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I buoni propositi dell’homebrewer per l’anno nuovo

Arriva l’anno nuovo, è il momento di bilanci e buoni propositi. Non sono solito farne troppi, ma quest’anno mi piaceva riflettere su quali sono stati i punti cardinali, se vogliamo le “svolte”, nel mio modo di produrre birra in casa. Quelle progressive evoluzioni che ogni homebrewer con un minimo di curiosità e passione per questo hobby dovrebbe prima o poi almeno prendere in considerazione. Per carità, si può vivere questo hobby anche restando sempre fedeli a se stessi senza evolvere, è assolutamente legittimo e degno del massimo rispetto. Ma chi vuole migliorare le proprie birre ed estendere il range d’azione delle produzioni, qualche passo in avanti dovrebbe provare a farlo. Ecco quelli che secondo me sono i buoni propositi per l’anno nuovo che ogni homebrewer dovrebbe avere. Probabilmente molti passi sono stati già fatti, a me personalmente manca l’ultimo. Sarà quello il mio buon proposito per il prossimo anno da homebrewer.

Fare meno birra, più spesso

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Sia chiaro, non ce l’ho in assoluto con chi produce 100 o più litri di birra in casa. Ciascuno è ovviamente libero di condurre questo hobby come meglio crede. Del resto non siamo in Repubblica Ceca dove il limite per la produzione casalinga – teorico, poi vai a controllare – è fissato a 200 litri. Il punto è un altro. Se davvero l’obiettivo è migliorare come homebrewer nella produzione di birra, dalla ricetta all’imbottigliamento fino alla maturazione, la strada migliore è quella di fare esperienza. Sia nella produzione, sia nell’assaggio. Ridurre la quantità di litri prodotti a ogni cotta aiuta moltissimo in entrambi gli aspetti. Nella produzione, perché permette di mettersi dietro al pentolone più spesso, riducendo non tanto i tempi di cotta, che non variano moltissimo tra la produzione di 10 o 100 litri, ma quelli complessivi dedicati a ogni birra, dalla macinatura dei grani fino all’imbottigliamento. Produrre meno birra stimola anche all’acquisto di birre commerciali, aprendo la mente e i sensi alla enorme varietà di aromi e sapori che ciascuno stile birrario può esprimere. Certo, se si produce birra in tre o quattro amici, fare 10 litri alla volta è limitativo, me ne rendo conto. Ma non c’è bisogno comunque di arrivare a 100: una ventina di litri, 5 o 6 a testa (che sono 15-20 bottiglie da 33cl) sono più che sufficienti per valutare se la cotta è riuscita, godersela se è venuta bene e magari lasciar invecchiare 5 o 6 bottiglie.

Questo ovviamente se la birra che produciamo non è l’unica tipologia di birra che beviamo e assaggiamo. Se è così, ovviamente la strada delle piccole produzioni non ha alcun senso: evidentemente non siamo alla ricerca di un miglioramento o di una conoscenza maggiore degli stili, ma di un sorso piacevole (sperando che la cotta riesca) da condividere con amici e parenti. Il che va più che bene, intendiamoci, piano piano si può anche migliorare con un po’ di attenzione, ma di certo non si arriverà a raffinare una ricetta in breve tempo. Per farlo servono prove, molte delle quali non riusciranno alla perfezione. Mi chiedo sempre dove finiscano quei 100 litri di birra quando una cotta riesce parzialmente o non riesce affatto. Chi se li beve? Io non riuscirei, sinceramente, anche perchè consumare alcol sappiamo tutti che fa male (i rischi superano di gran lunga i benefici, non citatemi le solite ricerche acchiappa-click) e tra buttare 10 o 100 litri nel lavandino scelgo di gran lunga la prima. 

