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È ufficiale: per l’Unesco la birra belga e la sua cultura tra i patrimoni dell’umanità

Come probabilmente vi sarà capitato di leggere in questi giorni sulle principali testate italiane, recentemente il Belgio ha avanzato all’Unesco la richiesta di inserire la cultura birraria locale nel novero dei “patrimoni intangibili dell’umanità”. La procedura di valutazione è terminata proprio nelle scorse ore e adesso abbiamo l’ufficialità: l’organizzazione internazionale ha accolto l’istanza del piccolo paese europeo, inserendo la birra belga tra le più alte espressioni della cultura e delle tradizioni del genere umano. Oltre a essere un grandissimo riconoscimento per un elemento fondamentale della società belga, l’aspetto per noi più gratificante è che si fa espressamente riferimento alla “craft beer”. In altre parole non si potrebbe parlare di cultura birraria belga senza considerare che è strettamente legata al concetto di birra artigianale. Una conclusione che noi diamo per scontata, ma che fuori dal nostro mondo fatica a consolidarsi.

Il Belgio aveva avanzato la sua candidatura (o meglio, quella della sua cultura birraria) seguendo un iter burocratico ben preciso. Tra i documenti che compongono il dossier sottoposto all’Unesco, appaiono alcuni passaggi importanti per il risultato conseguito. Eccoli qui riassunti:

Produrre e gustare birra è parte fondamentale delle tradizioni di un’ampia varietà di comunità del Belgio. Gioca un ruolo primario nella vita quotidiana, così come in occasioni di feste e celebrazioni. Quasi 1.500 tipi di birra sono prodotte nel paese utilizzando diversi metodi di fermentazione. A partire dagli anni ’80 la birra artigianale ha cominciato a diventare particolarmente popolare. […] Inoltre la birra è impiegata in ambito gastronomico, come nel caso della creazione di formaggi alla birra, e come il vino può essere abbinata al cibo per esaltarne gli aromi. Diverse associazioni di produttori lavorano a stretto contatto con le comunità locali per promuovere un consumo consapevole della bevanda. Oltre a essere trasmesse in casa e nei circoli sociali, le conoscenze e le competenze sono tramandate anche dai mastri birrai che gestiscono classi in birrifici, corsi universitari specializzati rivolti a operatori del settore e dell’ospitalità in generale, programmi pubblici di formazione per imprenditori e piccoli impianti per birrai amatoriali.

Una larga parte della popolazione identifica se stessa con l’elemento (la birra) e partecipa in una o più delle relative attività. Migliaia di persone, organizzate o meno, uomini e donne, professionisti e amatori, hanno a che fare direttamente con la birra in Belgio.

L’elemento (la birra) è praticato in tutto il Belgio. In ogni provincia ci sono birrifici, club, musei (circa trenta in totale), corsi di formazione, eventi, festival, ristoranti e cafè che contribuiscono al frizzante e creativo panorama brassicolo locale. Varie pratiche hanno radici geograficamente circoscritte: ad esempio il Lambic è prodotto solo a Bruxelles e nel vicino Pajottenland e solo durante l’inverno; le antiche birre scure sono prodotte nelle Fiandre occidentali; il formaggio alla birra è tipico delle abbazie. Consumatori esprimono chiare preferenze regionali.

In Belgio quasi 200 birrifici producono circa 1.500 birre diverse, molte delle quali sono artigianali o specialità, di oltre 50 tipologie. Questa varietà deriva dalla creatività dei birrai, la necessità di consumatori consapevoli, un solido sistema di condivisione e trasmissione delle informazioni e un ampio assortimento di soluzioni tecnologiche e materie prime.

Beh insomma, sono tutte nozioni che da appassionati di birra dovreste conoscere bene. Ciò che forse non saprete, invece, è che in questa rincorsa al riconoscimento da parte dell’Unesco – se così vogliamo definirla – il Belgio ha beffato la Germania. Esattamente 3 anni fa, infatti, i tedeschi avevano provato la stessa strada ora percorsa dai loro colleghi belgi, ma con esiti diversi. Tuttavia la strategia adottata fu diversa e puntò tutto sul riconoscimento dell’Editto della Purezza come documento delle tradizioni culturali locali. Non sono riuscito a risalire ai motivi del rifiuto da parte dell’organizzazione internazionale, ma non è difficile immaginarli: innanzitutto il Reinheitsgebot era una legge di “tutela alimentare” e non un disciplinare qualitativo; secondopoi, e più importante, tale legge contribuì alla scomparsa di tante specialità locali che improvvisamente non poterono più essere considerate birra. Insomma, non proprio un elemento a favore delle tradizioni di un popolo.

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A molti l’obiettivo raggiunto dalla birra belga potrebbe sembrare irrilevante, ma probabilmente non è così. Si potrebbe affermare la cultura brassicola del Belgio non aveva certo necessità del riconoscimento dell’Unesco per essere apprezzata in tutto il mondo per il suo grande valore sociale, e potrei anche essere d’accordo. Ma l’aspetto importante, secondo me, è che in questo periodo di pruriti neoproibizionisti, in questo momento storico in cui facilmente si additano le bevande alcoliche ignorando la loro importanza culturale, la birra ottiene il massimo riconoscimento possibile per un prodotto e componente della civiltà umana. Questo anche alla faccia di chi, nel 2013, affermava che la Germania stava “esagerando” a proporre la sua birra a patrimonio intangibile dell’umanità.

Oggi è dunque d’obbligo un bel brindisi con birra belga, magari durante la visione del video che è stato consegnato all’Unesco insieme al resto della documentazione. Buona visione!

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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