Ieri vi ho raccontato la prima parte del mio viaggio in Slovenia, organizzato da Best Press Story e finalizzato a scoprire la realtà birraria locale. Ci eravamo lasciati con la beer firm Maister Brewery, incontrata dopo la visita a due birrifici molto piccoli: Carniola e Hopsbrew. Tutti progetti che mostrano alcuni punti in comune, come una fortissima predilezione per gli stili di stampo americano e un’evoluzione ancora acerba, sebbene caratterizzata da un discreto livello qualitativo. Da qual momento – per pura coincidenza – siamo entrati in contatto con progetti più grandi e più ambiziosi, indipendentemente dal livello generale delle birre. Il primo esempio ci si è palesato quando abbiamo finalmente raggiunto la città di Lubiana.
È proprio nella capitale della Slovenia che sorge il birrificio Tektonik (sito web), aperto da poco più di un anno ma già apparentemente solido e ben strutturato. Netta la differenza rispetto ai precedenti produttori incontrati: siamo improvvisamente passati da luoghi angusti, procedure manuali e piccoli impianti ad ampi spazi disponibili, una sala cottura di tutto rispetto (10 hl) e grandi potenzialità di crescita. Soprattutto di Tektonik mi ha colpito la comunicazione: il logo, il packaging e l’identità visiva in generale sono curati in maniera esemplare, dimostrando attenzione in un aspetto che spesso è trascurato nei mercati più giovani.
Il birraio è Marko Jamnik e ha una storia interessante alle spalle. Iniziò la sua esperienza come homebrewer durante la sua residenza a Roma, dove ha vissuto per 8 anni. A quei tempi era solito frequentare il Ma che siete venuti a fà e fu così che si appassionò al suo hobby tanto da trasformarlo nel suo lavoro – Marko nasce come fotografo e un barlume proveniente dalla mia pessima memoria mi fa supporre di aver condiviso con lui qualche birra nel locale trasteverino. In termini di stili la sua predilezione è per le tipologie belghe, ma per assecondare il mercato gran parte della linea di Tektonik si ispira – indovinate un po’ – alla cultura brassicola statunitense. Così in gamma troviamo ad esempio due American Ipa “cugine”: la Dizzy, realizzata con soli luppoli americani, e la Iggy, molto più classica come impostazione e tendente al resinoso. Successivamente abbia assaggiato la Nelson, definita una India Black Ale (malti scuri ben controllati e grande potenza dei luppoli), ma personalmente il colpo di fulmine è arrivato con la Hercule, una Witbier brassata con coriandolo, bucce d’arancia e pepe nero: fresca e dissetante come le migliori Blanche, è una splendida esplosione di aromi che virano fino al cocco.
Il Tektonik è stato il terzo birrificio di fila visitato nel pomeriggio di venerdì, ma questo non mi ha impedito di fare un giro notturno di Lubiana per un’ultima birretta mentre i miei compagni di viaggio erano ormai a letto, devastati dalla giornata. Tempo cinque minuti e ho raggiunto il Sir William Pub (sito web), locale centrale e molto accogliente, che accanto a birre semi industriali propone tante produzioni artigianali slovene. Qui ho bevuto una Stout di Human Fish, uno dei microbirrifici più quotati del paese, la conoscenza del quale avrei volentieri approfondito. Ma era tardi e il giorno dopo ci avrebbe atteso un sabato molto impegnativo.
E sì, perché l’indomani ci siamo alzati di buona leva per rispettare i tempi del programma, che prevedeva uno sconfinamento in Austria. È infatti proprio al di là del confine che sorge il birrificio Bevog (sito web), austriaco nella sede ma sloveno nel suo fondatore, Vasja Golar. Molti di voi conosceranno questo produttore che è ben distribuito in Italia, non tutti però sapranno il motivo che nel 2013 spinse Vasja ad aprire in terra straniera. Ebbene, la causa è la stessa con la quale lottano quotidianamente i birrai italiani: la burocrazia. Dopo un’infinità di tempo perso dietro i funzionari sloveni, Vasja decise che era arrivato il momento di percorrere una strada differente e così trovò nella vicina Austria una realtà completamente diversa.
Così Bevog ha trovato casa al di qua del confine austriaco, in un contesto che gli ha permesso di crescere a dismisura in pochissimi anni. Oggi l’intero progetto è a dir poco impressionante: un impianto da 15 hl, una capacità di 7.000-8.000 hl annui (che probabilmente raggiungerà nel corso del 2017), una cantina sconfinata e addirittura una linea di inlattinamento con la quale produce le sue splendide lattine. Alle spalle di Bevog c’è dunque una visione chiara e pesanti investimenti, che rendono questo birrificio un vero gioiello. Anche in questo caso le birre sono ispirate agli stili americani, ma più in generale si respira una filosofia produttiva che lo accomuna ai produttori mondiali più à la page in questo momento.
Nella bella tap room del birrificio abbiamo assaggiato quattro birre: Orange Unicorn Saison (con buccia d’arancia italiana), Deetz (una Golden Ale maltata ma anche amara), Tak (una Pale Ale moderne, ma senza eccessi) e Kramah (una IPA in chiave americana). Poi per pranzo ci siamo spostati al ristorante Golar (sito web), gestito dalla famiglia di Vasja, dove abbiamo continuato a bere accompagnando il tutto con l’ottima cucina della casa. Abbiamo quindi proseguito con Ond (una Smoked Porter gentile), Brown Snowball (Porter al cocco, di grande carattere), Mikksicko Lager (con fiocchi d’avena) e Yellow Snowball (Tripel non molto elegante, ma pulita e piacevole). Inutile dire che Bevog è stato il birrificio più grande e strutturato dell’intero viaggio, lontano anni luce – e non solo per dimensioni – dalle realtà conosciute in precedenza.