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Iniziare a utilizzare lieviti liquidi

Conosco tanti homebrewer, anche con una certa esperienza (chi sa, sente il fischio nelle orecchie) che continuano a rifiutarsi di utilizzare lieviti liquidi per la produzione di birra in casa. Il che, lasciatemelo dire, è un grandissimo limite. Se 20 o 30 anni fa produrre birra in casa con lieviti liquidi significava, nella maggior parte dei casi, brancolare completamente nel buio, oggi non è più così. Produttori e rivenditori di lievito hanno fatto passi da gigante: le varietà in commercio sono decine e decine, la conservazione al freddo delle bustine è prassi comune, i trasporti sono veloci e spesso anche refrigerati. Esistono libri, blog e addirittura intere puntate di podcast dedicate alla gestione dei lieviti in casa: propagazione, recupero, fermentazione. A mio avviso il passaggio ai liquidi dovrebbe essere una scelta naturale dopo i primi anni di produzione.

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Questo non significa che i lieviti liquidi siano migliori dei secchi in assoluto, anzi, in alcuni casi i secchi restano una valida opzione. Penso al US05 e al W34/70 della Fermentis, o al BRY-97 della Lallemand, solo per citarne alcuni. Lieviti secchi che vengono regolarmente utilizzati da homebrewer e birrifici per produrre ottime Lager o birre luppolate, ma anche Imperial Stout, Bitter, Porter e Stout. Se i lieviti secchi costituiscono un’ottima opzione per chi si avvicina a questo hobby, soprattutto per la semplicità di gestione, il loro utilizzo inizia a diventare un forte limite man mano che si va avanti. È un vero peccato perdersi le sfumature organolettiche che un lievito liquido inglese può dare a una Bitter o a una Mild, è praticamente impossibile riprodurre il profilo di una Tripel o di una Saison (alla Dupont, per capirci) utilizzando solo lieviti secchi. Ma anche sperimentare i liquidi su una Lager, andando oltre il terreno battuto dal W34/70, può regalare emozioni  e sorprese (anche negative, eh, ma fa parte del cammino). Insomma, cari amici homebrewer, scendete dalla comoda poltrona e provate a fare il grande passo, non ve ne pentirete.

Provare la contropressione

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Se penso al me stesso di qualche anno fa, mi viene da sorridere. Ricordo benissimo quando scrivevo che mai e poi mai avrei provato la contropressione. Che era tutto troppo complicato, che gli homebrewer stavano esagerando e che, in sostanza, non ne valeva la pena. Salvo poi ricredermi qualche tempo dopo, quando decisi che non potevo continuare ad assistere immobile all’evoluzione che ormai mi circondava e che forse aveva senso provare. Acquistai così i primi fusti, la prima bombola di anidride carbonica, un secondo frigo da dedicare allo stoccaggio al freddo e alla spillatura. Da allora non sono più tornato indietro. Non ho intenzione di dilungarmi oggi sull’esaltazione della contropressione – ci sono decine di post e articoli sul web al riguardo – vorrei tuttavia cercare di contenere paure e tentennamenti evidenziando come il passaggio a questa tecnica non debba essere necessariamente tranchant.

Leggere in giro per il web e guardare video su YouTube che raccontano questo approccio può intimidire: fermentatori isobarici, strumentazione costosa, interi magazzini dedicati a fermentazioni e imbottigliamenti. Ecco, non deve andare necessariamente così. O almeno, non subito. Ci si può avvicinare alla contropressione anche in modo graduale, spendendo inizialmente poche decine di euro per godere di significativi benefici e iniziare a fare esperienza. Non esiste un unico approccio alla contropressione e non è vero che si debba necessariamente fare il passaggio in grande, dimenticando completamente quello che si faceva prima.

Io stesso, dopo diversi anni di contropressione, spesso e volentieri fermento ancora nei secchi di plastica e imbottiglio per poi rifermentare. Altre volte metto tutta la birra in fusto (sempre i soliti 10 litri, altrimenti non saprei che farci) e me la bevo pian piano dalla spina. Altre volte carbono forzatamente aggiungendo anidride carbonica dalla bombola, altre ancora rendo la birra frizzante applicando la valvola di spunding a fine fermentazione. Non fermento mai in pressione perché non lo ritengo particolarmente utile. Insomma, le possibilità sono infinite così come le configurazioni dell’attrezzatura e, di conseguenza, la spesa. Non abbiate paura, provate a pensarci.

Partecipare ai concorsi

Questa è una cosa che mi ripeto sempre anche da solo: dovrei mandare ogni tanto una birra a qualche concorso, mi farebbe sicuramente bene. Al di là dell’esperienza che ciascuno di noi può avere come giudice o come assaggiatore in genere, ricevere feedback disinteressati da altri fa sempre molto bene.

