Nella rassegna stampa delle ultime settimane mi è capitato di imbattermi a più riprese in alcuni articoli che individuavano nei Millennials (cioè i componenti della cosiddetta Generazione Y) il motivo del trend negativo del mercato della birra. Niente di nuovo, direte: sappiamo infatti che la crisi del settore è cominciata quando le multinazionali si sono dovute confrontare con le abitudini delle generazioni più giovani, capaci di rappresentare una rottura rispetto ai consumi tradizionali. L’industria è stata lenta ad adattarsi al nuovo contesto, con il quale si sono invece trovati perfettamente a proprio agio i microbirrifici di concezione moderna. Rispetto al passato oggi si avverte un grande interesse per la birra artigianale e un’evidente indifferenza verso i grandi marchi mainstream. Tutto giusto, peccato però che gli articoli (anche in lingua italiana) a cui ho accennato in apertura partano da quanto accaduto recentemente nel comparto craft americano.
Tutto è cominciato alla fine di luglio, con un episodio che sembra lontano anni luce dal nostro mondo. Parliamo infatti di economia d’alto livello e in particolare della decisione di Goldman Sachs di abbassare il rating di due aziende statunitensi del settore brassicolo: Boston Beer Co. e Constellation Brands. La prima è produttrice del marchio Samuel Adams, nonché il più grande birrificio craft secondo la definizione della Brewers Association; la seconda una holding di proprietà di Corona che detiene diversi brand, tra i quali l’ex artigianale Ballast Point. Goldman Sachs spiegò che la sua decisione era giustificata dall’analisi dei comportamenti d’acquisto dei Millennials. Ecco come la CNBC riassunse la questione:
Goldman Sachs ha abbassato il rating […] perché i Millennials consumano più vino delle generazioni precedenti. I dati mostrano che nel 2016 la penetrazione della birra negli Stati Uniti è calata mentre quella di vino e superalcolici si è mantenuta stabile. Il report dimostra inoltre che i Millennials consumano meno alcol delle precedenti generazioni.
Insomma, una successione causa – effetto piuttosto cruda e immediata, che ha suscitato diverse perplessità. Rispetto a quanto accaduto fino a oggi, per la prima volta gli analisti non hanno evidenziato un ridimensionamento dei grandi marchi industriali (come accaduto in passato con Budweiser), bensì di aziende che operano nel segmento espressamente craft (Boston Beer Co.) o ai limiti dello stesso, in quel mare magnum formato da prodotti crafty, ex artigianali e similari (Constellation Brands). Ridimensionamento che ha alimentato un certo panico nel settore, perché il panorama del mercato dei microbirrifici americani non è più così sereno come in passato. Per la prima volta dopo tanti anni le vendite di birra craft sono aumentate “solo” del 6% rispetto all’anno precedente, allarmando – forse in modo eccessivo – gli operatori del settore.
Dunque la pacchia è finita e la colpa è dei Millennials? Decisamente no. Aspettarsi una frenata, se non addirittura un rimbalzo, nella crescita del mercato craft è del tutto plausibile, ma ricercare la causa nelle abitudini della Generazione Y è completamente fuorviante. È ciò che sostiene Rich Duprey in un articolo pubblicato un mese fa su The Motley Fool, dove analizza l’intero fenomeno andando oltre la semplice “cronaca” delle testate non specializzate e considerando quanto accaduto nell’ambiente negli ultimi anni. In particolare secondo la sua idea siamo arrivati a un punto in cui bisogna distinguere il mercato realmente craft, costituito cioè da birrifici indipendenti relativamente piccoli, da quello craft di massa, nel quale rientrano sia marchi ex artigianali acquistati dall’industria, sia marchi craft di dimensioni ragguardevoli – come, appunto, Boston Beer Company.
Se dunque i consumi si sono davvero modificati, la causa non è da ricercare nel ricambio generazionale, bensì in un mercato profondamente mutato rispetto a un decennio fa e nel quali vigono regole leggermente diverse da prima. In effetti non è passato molto tempo da quando in Rete non si contavano gli articoli che individuavano nei Millennials i consumatori per eccellenza di birra artigianali, capaci con le loro scelte di trinare l’intero settore. Dunque, come afferma Duprey, tutto dipende da cosa si intende per birra craft: se ci riferiamo a realtà immense come Boston Beer Co., è facile comprendere come il proprio destino sia più vicino a quello dei marchi dell’industria che a quello dei birrifici indipendenti. E qui forse la Brewers Associarion dovrebbe riflettere sulla validità della sua definizione di birra craft, che negli ultimi anni ha subito un allargamento delle maglie al fine di non perdere alcuni produttori (tra cui proprio quello di Samuel Adams).
I Millennials dunque non sono diventati improvvisamente nemici della birra artigianale, né la salute del settore è in discussione. Semmai ciò che il fenomeno dimostra è che, alla luce delle acquisizioni e del riposizionamento di molti prodotti, i consumatori si stanno dimostrando sempre più attenti a concetti pregni di valori molto precisi, come quelli di produzione locale, autenticità e schiettezza comunicativa. Considerazioni che dovrebbero tenere in considerazioni i microbirrifici di tutto il mondo.
Lascerei perdere le elucubrazioni della Goldman Sachs, dato che riguardano l’America, non il mondo e tantomeno l’Italia che non ha NULLA, nulla del mercato brassicolo statunitense.
Integrerei, invece, l’altra elucubrazione: “i consumatori si stanno dimostrando sempre più attenti a concetti pregni di valori molto precisi, come quelli di produzione locale, autenticità e schiettezza comunicativa.” Premesso che la trovo “fantascientifica” e che ci siamo già confrontati in merito, propongo di invertire la domanda in questi termini: la birra artigianale sta uccidendo i Millenials? Se questi devono pagare una birra tanto quanto una discreta (anzi buona, se cerchi bene) bottiglia di vino, chi glielo fa fare? Scelgono. Hanno la 100 Euro in tasca? A me non risulta, stanti i contratti a 6 mesi nei Call center. Il vino non ha produzione locale, forse? Magari anche MOLTO di più della birra? Magari i produttori di vino, in Italia, sono sul mercato da decenni e se ci sono rimasti ci sarà un perché. Tu che fai? Preferisci un Vespasiano, come troppi ne sono nati negli ultimi 5 anni tra i birrifici artigianali, solo per “concetti pregni di valori molto precisi”? Accomodati.
Sono stato a Cheese 17, ho incontrato amici Mastri Birrai (quelli seri) ed ho bevuto ottime birre. Un esperienza diametralmente opposta all’evento Baladin del 2016, dove su 200 birre ne facevano schifo 160 (2017 nisba? Come mai? Cosa ci faceva là a Cheese 17 il buon Teo?). Avessi avuto la possibilità di disinfettare la bocca con un buon Lambrusco Grasparossa a Torino l’anno scorso… Ah!
Quanto sopra, esclusivamente a titolo personale come idee e come gusti organolettici, senza velleità educative.