Tramite la propria newsletter, il BJCP ha di recente anticipato alcune novità previste nella prossima revisione delle proprie Style Guidelines. Per chi non lo sapesse, BJCP è l’acronimo di Beer Judge Certification Program, un ente internazionale (ma americano di nascita) che certifica i giudici birrari, fornendo loro vari strumenti di supporto. Tra questi ci sono le Style Guidelines, un documento molto approfondito che elenca tutte le possibili categorie brassicole: l’organizzazione è effettuata nell’ottica dei concorsi a tema, ma di fatto è considerata la bibbia degli stili birrari. Nell’ultima versione, risalente al 2015, il BJCP inserì le Italian Grape Ale tra le tipologie regionali candidate a diventare ufficiali: fu una grande legittimazione per il nostro movimento, che finalmente vedeva riconosciuto come proprio uno stile che si era sviluppato in tutto il mondo grazie all’opera dei birrifici italiani. Quando però si avvicinò il momento di trasformare le Italian Grape Ale in uno stile ufficiale, cominciò a girare la voce che il BJCP volesse rimuovere l’aggettivo “Italian” dal nome della tipologia. Quel timore aveva basi solide e infatti è stato ora confermato dallo stesso BJCP: nella prossima release delle Style Guidelines le Italian Grape Ale saranno denominate semplicemente “Grape Ale”. Una scelta incomprensibile e inaccettabile per diversi motivi.
La nuova versione del documento sugli stili birrari sarà rilasciato a breve, tanto che nel nuovo nome apparirà l’anno 2021 e non il 2022. Sarà un aggiornamento minore, nel senso che la struttura e la suddivisione precedente verrà rispettata, ma saranno presenti varie aggiunte e la riorganizzazione di alcuni stili. Nella newsletter, a firma del Presidente emerito del BJCP Gordon Strong, vengono anticipate diverse novità, tra cui quella relativa alle Italian Grape Ale:
Italian Grape Ale is renamed Grape Ale, rewritten to allow non-Italian varieties, and moved to Fruit Beer (although it also remains as a Local Style).
Con questa decisione il BJCP si assume la grave responsabilità di cancellare il legame tra lo stile e la nazione che più di ogni altra ha contribuito a svilupparlo. Sul sito del nostro progetto dedicato alle Italian Grape Ale, abbiamo censito oltre 200 produzioni italiani appartenenti alla tipologia ed è unanimemente riconosciuto come i nostri birrifici siano stati gli “inventori” di questo modo moderno di celebrare l’incontro tra la birra e l’uva. Il motivo è chiaro: l’Italia è un paese con una sconfinata cultura vinicola e la creatività dei birrai italiani è stata fondamentale per sviluppare questo affascinante anello di congiunzione tra i due mondi. Il nome dunque, al pari di tanti altri stili, è un omaggio alla nazione in cui è nata e si è sviluppata la specialità e non al tipo di uva impiegata.
Appare infatti del tutto incomprensibile la motivazione addotta dal BJCP per il cambio di nome. Nell’impostazione delle Style Guidelines non è tanto l’origine degli ingredienti a definire le denominazioni degli stili, quanto l’area geografica in cui sono nati o si sono consolidati. E non è mai accaduto che uno stile perdesse il riferimento alla nazione di origine solo per assecondare l’uso di materie prime diverse. Gli esempi sono molteplici e sono confermati dalle stesse linee guida del BJCP:
- Gli American Barleywine, che sono un’evoluzione di quelli inglesi, ammettono luppoli di qualsiasi varietà e non solo statunitensi.
- Le Baltic Porter esistono anche se tra i loro ingredienti tipici non compare alcun riferimento all’area del Baltico.
- Le Catharina Sour (inserite tra gli “stili provvisori” del 2018) prevedono l’impiego di frutta tropicale – attenzione, non brasiliana! – oppure di qualsiasi altro tipo.
Gli esempi potrebbero continuare all’infinito e per un motivo ben preciso: la birra è una bevanda libera e i confini degli stili sono permeabili. Nella loro evoluzione, spesso sin dalla propria origine, gli stili birrari ammettono una contaminazione “regionale” nella provenienza delle materie prime. Questa fluidità ha spinto in passato il BJCP a inserire, quando ne è stata avvertita la necessità, specialità locali di stili già esistenti: così sono state codificate le Belgian IPA, le American Stout, le IPA Argenta, le New Zealand Pilsner o i già citati American Barleywine. In tutti questi casi la scelta è stata di aggiungere, non di sottrarre: non è mai stato tolto il riferimento geografico a uno stile solo perché qualcuno ha iniziato a usare materie prime di origine diversa, al limite sono stati previsti dei nuovi stili specifici.
Tra le varie reazioni alla decisione del BJCP segnalo quella di Gianriccardo Corbo, colui che si è speso in prima persona per accreditare le Italian Grape Ale nei confronti del BJCP. Questo il suo messaggio lasciato qualche ora fa su Facebook:
Recenti aggiornamenti da parte del BJCP ufficializzano il fatto che intendono rinominare in Grape Ale le nostre IGA. Questo è inaccettabile per il movimento birrario italiano. Ho scritto questa mattina al presidente del BJCP Gordon Strong mostrando il mio disappunto e invito chiunque abbia a cuore questa causa a scrivere una email di proteste al BJCP.
Il messaggio continua con un testo in inglese che Gianriccardo invita a copiare, incollare e inviare all’indirizzo email del BJCP. Trovate i dettagli nel post completo su Facebook.
Ormai però ogni tentativo di far rinsavire il BJCP sembra impossibile, così come l’organizzazione è apparsa sorda nei confronti della passata petizione con cui furono raccolte quasi 3.000 firme. La prossima versione delle Style Guidelines celebrerà una grande ingiustizia nei confronti di un movimento brassicolo e di uno stile strettamente legato al modo di intendere la birra nel nostro paese. Siamo abituati a studiare le tipologie birrarie non solo in base all’origine degli ingredienti, ma anche (e spesso soprattutto) nel modo in cui essi nascono e si evolvono all’interno di una cultura locale. Questo è stato l’approccio del BJCP fino a oggi, che però sarà totalmente sconfessato nella prossima release delle Style Guidelines. La speranza è che i birrifici italiani e stranieri continuino a utilizzare la denominazione Italian Grape Ale come hanno fatto fino a oggi.
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