Pur non mandando le birre ai concorsi da un po’, faccio assaggiare le mie produzioni ad amici e conoscenti appena posso. Ricevo feedback più o meno strutturati, e credo nella maggior parte dei casi onesti. Non è infatti raro che mi vengano evidenziati difetti a cui non avevo fatto caso. Si tratta sicuramente di feedback preziosi e utili, ma partecipare ai concorsi è diverso. Entrano in gioco variabili differenti: nei concorsi l’assaggio è alla cieca, e questo garantisce un un feedback senza preconcetti di sorta. Per carità, può essere più o meno valido a seconda del giudice che riceve la birra, ma sicuramente è privo di qualsiasi condizionamento nei confronti di chi la birra l’ha prodotta. Si possono dire peste e corna di alcuni concorsi per homebrewer (e a ragione, in alcuni casi) ma in questi anni di giurie in vari concorsi per produttori casalinghi non mi è capitato mai di sospettare condizionamenti da parte di giudici che conoscevano l’homebrewer che aveva prodotto la birra che stavano assaggiando.

Partecipare ai concorsi fa bene per imparare ad accettare feedback negativi, anche se non concordiamo con quello che è scritto nella scheda e se pensiamo che quei feedback siano stati scritti da qualcuno che non ci capisce granché. La critica, anche se infondata a volte, fa parte del gioco. Fortunatamente il livello dei giudici e dei concorsi in italia si sta alzando molto, il che fa ben sperare per il futuro.

Essere parte attiva di un’associazione di homebrewer

Chiudo con il proposito forse più importante tra tutti quelli elencati sopra. Purtroppo, qui a Roma dove vivo e produco, non ci sono associazioni di homebrewer. Con qualcuno ci si vede ogni tanto per scambiare quattro chiacchiere e qualche bottiglia delle nostre produzioni, ma non c’è quel fervore associativo che vedo in molte altre regioni e che fa davvero bene alle persone e al movimento. Far parte di un’associazione di homebrewer rappresenta a mio avviso lo spirito puro di questo hobby: la socialità e la voglia di confrontarsi.

Le attività che si possono organizzare sono tante, possono andare da sessioni di approfondimento su determinate dinamiche produttive, agli ingredienti, all’assaggio delle reciproche produzioni; ma anche l’approfondimento dei difetti, i concorsi, le gite presso birrifici accompagnate dai birrai. Far parte di un’associazione attiva sul proprio territorio mette la birra al centro di un contesto sociale, che poi è da sempre il collante intrinseco legato a questa meravigliosa bevanda.

Ecco: il mio proposito per il nuovo anno è almeno iniziare a pensare ad una associazione qui a Roma. Me lo ripeto da tanti anni, ma tra una cosa e l’altra non sono mai riuscito a metterci la testa. Una volta frequentavo un gruppo di homebrewer di zona con cui ci vedevamo regolarmente poi qualcuno ha smesso di produrre, qualcuno è diventato birraio affermato e il gruppo ha prima perso vigore poi è scomparso del tutto. Guardatevi attorno, cercate associazioni e partecipate: è il modo più genuino e piacevole di vivere questo fantastico hobby.

Francesco Antonelli
Francesco Antonellihttp://www.brewingbad.com/
Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Tra i fondatori del blog Brewing Bad, produce birra in casa a ciclo continuo. Insegna tecniche di degustazione e produzione casalinga. Divoratore di libri di storia e cultura birraria. È giudice certificato BJCP (Beer Judge Certification Program).

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1 commento

  1. Grande Frank, per il 2023 metto la spunta sui lieviti liquidi, promesso!
    Mi permetto di aggiungere che spesso lo stimolo per lo step successivo può essere rappresentato dalla cotta fatta a casa dell’amico: vedere una persona alla prese con attrezzatura diversa dalla nostra o che mette in pratica tecniche non familiari a volte ci fa capire che forse non tutto è così complicato come immaginavamo…
    …e poi come tu insegni c’è il grande vantaggio di poter levare le tende con una scusa quando arriva il momento di pulire!

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