dei negozi specializzati della città ne ho acquistato un paio di altrettanti marchi locali: una validissima Pilsner di pFriem e una mediocre Endless IPA (hazy) di Gigantic.
Le bevute a Portland si sono concluse qui, perché successivamente ci siamo spostati verso l’Oregon Coast. Di luoghi da visitare ce ne sarebbero stati ancora tanti (Cascade, Culmination, Upright, Hopworks, Breakside, ecc.), ma il tempo da dedicare alla città non era infinito. Poco male, perché anche fuori dal principale centro dello stato la birra non è certo mancata: così come a Portland le produzioni craft sono pressoché onnipresenti e non esiste ristorante che non abbia almeno tre o quattro spine dedicate ai microbirrifici locali. La prima tappa costiera è stata la città di Newport, sede, tra gli altri, del celeberrimo birrificio Rogue (sito web). Anche se il marchio è ben conosciuto anche dalle nostre parti, rappresenta sempre un gran bere: Shakespeare Stout, Brutal IPA e Dead Guy Ale hanno accompagnato in maniera favolosa la chiusura di giornata, non prima di un’indimenticabile cena a suon di granchi accompagnata dalla Carina Peach Sour di Ecliptic (birrificio di Portland).
La successiva sosta è stata la cittadina di Astoria, famosa per il film cult Goonies e per il suo litorale a dir poco evocativo. Partendo da Newport si incontrano almeno due tappe imperdibili per ogni appassionato di birra: il Pelican a Cape Kiwanda e De Garde a Tillamook. Il primo (sito web) è semplicemente uno dei birrifici con la vista più scenografica del mondo, situato esattamente su una spiaggia dominata da un possente monolite. Inoltre non si contano i premi ottenuti nei concorsi internazionali, compresi quelli conquistati nel prestigioso Great American Beer Festival. Al Pelican ho assaggiato l’IPA Umbrella e soprattutto la Cream Ale Kiwanda, scoprendo che questo stile autoctono degli USA è molto diverso dalle sue (poche) interpretazioni europee: è incredibilmente simile a una Lager standard, con una componente amara sorprendentemente contenuta. Poco fortunata invece la visita a De Garde (sito web), che ho trovato chiuso e che avrebbe aperto solo quattro ore più tardi.
Astoria è esemplare per spiegare la diffusione di birra craft in questa parte degli Stati Uniti: anche una cittadina portuale di meno di 10.000 abitanti può vantare (almeno) quattro birrifici artigianali. Così tra un fish and chips e una polpetta di granchio ho potuto assaggiare anche la IPA di Buoy e le “forestiere” Mountain Rescue di Good Life (Bend) e Boont di Anderson Valley (Boonville, California). Lasciata Astoria siamo entrati nello Stato di Washington per raggiungere Seattle, dove è continuato il leit motiv birrario. Ma di questa parte del viaggio vi racconterò nella seconda puntata del resoconto.