Tornati in territorio sloveno siamo stati ospiti del Bunker Pub (pagina Facebook), dove abbiamo assaggiato le birre della casa prodotte presso il birrificio Lila Misa. Il locale è molto suggestivo e sicuramente piacerà agli appassionati delle atmosfere apocalittiche: splendidamente arredato in stile steampunk, è uno di quei pub “tematici” tanto in voga in passato e per i quali oggi mi capita di provare una certa nostalgia. Alla spina ci sono solo birre industriali (a parte una a marchio Bunker Beer), ma è con la lista delle bottiglie che le cose si fanno interessanti, almeno per la scena slovena: tra le quaranta etichette disponibili troviamo sia microbirrifici locali, sia marchi consolidati nel resto d’Europa. E ovviamente anche le birre della casa: abbiamo assaggiato un’American IPA e una Belgian Dark Ale, che ho trovato interessanti ma niente di più.
L’ultimo giorno abbiamo visitato Pelicon (sito web), uno dei birrifici dalla migliore nomea in Slovenia. I due soci sono Anita e Matej: la prima, designer, si occupa della comunicazione dell’azienda e dei rapporti commerciali; il secondo, con una decina di anni di homebrewing alle spalle, è il birraio. Partirono con la loro avventura nel 2013, nonostante poco tempo prima fosse fallito il loro tentativo di rivolgersi al meccanismo del crowdfunding (il progetto su Kickstarter non raggiunse l’obiettivo prefissato). Decisero di andare comunque avanti con la loro idea e tanto coraggio è oggi ripagato dalla considerazione che hanno acquisito nell’ambiente. Il birrificio, che produce 1.200 hl annui, è situato in una zona molto tranquilla, che abbiamo raggiunto dopo una splendida passeggiata tra i boschi guidati dalla stessa Anita. L’escursione è terminata sulle rive di un ruscello, dove abbiamo iniziato ad assaggiare le birre a marca Pelicon.
Il primo impatto è stato esaltante, grazie alla Quantum. Si tratta di una Double Ipa da urlo, chiara ed estremamente bevibile nonostante la sua gradazione alcolica (8%). È amara quasi al limite del graffiante a fine corsa, ma anche profumatissima ed estremamente appagante. Assai pericolosa, è una di quelle birre che mentre stai bevendo il primo bicchiere già pensi al secondo. Dopo questo debutto ci siamo spostati al bistrot Faladur (sito web), dove abbiamo continuato ad assaggiare le produzioni Pelicon abbinandole alla squisita cucina del posto. Nell’ordine abbiamo bevuto Out of China (definita Hoppy Red Ale, leggera e facile da bere), Yes Boss! (APA realizzata con Styrian Wolf, Equinox e Sorachi Ace, ben bilanciata), 3rd Pill (la IPA pluripremiata della casa, fruttata e aromatica, luppoli Simcoe, Columbus e Chinook per l’aroma, Aurora per l’amaro), Black Aurora (Dark Ale nata per valorizzare i luppoli sloveni Aurora e Styrian Wolf), Coffee Stout (con aggiunta di caffè appena tostato di un produttore locale) e Winter (Winter Warmer con vaniglia, cannella e altre spezie). L’impressione generale è di birre di alto livello qualitativo: la nomea di Pelicon è ampiamente meritata.
Salutati i ragazzi di Pelicon ci siamo rimessi in macchina per tornare in Italia. Conoscere da vicino la realtà birraria slovena è stata una grande esperienza, che mi ha solleticato alcuni riflessioni che vi riporterò nei prossimi giorni. Ringrazio Best Press Story per la splendida opportunità, specialmente nelle persone di Fernanda e Aleš, tutti coloro che ci hanno accolti nei quattro giorni di viaggio e i compagni di ventura, con cui è stato piacevole condividere il tour in una terra meravigliosa.
Escludendo Bevog, mi pare che Pelicon sia il più interessante perchè punta sui luppoli sloveni e su una produzione più variegata. Non mi piace assolutamente il teku adottato come bicchiere ufficiale del birrificio. Andrea, spero che tu lo abbia fatto notare a Matej e Anita 🙂
Eheh ma ormai il Teku è più mainstream della Peroni. Considera che neanche sapevano il “Ku” del nome cosa significasse (il “Te” sì però 😉 )
Ad una corretta e veritiera descrizione del TEKU, dovrebbero seguire 92 minuti di applausi di fantoziana memoria.
Anche HumanFish sta venendo su bene.
Ma una capatina a Zalec a vedere il museo del luppolo e la famosa fontana l’hai fatto? C’è anche un giovane e piccolo birrificio in zona, il Green Gold, che fa capo ad una delle più grandi hops farm della regione.
Avevamo un programma prestabilito e ci scorrazzava in giro l’organizzazione, quindi non abbiamo potuto muoverci liberamente. Di Green Gold mi hanno parlato i ragazzi di Pelicon, spiegandomi che le sue birre son a dir poco di carattere 🙂