Quello della cucina alla birra è un concetto che fatica a imporsi a qualsiasi latitudine, nonostante le indiscusse potenzialità e la presenza di esempi illustri in giro per il mondo. Nei paesi a trazione vitivinicola non riesce a emergere per ovvi motivi culturali, mentre nelle superpotenze brassicole come Germania e Regno Unito difficilmente la birra è considerata nell’ottica di abbinamenti consapevoli, figuriamoci come elemento centrale per chef e pasticceri. C’è però un’eccezione a questa regola ed è rappresentata dal Belgio, dove la nostra bevanda è spesso alla base tanto di piatti della tradizione, quanto di preparazioni più ricercate. Ma dove soprattutto si avverte l’interesse a divulgare questa affascinante disciplina in ogni occasione: non c’è viaggio stampa che non preveda una tappa in qualche ristorante con un menu studiato su e con la birra, mentre l’argomento è stato persino approfondito da un trimestrale dedicato, chiamato Belgian Beer and Food (oggi non più prodotto). Negli ultimi mesi però questo fermento ha subito alcune perdite importanti, l’ultima delle quali è arrivata negli scorsi giorni e ha un peso specifico incalcolabile: a Watou ha infatti chiuso i battenti ‘t Hommelhof, uno dei primi ristoranti a puntare tutto sulla cultura birraria.
Come riportato da diverse testate belghe, lunedì scorso lo chef Stefaan Couttenye ha preparato l’ultimo pranzo del ristorante per l’evento di chiusura, che aveva fatto segnare il tutto esaurito da settimane. Couttenye, uno dei massimi esponenti della cuisine à la bière, ha deciso di ritirarsi all’età di 61 anni dopo 38 di onorato servizio, senza tuttavia trovare un acquirente interessato a rilevare l’attività. Nel tempo ‘t Hommelhof era diventato una meta imperdibile per chiunque volesse avvicinarsi alla cucina alla birra, grazie a un menu vario e di altissimo livello – celebri il galletto alla Blanche, il coniglio in salmì alla Blond e il salmone alla Hommelbier – e a diverse proposte di abbinamento. Couttenye aveva anche pubblicato un libro diventato un punto di riferimento nell’ambiente e inevitabilmente intitolato “La cuisine à la bière”.
Lo chef aveva anticipato la chiusura sul suo sito, con un messaggio a tratti toccante:
Cari clienti, cari amici,
38 anni fa questo sbarbato ragazzo girò per la prima volta la chiave del ‘t Hommelhof pieno di speranze. Armato di pentole e padelle ho cucinato guidato da mio cuore. Tre cucine dopo chiudo di nuovo quella porta e – con un po’ di malinconia – lascio la chiave alla spalle. Tra questi due momenti ho vissuto una parte incredibilmente affascinante della mia vita, una parte alla quale non avrei rinunciato per tutti i soldi del mondo. Ci sono stati periodi difficili da affrontare, ma anche innumerevoli momenti che ricordo con piacere. Bellissimi ricordi, aneddoti divertenti, notti selvagge, calde amicizie e soprattutto la travolgente gratitudine che ho ricevuto in risposta.Centinaia di giovani entusiasti hanno imparato qui il loro mestiere. Alcuni hanno proseguito con ottimi risultati, altri hanno scelto altre strade, ma tutti sono sempre tornati con regolarità per una chiacchierata con lo chef. Senza la loro devozione non avrei mai avuto successo. […]
Last but not least voglio menzionare la mia famiglia e soprattutto mio figlio Simon e la sua famiglia. Senza di loro tutto sarebbe stato privo di significato. Da ora voglio vivere una vita più rilassata, per dedicare più tempo ai miei cari e ai miei amici.
Chiaramente la chiusura di ‘t Hommelhof rappresenta una perdita gravissima non solo per il segmento della cucina alla birra, ma anche per il patrimonio birrario del Belgio. La vicenda tra l’altro arriva a distanza di pochi mesi dalla clamorosa chiusura del Restobières di Bruxelles, altra pietra miliare della cuisine à la bière. Sebbene per quest’ultimo indirizzo il destino non sembri segnato definitivamente – dovrebbe riaprire per mano del proprietario della Brasserie Verschueren, importante locale di St. Gilles – in pochissimo tempo il settore ha dovuto incassare l’uscita di scena di due chef fondamentali per la cultura birraria internazionale: prima Alain Fayt e ora Stefaan Couttenye. Una notizia non certo confortante per un movimento che rappresenta l’unico vero avamposto di un modo di intendere la nostra bevanda a servizio della cucina di qualità.