Oggi, 10 dicembre, è il National Lager Day, una giornata pensata per celebrare il ricco universo delle birre a bassa fermentazione. Per l’occasione pubblichiamo l’articolo a tema che Alessandra Agrestini scrisse in occasione dell’edizione 2024 di Italian Craft Beer Trends, il nostro report annuale che analizza le tendenze del mercato artigianale. Tra queste, c’è proprio la riscoperta delle Lager: un fenomeno recente per l’Italia, ma che, come spiega l’autrice del pezzo, arriva da lontano. Il report completo è scaricabile qui.
Il comparto craft nostrano e le birre a bassa fermentazione: un rapporto che nasce da lontano, pur con fasi alterne e momenti di alti e bassi, ma sempre con un legame vivo e pulsante. In realtà, già prima dell’avvento della rivoluzione artigianale, la scena birraria nostrana aveva tratto ispirazione dalle nazioni confinanti e le produzioni omaggiavano ampiamente tradizione e cultura a bassa fermentazione, principalmente di stampo austriaco e tedesco.
Gli esordi delle Lager artigianali
La via alle basse fermentazioni ha influenzato l’avvio del movimento artigianale, in due diverse modalità, come se nelle scelte degli esordi i primi produttori si fossero trovati davanti ad un bivio. Per alcuni birrifici gli inizi si caratterizzarono per una scelta controcorrente, di rifiuto delle Lager, con l’obiettivo di prendere le distanze da produzioni legate a doppio filo alle bevute industriali che ancora monopolizzavano la proposta birraria del periodo, sia nel mercato interno che di importazione. Per altri produttori craft, invece, al di là dei gusti personali, il mondo delle Lager apparve come una scelta quasi obbligata, sia per la difficoltà di reperimento delle materie prime necessarie per produrre birre ad alta fermentazione, sia per la formazione tecnica di maestri e mentori.
In effetti, per chi aveva appreso l’arte della birrificazione da mastri birrai formatisi alla scuola tedesca, operanti nelle industrie birrarie italiane dell’epoca, la scelta più logica portava proprio verso il mondo a bassa fermentazione, come prosecuzione del percorso formativo. Tra gli esempi, troviamo il Birrificio Italiano, sviluppatosi anche grazie al mentore Gianni Pasa, mastro birraio di Pedavena, e Birra Beba, che fino al 2004 produsse solo birre a bassa fermentazione grazie a consigli e lezioni apprese dal mastro Adis Scopel. Tra i primi sostenitori delle produzioni “a bassa” anche il ligure Busalla; qualche anno più tardi, fecero la loro comparsa anche un paio di produttori di seconda generazione: il ferrarese Biren ed il vicentino Birrone. Due realtà che aprirono le danze nel biennio 2007-2008 con un range di prodotti che si ispirava quasi in toto al mondo tedesco; un amore nato, in ambo i casi, dopo innumerevoli viaggi in Baviera.
Per tutti si trattava di una scelta produttiva non facile: in un mercato che – in quegli anni – stava iniziando a virare verso produzioni sempre più luppolate che riprendevano il percorso craft del mercato a stelle e strisce, le basse fermentazioni necessitavano, tra le altre cose, di maggiori attenzioni dal punto di vista della conservazione. Queste creazioni trovarono spazio quindi solo in alcuni locali, attenti a preservare birre particolarmente delicate, consegnate nel rispetto della catena del freddo.
L’accreditamento delle Lager sul mercato
Con la crescita del numero di microbirrifici artigianali, in parallelo ad una maggior diffusione del comparto, lo sguardo ad alcune nazioni dalla grande tradizione birraria, come la Germania e la Repubblica Ceca, assunse connotazioni più attente e personali, interpretando i dettami stilistici alla luce di una tecnica affinata e di crescente costanza produttiva. Al tempo stesso, si assistette anche ad un’evoluzione nella proposta di locali e beershop che contribuirono ad allargare la platea degli estimatori della bassa fermentazione. La maggiore affezione tra i consumatori venne sugellata anche dal risultato dell’edizione 2014 del concorso Birraio dell’Anno, che vide trionfare Simone Dal Cortivo (Birrone), seguito tre anni dopo da Josif Vezzoli del birrificio Elvo di Graglia, in provincia di Biella. Due dei birrifici che maggiormente identificavano la propria filosofia produttiva nelle birre a bassa fermentazione.
Negli anni inoltre si manifestò un crescente interesse per le diverse sfaccettature di questa famiglia brassicola; il trend spinse diversi produttori ad allargare la propria gamma ad altri stili meno popolari, con risultati eccellenti ed affermazioni prestigiose anche fuori confine. Tali successi convogliarono l’attenzione sulle modalità produttive artigianali nostrane e spinsero alcuni birrai stranieri ad approfondire quanto stava accadendo sul suolo italico. La grande tecnica, unita ad una sana dose di fantasia e di sperimentazione, stava dando risultati davvero interessanti, affermando una sorta di Made in Italy brassicolo che incuriosiva, ad esempio, anche chi produceva da secoli nel rispetto dell’Editto della
Purezza.
