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E ora gli Americani bevono più birra artigianale che Budweiser

budweiserDopo il post di ieri rimaniamo fuori dai confini nazionali per dare un’occhiata a quello che sta accadendo in America. Se, come abbiamo visto, nel Regno Unito la salute del settore birrario vive di alti e bassi, negli Stati Uniti le cose procedono invece a gonfie vele, soprattutto per quanto riguarda il comparto artigianale – se così ha ancora senso chiamarlo. In questi anni su Cronache di Birra abbiamo documentato l’incredibile e costante ascesa dei birrifici craft statunitensi, capaci nel giro di pochi decenni di raggiungere obiettivi per noi solo lontanamente immaginabili. Ebbene l’ultimo traguardo non fa altro che confermare questa irrefrenabile ascesa, ma dal tasso di condivisione che la notizia sta ottenendo sul web è evidente che possiede un forte valore simbolico. E sì, perché i dati di mercato rivelano che i consumi totali di birra artigianale negli States hanno superato quelli di un marchio americano per eccellenza: Budweiser.

Messa così la notizia risulta facilmente spendibile, ma può andare incontro a letture errate e parziali. Di contro non è un dato come tanti altri, ma nasconde alcuni elementi che ritengo decisamente importanti. Quindi ci conviene mettere da parte i facili entusiasmi e analizzare i fatti per quelli che sono.

La prima precisazione può sembrare palese, ma è meglio non tralasciare alcun aspetto. La notizia non ci dice che la birra artigianale negli USA ha superato quella industriale, ma che i consumi totali di tutte le birre craft hanno sopravanzato quelle della Budweiser. Budweiser che, per inciso, è sì uno dei brand storici del mercato birrario americano, ma non è  né il primo in assoluto per vendite, né il secondo. È invece soltanto il terzo marchio brassicolo della nazione, preceduto nell’ordine da Bud Light e Coors Light. Quindi, riformulando quanto affermato precedentemente, i birrifici craft non hanno fatto altro che superare in consumi il terzo marchio industriale del paese. Messa così, la notizia appare molto meno clamorosa.

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Lo scalpore che si è creato in queste ore è dunque ingiustificato? Direi di no. Nonostante sia il terzo marchio birrario, come accennato Budweiser è stata una birra identificativa per tantissimi bevitori statunitensi. Per quasi tutti è stata addirittura la birra americana per antonomasia. Per questa ragione il traguardo raggiunto dai birrifici artigianali risulta stupefacente: non perché il dato di per sé abbia un significato numerico particolare, ma perché è la sua connotazione simbolica a fare sensazione.

Come sottolinea il blog Moneybox su Slate.com – un blog economico e non birrario, sia chiaro – più che consacrare il successo della birra artigianale, la notizia evidenzia le enormi difficoltà del marchio Budweiser. In dieci anni il consumo di questa birra si è quasi dimezzando, passando dai circa 30 milioni di barili del 2003 ai 16 attuali. Un calo che tuttavia si riscontra per molti altri brand industriali e che – soprattutto – dimostra come i gusti dei consumatori americani siano profondamente cambiati in pochi anni. Se pensate che questo cambiamento sia dipeso quasi esclusivamente dall’ascesa della birra craft dovete però ricredervi: più che convertirsi verso la qualità, i cittadini americani sono diventati ossessivamente salutisti. Non è un caso allora che tra i 10 marchi commerciali più venduti in assoluto, ben 7 abbiano un bel “light” nel nome, come i già citati capofila Bud Light e Coors Light.

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La situazione però è meno grigia di quanto sembrerebbe e negli States è davvero in atto un cambiamento profondo nel modo di rapportarsi col prodotto birra. È in questo aspetto che Jordan Weissmann trova i motivi del declino di Busweiser:

È ormai sostanzialmente una birra senza alcuno scopo. Venti anni fa, quando gli americani erano meno salutisti e avevano gusti più omogenei, aveva senso vendere una lager economica di massa progettata per raggiungere il più ampio numero di consumatori. Ma ora è un brand senza un target preciso, eccezion fatta per i vecchi americani che bevono per abitudine o per un nostalgico senso di fedeltà al marchio. […] E non è un caso che, secondo i dati di AB Inbev, il 44% degli americani tra i 21 e i 27 anni non abbia mai provato una Budweiser.

D’accordo, un glorioso – almeno secondo loro – marchio birrario è in declino, ma cosa ci dice la notizia in questione del comparto craft? Innanzitutto che è ancora una nicchia produttiva, ma sempre meno nicchia. Secondo la Brewers Association, i birrifici craft hanno ormai raggiunto il 14% del mercato americano della birra. Se confrontato col nostro 1% – 1,5%, è chiaro che stiamo parlando di una realtà distante anni luce da quella italiana. Molti birrifici hanno ormai poco a che fare col concetto di “artigianale”, ma lo stesso non si può dire dell’idea di una “birra migliore”. L’obiettivo di creare qualcosa di diverso rispetto alle blande lager industriali è il filo conduttore che accomuna tutti i birrifici craft statunitensi, sia che producano milioni di ettolitri l’anno, sia che abbiano una dimensione ancora micro. E a ben vedere, questo aspetto rappresenta la loro forza.

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E per concludere un dato curioso. Ora i birrifici craft americani hanno raggiunto il terzo marchio birrario del paese, ma quanto dovrebbero crescere per raggiungere il primo? I numeri ci dicono che dovrebbero quasi triplicare le loro vendite. Se la tendenza continua a essere quella degli ultimi anni, il punto non è sapere se ce la faranno, ma quando ce la faranno. Sulla data di contatto sono aperte le scommesse…

Andrea Turco
Andrea Turco
Fondatore e curatore di Cronache di Birra, è giudice in concorsi nazionali e internazionali, docente e consulente di settore. È organizzatore della Italy Beer Week, fondatore della piattaforma Formazione Birra e tra i creatori del festival Fermentazioni. Nel tempo libero beve.

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2 Commenti

  1. Bud l’americana (come anche Miller o Coors standard) ha un problema forte demografico come hai detto, aggravato dal fatto che sta arrivando sul mercato la generazione più numerosa dal baby boom che non riesce ad intercettare sulla quale la faranno nel breve da padroni varie “cose” industiali e “craft” (mi riferisco a Ramarita, Hard Tea e similari che anche molti nomi “craft” hanno lanciato con successo). Come ben sottolinei non è tutto oro quel che luccica, perchè sì una parte dei consumatori si rivolge a prodotti “craft” o più caratterizzati (simil craft) ma una parte più grande va su prodotti “non birra” che forse mal sopporto più di una Bud (alla quale va riconosciuto che per quasi due decenni ha salvato il Tettnang e i suoi agricoltori.. il Signor Busch era il loro primo acquirente… anche quando i tedeschi si spostarono in massa sui luppoli da amaro meno pregiati decretando il loro suicidio) … in sostanza il “sorpasso” potrebbe in realtà essere dovuto da un crollo o meglio un paio di generazioni di Joe 6 pack che passano a miglior vita.. mi sa che i markettari americani si dovranno studiare cosa fecero i vignaioli nostrani per sopravvivere post scandalo metanolo.. da una parte Tavernello e dall’altra Montefalco.

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