Fino a qualche anno fa, avere un homebrewer tra i propri amici era un evento piuttosto raro. Negli ultimi tempi, però, qualcosa è cambiato: gli homebrewers sono spuntati ovunque come funghi dopo una abbondante pioggia. Con loro sta venendo alla luce un ecosistema che fino a qualche anno fa era nascosto nell’ombra di un hobby di nicchia. Basta fare qualche elementare ricerca su Google per scoprire un mondo che si espande giorno dopo giorno: aumenta il numero degli shop online, si allunga l’elenco dei concorsi dedicati alle birre fatte in casa, cresce in generale l’attenzione verso chi pratica questo hobby (la nascita di questa rubrica su Cronache di Birra ne è una dimostrazione).
Come mai la produzione di birra in casa sta suscitando tutto questo interesse nel nostro paese? Perché proprio ora? E, soprattutto, quanti sono gli homebrewers in Italia? Oggi vorrei provare a ragionare su queste domande. Ovviamente non ho le risposte esatte (anzi, forse ho quelle sbagliate), ma azzardo lo stesso qualche riflessione.
Come mai tutto questo interesse per l’homebrewing?
Per rispondere a questa domanda, proviamo a dare prima uno sguardo a un paese dove la cultura birraria, e anche l’homebrewing, hanno radici ben più radicate nella storia: andiamo in Inghilterra. Qualche tempo fa ho letto un articolo molto interessante che analizza il rapporto tra la diffusione dell’homebrewing nel Regno Unito e l’evoluzione economico-sociale degli ultimi tempi. L’Inghilterra, come anche l’Europa, sta vivendo un periodo di austerità che ha avuto un forte impatto su diversi aspetti della vita quotidiana. Anche i pub, da sempre al centro della vita sociale degli inglesi, hanno accusato gli scossoni della crisi economica e sociale.
Il periodo prolungato di austerità sta portando molti pub alla chiusura (20 a settimana, nel 2015) a causa soprattutto dello spostamento del consumo di birra dal pub alle mura domestiche. Questo è dovuto al minor costo della birra da asporto rispetto alla classica pinta consumata al bancone del pub. La crisi economica, unita all’abitudine a un consumo quotidiano, avrebbe avvicinato molti inglesi alla produzione casalinga di birra. La ragione numero uno per l’aumento del numero degli appassionati di homebrewing sarebbe quindi il risparmio.
Su questo aspetto noi italiani siamo decisamente diversi dagli inglesi. L’Italia non ha una vera cultura dei pub, così come non ha una tradizione birraria. Sebbene anche dalle nostre parti si soffra un periodo di austerità economica, credo siano davvero pochi gli homebrewer che producono birra in casa per risparmiare. Su questo aspetto, siamo decisamente diversi dagli inglesi. Ma andiamo avanti.
Perché proprio ora, in Italia?
Da diversi anni stiamo assistendo a un riavvicinamento collettivo al mondo dell’autoproduzione. Grazie all’informazione che viaggia in rete, ma soprattutto a un sentimento diffuso di diffidenza verso i prodotti enogastronomici di origine industriale, molte persone stanno riscoprendo la passione per il pane fatto in casa, il lievito madre, le verdure coltivate nell’orto del vicino, la filiera corta e via dicendo. In questo contesto di riscoperta del piacere per le cose buone e genuine, si inserisce l’attenzione per la birra di qualità (il cosiddetto “movimento craft”) e di conseguenza la voglia di provare a riprodurre in casa sapori e aromi della amata bevanda, dando vita a qualcosa di personale, fresco e, appunto, genuino.
A questo va aggiunto che oggi, rispetto a quasi trenta anni fa, abbiamo a disposizione un patrimonio informativo su ingredienti, tecniche e attrezzature che i pionieri dell’homebrewing in Italia non si sarebbero nemmeno sognati. Produrre birra in casa è la naturale estensione della produzione casalinga del pane, la coltivazione dei peperoncini sul terrazzo, l’autoproduzione del formaggio. In questo senso, mi aspetto a breve una trasmissione TV tipo “4 Brewpub”, sulla falsa riga della serie “4 Ristoranti” di Alessandro Borghese.
Ma non c’è solo questo. La crisi economica ha peggiorato le condizioni lavorative di molti. Anche chi non ha perso il lavoro, si trova spesso a operare in contesti stretti dalla morsa della crisi con effetti drastici sulla qualità del lavoro (aumento del credito non riscosso, guerra dei prezzi, tagli indiscriminati a scapito della qualità dei prodotti, etc…). Molti vedono nell’homebrewing la possibilità di un riscatto, un hobby che si può trasformare improvvisamente nel lavoro dei sogni. Che poi la realtà sia diversa poco importa: i sogni aiutano comunque a vivere meglio; e tanto, spesso, basta.
D’accordo, ma quanti siamo?
Siamo quindi arrivati alla domanda delle domande: quanti sono gli homebrewers in Italia? Nessuno lo sa con precisione, dato che non esistono vere e proprie associazioni nazionali di homebrewers né censimenti organizzati. MoBI, lo abbiamo già scritto, è una associazione nazionale di appassionati di birra ma non accoglie tra i suoi soci esclusivamente homebrewers. Se non erro, MoBi conta ad oggi più di un migliaio di iscritti. Anche fossero duemila o tremila, non credo si possa usare questo numero come una stima del numero degli homebrewers in Italia. Basti pensare che il gruppo Facebook Il forum della birra, uno di quelli più frequentati in Italia dagli homebrewers, conta oltre 4.000 iscritti; lo storico forum di Areabirra ne conta quasi 6.000 (ovviamente con sovrapposizioni di iscritti tra i due).
Come possiamo allora fare una stima sul numero complessivo degli homebrewers in Italia?
Di nuovo, ci voltiamo verso un altro paese: stavolta andiamo negli USA. Nell’ultimo sondaggio lanciato dalla American Homebrewers Association sono stati censiti 1.2 milioni di homebrewers, ovvero circa lo 0.34% dell’intera popolazione degli Stati Uniti. Se applichiamo questa stessa percentuale agli abitanti dell’Italia, otteniamo un valore pari a circa 200.000 unità. A naso, questo numero mi sembra troppo alto. Del resto, sappiamo benissimo che in America lo sviluppo del mercato della birra artigianale è diversi anni avanti al nostro; è ragionevole pensare che lo sia anche quello dell’homebrewing (e da quello che leggo e vedo, lo è). Dobbiamo quindi ridurre di molto questa stima. Di quanto, esattamente, è difficile dirlo. Avendo come riferimento il valore target di 200.000 unità (che raggiungeremo magari tra diversi anni), azzarderei una stima del numero attuale di homebrewers in Italia intorno alle 20.000 unità, con crescita molto alta anno su anno. L’ho sparata troppo grossa secondo voi?
Per me non sei andato lontano dal numero reale.
Per me non sei andato per niente lontano dalla cifra reale.
Soprattutto considerando il proliferare di associazioni e gruppi dedicati all’homebrewing (a me sembrano quasi più le associazioni dei birrai..) e il fatto che sono forse più quelli che cominciano a birrificare grazie all’amico dell’amico, e che quindi lasciano poche tracce su social e forum, che non quelli che partono dall’informarsi via web.
Ancora una volta un’ottima analisi
Grazie Lois!
Il ragionamento fila e non fà una piega. Oltre agli HB di Facebook ci sono anche quelli poco social. Tenendo conto che ci sono in Italia ben 8.092 comuni ed ipotizzando 4 homebrewers (definiti tali anche chi ha fatto una sola volta un kit luppolato) per comune ci ritroviamo con i numeri di Frank.