L’ascesa e il successo delle Italian Pils
Parlando della tecnica di fare Pils all’italiana, è condizione imprescindibile citare Agostino Arioli del Birrificio Italiano. La genesi di quello che oggi conosciamo come lo stile Italian Pils si fa risalire infatti a due birre ideate da Agostino nel proprio birrificio di Lurago Marinone. Due etichette che hanno segnato la strada per molti altri produttori negli anni a venire: Tipopils, la capostipite, ed Extra Hop, in seconda battuta. Il dry hopping, la tecnica di luppolatura a freddo che conferisce alla birra una maggiore freschezza ed una nota aromatica distintiva senza incidere sul contributo amaricante, caratterizza ambo le birre. Più incisivo l’apporto di questa tecnica nella Extra Hop; l’arco olfattivo, infatti, regala anche note di tipo balsamico, in virtù di un dry hopping più vibrante.
Agostino Arioli fu maestro e mentore di molti birrai che iniziarono a loro volta a cimentarsi con delle produzioni a bassa fermentazione, traendo ispirazione dalle creazioni del Birrificio Italiano e sviluppando ulteriori prodotti iscrivibili nell’ambito di quelle che oggi conosciamo come Pils all’italiana, una categoria che all’epoca non presentava confini ben definiti. Già nel 2010, infatti, si era tentato, senza successo, di raggruppare le diverse Italian Pils in uno stile sotto l’egida del BJCP, ma erano troppe le variabili tra un prodotto e l’altro e la rigida classificazione dell’epoca mal si adattava a quanto stava avvenendo in Italia.
Ciò nonostante, l’eleganza delle produzioni del Birrificio Italiano e della Via Emilia del Birrificio del Ducato, per citare un altro esempio di pregio, riscossero grandi successi anche oltreconfine tanto che il birrificio Firestone Walker si convinse, nel 2013, a brassare la Pivo Pils, ispirandosi dichiaratamente alla Tipopils dell’amico Agostino Arioli. Paradossalmente, si può affermare che il mondo delle Italian Pils, certificato anche dal recente riconoscimento stilistico della Brewers Association, ha trovato un terreno più fertile al di fuori dei nostri confini, in particolare negli Stati Uniti. Sono numerosi i birrifici che si sono cimentati oltreoceano con questa tipologia, senza fare mistero nel rimando agli esempi italiani, a partire dai nomi delle birre che riprendono – in alcuni casi con qualche divertente storpiatura – termini di derivazione nostrana. Sull’onda di questo successo, in tempi più recenti, ha ripreso forza anche in Italia il riconoscimento della tipicità di queste produzioni, e la scritta Italian Pils ha fatto capolino in un numero crescente di esemplari, seppur con nomi che nella maggior parte dei casi tradiscono la consueta, imperante esterofilia.
L’interesse per le Lager della Franconia e della Repubblica Ceca
Se da un lato i produttori nostrani hanno seguito la via della sperimentazione, nello sviluppare prodotti caratterizzati da un tocco italico, tra genio, tecnica e fantasia, sono cresciuti negli ultimi anni anche i rimandi più fedeli al mondo teutonico, nel nome di una rinnovata curiosità nei confronti delle Lager di stampo tradizionale tipiche della Franconia, tra Zwickel, Keller, Landbier ed omaggi alle Rauchbier franconi.
Significativo è anche il numero di produttori che ha salutato un ritorno alla decozione, applicata principalmente al mondo delle basse fermentazioni; una tecnica produttiva che aveva visto un lento declino con l’avanzare della tecnologia, ma che non era mai scomparsa del tutto. Nonostante sia da molti ritenuto un procedimento datato, nonché lungo e dispendioso, la decozione è rimasta nel cuore di alcuni birrai italiani per la presunta maggiore complessità del profilo aromatico data da questa tecnica, assieme ad un tocco di autenticità che ben si sposa con le produzioni artigianali, oltre a regalare un fascino senza tempo.
Lo stesso fascino che ritroviamo nelle produzioni che omaggiano la Repubblica Ceca, una nazione dalla lunga storia birraria che ha ispirato, negli ultimi anni, un numero crescente di Pils nell’accezione ceca/boema sino ad arrivare ad alcune produzioni più recenti che riportano persino in etichetta la complicata classificazione birraria vigente in quella nazione.
Conclusioni
Quale sarà il futuro delle birre a bassa fermentazione nel Bel Paese? Non avendo la sfera di cristallo risulta difficile fare delle previsioni; il presente però è indubbiamente vivo e ricco di esemplari del mondo Lager, con un panorama di produttori che hanno affinato l’arte brassicola sino ad arrivare a delle vette di grande interesse.









