Nel giro di pochi anni l’Italia potrebbe avere un nuovo birrificio trappista, il secondo dopo quello dell’Abbazia Tre Fontane di Roma. Sicuramente è ancora presto per dirlo, ma la scorsa settimana è stata approvata la variante urbanistica che consentirà la realizzazione di un monastero dell’ordine dei cistercensi della stretta osservanza (anche detti trappisti, per l’appunto) a Monte Giove, l’altura più elevata nella serie di colline che circonda la città di Fano (PU), nelle Marche. Tra le finalità previste dal progetto sembrerebbe prevista la produzione di birra artigianale, oltre alla coltivazione agricola e ad altre attività che solitamente scandiscono le giornate delle comunità monastiche e che servono al sostentamento delle stesse. Per quanto possa sembrare assurdo, la nascita del monastero è una tipica storia italiana, perché mette fine a discussioni e ripensamenti che sono durati quasi un decennio. E che immancabilmente hanno coinvolto anche la politica locale.
Monte Giove è da sempre una località a forte impronta religiosa. Sulla sua sommità fu eretto all’inizio del XVII secolo un eremo gestito dalla Congregazione Camaldolese di Monte Corona, che acquistò grande popolarità nei decenni successivi. Secondo l’ente del turismo delle Marche, oggi è abitato da sette monaci e una monaca e dispone di una foresteria che può ospitare fino a 30 persone. Nel 2014 un terreno della zona di Monte Giove fu acquistato dalla comunità dei frati trappisti di Frattocchie, frazione del comune di Marino (RM), con l’idea in futuro di trasferirvisi per trovare un luogo più tranquillo e adatto alla preghiera. Così i monaci sottoposero al comune di Fano il progetto di costruzione di un nuovo monastero, che inizialmente fu accolto positivamente. L’iter però divenne subito complicato, perché per costruire il nuovo edificio sarebbe stata necessaria una variante urbanistica che trovò diverse opposizioni nell’amministrazione comunale. L’impasse andò avanti anche negli anni successivi, fino all’apparente conclusione arrivata solo degli ultimi giorni.
Il progetto dei monaci di Frattocchie prevede di trasformare un casolare già esistente in una foresteria, che inizialmente fungerebbe da residenza per i religiosi nell’attesa della costruzione di un convento su due piani fornito di 23 celle per i monaci, chiesa, sacrestia, refettorio, biblioteca, scriptorium, sala capitolo, sala liturgia, sala parlatori, cucina, dispensa, magazzino e uffici vari. A quel punto la foresteria sarebbe destinata alle attività agricole e, secondo quanto riporta il Corriere Adriatico, alla produzione di birra artigianale. L’iniziativa però ha incontrato da subito l’opposizione delle associazioni ambientaliste e in tempi più recenti del Movimento Cinque Stelle, al quale si sono aggiunti di volta in volta altri amministratori in base alle esigenze del momento. Ciò che tali soggetti contestano è la cementificazione che il progetto comporterebbe, nonché lo sfruttamento di una zona di pregio naturale per finalità che vanno oltre la mera attività religiosa. Obiezioni che in realtà stridono un po’ rispetto alla normale vita delle comunità monastiche, dedite solitamente alla valorizzazione del territorio (per quanto possibile) e a un confronto rispettoso con la natura e con l’ambiente.
Come spiegato, queste obiezioni sono riuscite comunque a rimandare di diversi anni il progetto, fino alla svolta di venerdì scorso. La variante alla fine è stata approvata con 10 voti favorevoli e 4 contrari, oltre a 9 astenuti. Chiaramente sono stati questi ultimi (Lega, FdI e qualche rappresentante del PD e delle liste civiche) a far pendere la bilancia verso l’approvazione della variante, rispetto alla quale si sono opposti fino all’ultimo gli esponenti pentastellati e la consigliera Carla Luzi di InComune. I monaci quindi potranno cominciare a programmare concretamente il loro trasloco da Frattocchie a Monte Giove, anche se per l’edificazione del monastero serviranno diversi anni.
Il portavoce dei monaci di Frattocchie ha espresso soddisfazione per la conclusione della vicenda:
Il trasloco è già iniziato, ma la nostra realtà è molto complessa e dobbiamo organizzarci. È la soluzione che cercavamo da anni e per la quale abbiamo lavorato con il consenso e l’approvazione delle autorità coinvolte.
E la birra trappista? Non è chiaro se i monaci siano interessati a produrla nella loro prossima residenza. Il progetto non sembra fare riferimento esplicito a una zona adibita ad hoc, ma su alcune testate se ne fa parla esplicitamente. È inoltre un argomento utilizzato spesso dalle opposizioni per portare acqua al proprio mulino, come fatto da Cristiana De Bernardis, ex docente e ambientalista vicina al gruppo a supporto dell’assessore Mascarin, secondo quanto riportato da Il Resto del Carlino:
Affinché la birra prodotta dai monaci di Frattocchie possa essere definita “trappista”, è necessario che sia prodotta dai monaci all’interno o in prossimità dell’abbazia. Ecco perché la pretendono quadrata con tanto di chiesa e cimitero. Altrimenti sarebbe semplicemente “d’abbazia”. Siamo disposti a barattare leggi europee cogenti per il business e una denominazione?
Secondo De Bernardis, insomma, il progetto del monastero non risponderebbe a esigenze primarie della comunità monastica, ma al desiderio di mettere su un birrificio artigianale. Una conclusione che a noi sembra basata su congetture infondate e che dimostra poco conoscenza dall’attività brassicola all’interno dei monasteri trappisti.